Nato
ad Heidelberg nel 1946, morto in Himalaya nel 1982: 36 anni. Una morte
improvvisa per chi ha amato la montagna come una madre interminabile.
Una sensibilità fotografica delicatissima e vibratile come un obiettivo
umano. Puntato sulle cime di mezzo mondo. Una moglie lasciata appesa ad
un bacio non più restituito. La montagna che palpita nel sangue e non
ne puoi fare a meno. Una nutrita schiera di viaggi con zaini e sacchi a
pelo imbottiti, ghette in kevlar e le mani rotte dall'arrampicata.
Comincia quasi per divertimento, per cercare di rompere la monotonia del
lavoro. Ogni domenica si parte per scalare qualche montagna. Dapprima
timidamente e poi sempre con voracità maggiore.
Una tensione formidabile ed una capacità di far rivivere certe
emozioni è tipico di questo libro degli anni giovanili, a questi
interamente dedicato. Quasi una summa dell'alpinismo on the road.
Il lavoro di meccanico comincia a stancare. Sempre più spesso al lunedì
si arriva in officina colmi di sonno. Eh sì, perché il sonno la
montagna se lo prende: all'alba bisogna già essere sotto la parete e
cominciare ad arrampicare. Le ore vanno calcolate con attenzione e
prudenza. Poi c'è il passaggio alla montagna da professionista della
fotografia, con la possibilità di poter scrivere per riviste di
montagna specializzate a cui la tua penna piace e fa gola
enormemente anche ai giovani.
Il libro è come una confessione completa ma rapidissima della vita di
un alpinista totalitario. Cioè di chi ha scalato da El Cap al Dru e
fino alla montagna più dura del mondo: il Cerro Torre. C'è una magia
avvolgente che traspira da queste pagine sottilissime e resistenti ai
soffi che vengono dalle montagne.
Quando la notte cala sulle cime - ed
il ghiaccio si incolla alle crode - l'aria è quasi ferma,
immobile: in quei luoghi vive ancora Reinhard Karl. Uscito a razzo da
un'officina dove riparava le automobili. Con una capacità rara si
ritrova sulle montagne più dure del mondo, con un entusiasmo che suona
nei recessi più nascosti dell'anima. Sempre con la stessa freschezza.
Il libro
va letto ed è un piacere infinito leggerlo con gli occhi e soprattutto
con l'anima. I passaggi sono rapidi ma precisi.
Quando si parla dell'Himalaya
si avverte la fatica data dalle ore di cammino che si sgranano insieme
alle nuvole e si va con la mente ai desideri di ciascun alpinista quando
bivacca in quota, al gelo: un letto comodo, lenzuola fresche e di
flanella, un fuoco acceso, da mangiare in abbondanza dopo aver fatto un
giro esaustivo in un supermercato ultrafornito, una moglie dagli occhi
dorati con cui fare l'amore con calma, a lungo. Poi si passa allo
Yosemite, ed anche qui è difficile non cogliere quanto di più vero e
comune esiste per i climber di questa zona. La sete violenta e
cronica data dalla calura torrida che si sprigiona sulle pareti di El
Cap, la vita spensierata di quelli che qui vivevano fatta di mangiate,
arrampicate, droga e donne, le albe luminose e sottili che penetrano
negli occhi e scaldano le mani rattrappite dagli sforzi, le corde a cui
si sta appesi sopra una parete calda come le mammelle di una grande
madre...
Il grande Karl ci trasmette questa serie di emozioni ed
esperienze vissute miscelandole con il tocco dello scrittore di razza,
un poco alla Alain Fournier: un'opera che è diventata un manifesto per
intere schiere di alpinisti, ornata di una morte prematura. Chissà perché
le persone davvero valide muoiono presto e sempre dopo aver lasciato
qualcosa di irripetibile.
Compratevi questo libro e maledirete di non saper scrivere e di non aver
vissuto così a fondo come Reinhard. Le fotografie che compaiono nel
libro meriterebbero un bell'ingrandimento. Avrete soltanto l'imbarazzo
della scelta.