Te la racconto volentieri anche se non è nulla di speciale.
Nell'estate del 95 sono andato allo Sperone Frendo sull'Aiguille du Midì,
è una via lunga di misto, molto bella e classicissima (ti piacerebbe).
Io e mio fratello abbiamo bivaccato all'attacco per risparmiare un'oretta
di marcia dal rifugio e poter attaccare per primi e così è stato.
Alle prime luci del giorno veniamo raggiunti da una cordata che saliva a
razzo, ed era appunto Berò (così faccio prima) con un amico.
Dopo il solito scambio di convenevoli (Berò era imbarazzato perché l'avevo
riconosciuto) ci superano andando di conserva dove noi facevamo alcuni
tiri (era IV grado) e in breve scompare alla nostra vista.
Verso le 10 terminiamo di salire il tratto roccioso e comincia una cresta
di neve e ghiaccio piuttosto ripida, in alto a circa 150 metri da noi
l'altra cordata sta per attaccare un'altro sperone di roccia (più
difficile e vetrato).
Come nei peggiori racconti ‘bonattiani’ non ci siamo accorti che il tempo
sta cambiando (le previsioni davano bello!), la cima dell'Aiguille du Midì
viene raggiunta da certi nuvoloni neri e anche il cielo sopra la valle
dell'Arve si copre in pochissimo tempo, sinceramente ci caghiamo in mano.
Si alza il vento e un temporale si scatena 400 metri più in alto, di
scendere non se ne parla (ormai siamo già parecchio alti) e proseguiamo
accelerando il passo.
Berò e socio scompaiono inghiottiti dalla nebbia,
comincia a tuonare e grandinare, noi siamo sulla sottile cresta di
ghiaccio che muore in un bombamento più ripido, siamo avvolti da un
marasma terribile, mi sembra di essere Desmaison sulle Jorasses.
Raggiungiamo le rocce che nel frattempo si sono coperte di grandine, neve
e sono fradice (adesso abbiamo davvero paura), praticamente inscalabili,
sappiamo che c'è la possibilità di evitarle risalendo (sia a destra che a
sinistra) un ripidissimo canalino di ghiaccio che termina sotto un seracco
consentendo di aggirarlo per poi finire sugli ultimi pendii di neve che
portano finalmente in cresta.
Ci ingaggiamo nel canalino nella nebbia più fitta sotto una sferza di
freddo e grandine, viene giù di tutto, velocissimi facciamo retromarcia (mò
siamo quasi nel panico) e ci riportiamo alla base dello sperone roccioso.
Di salire il canalino manco se ne parla, di scalare le rocce nemmeno, di
scendere col cavolo.
Decidiamo di fermarci sotto le rocce (intanto continua il finimondo) e
aspettare, nella speranza di non essere fulminati, che il peggio passi,
dicendoci che un temporalone così non può durare a lungo e che una volta
passato il canalino potrà essere salito (e lungo un bel 250 metri e a
70°).
Guardo l'orologio e vedo che sono già le 14:40, è tardissimo e mancano
ancora 450 metri buoni per essere fuori.
Improvvisamente sopra di noi
una figura scura sfumata dalla nebbia sta scendendo calata dall'alto... è
Berò
Ci dice di dargli una delle nostre due mezze, ci ha visto presi dal
temporale prima del tratto difficile e ha capito che eravamo in merda.
Si lega alla mezza e mi dice che salirà fino alla sosta sopra (dopo questi
50 metri le rocce diventano un po' più facili) e da lì mi recupererà.
Velocissimo risale assicurato dal compagno e facciamo così un'unica
cordata.
Assicurato e tirato supero coi ramponi ai piedi questo tratto (con due
passaggi di V+ ) e faccio lo stesso con mio fratello.
Alla sosta trovo Berò che sorride e mi dice - «Da qui nessun problema solo
un pò d'elettricità».
Non trovo le parole per ringraziarlo, ma lui schiva questi ringraziamenti
con una modestia esemplare, dicendoci che non avremmo mai superato le
rocce in quello stato (lui si però...) e il canale con quel fiume di roba
che scendeva.
Proseguiamo legati tutti insieme, con il socio di Berò (un
ragazzotto francese di nome Vic) in testa, a tiri di corda per circa 200
metri, poi finiamo la nostra salita in cresta superando gli ultimi pendii
di neve (sulla linea di massima pendenza) stando lontani dalle rigole.
Il temporale si è allontanato e non grandina più, il tempo non è bello ma
sicuramente molto migliorato.
Arrivati alla stazione dell'Aiguille ci
sono stati scambi di vigorose pacche sulle spalle (sembrava che fossimo
amici da sempre), grasse risate e gran rilassamento. Intanto un
debole sole era sbucato tra una nuvola e l'altra lasciandoci intravedere
alcune cime completamente imbiancate dalla grandine e dalla neve.
Erano le 18:30, esattamente 16 ore dalla nostra partenza dal bivacco.
Sull'Aiguille c'erano ancora un mucchio di turisti giapponesi (e chi li
ammazza quelli!) e le funivie funzionavano ancora, siamo così potuti
scendere a Chamonix.
Patrick non voleva nemmeno che gli offrissimo da
bere, ma siamo comunque finiti in una brasserie a mangiare la pierrade e
scolarci la birra.
Conservo la diapositiva con Berò, tra me e mio fratello, sorridente e
imbarazzato in cima all'Aiguille du Midì sotto un tiepido sole.
Senza il suo aiuto (e poteva già essere fuori da tempo) sarebbero stati
cazzi.
Davvero una persona grande...
