Nel corridoio di servizio
per depositare i resti del pranzo, nell'algida sala mensa
universitaria, da un tavolo mi arriva un cenno. E' Bruno
Quaresima, l'uomo del Versante Sud. Nonostante le mie frequentazioni alpinistiche
siano più a Nord, le nostre esperienze di giovani editori
di montagna possono crescere reciprocamente. Si parla di alcuni nostri
progetti. E quasi a nominare un autore comune, mi sento battere su una spalla. Non posso
che alzarmi e salutare con il rispetto di un allievo Samuele Scalet, il
grande dolomitista trentino, un mito per amico. Samuele mi rapina per
portarmi da una persona di cui siamo entrambi amici ma che io conosco solo per lettera
e per fama, Ivo Rabanser. Finalmente stringo la mano e osservo curioso i
lineamenti netti e scolpiti del grande alpinista gardenese, mio coetaneo
(più o meno), un viso antico come avrà modo di sottolineare,
argutamente, il feroce Marco Vegetti, molto attento non solo alle
scolaresche editoriali in gita aziendale (v.
go-mountain).
Con Ivo, accompagnato
dalla giovane moglie, passerò parecchie ore tra oggi e domani. Parla in
modo, per così dire, sincopato. Ovviamente non nella voce, ma nel
significato. Chiede con tono pacato, ma deciso, e poi attende in
silenzio. Al chiosco, sorseggiando il caffè, il mio occhio abituato a
segni annunciatori, a volte vicini (le mani di Ivo, massicce e potenti,
mani che sempre osservo agli alpinisti), a volte lontani, si posa su
un'Aquila, ovviamente di San Martino. Un'altra conoscenza di vecchia
data, Duilio Boninsegna, gestore del Rifugio Pradidali. Presento Duilio
a Ivo e non tardo molto a scappare. Voglio assolutamente vedere il film
inglese del 1955 che danno al Teatro Sperimentale. Ritorno nel buio.
Soddisfatto del film
faccio una corsa a Montagna Libri. Devo dispensare le
cartoline di intraisass2 stampate per l'occasione. Non passa molto tempo
che mi trovo immerso nello sfogliare libri e riviste. Assorto come sono
mi risveglio dall'angoscia cartacea (disagio mio tipico ogni volta che
entro in libreria) al richiamo di una voce memorabile, proprio in fatto
di memoria e di racconti d'alpinismo che più di una volta ho avuto il piacere di ascoltare. E' il bassanese Mauro Moretto. Lo affianca un tipo
che io non vedo da più di dieci anni, quando iniziavo ad allenarmi nelle
solari pareti di Lumignano, Flavio Carraro, non di meno di Mauro,
compagno del mitico Massarotto. Una birra al Pedavena non ce la leva
nessuno. Ricordare le avventure in Pale di San Lucano fa la gola arsa.
Parliamo della nuova guida, annunciata e misteriosa, che dovrebbe presto
uscire per conto di Luca Visentini. Autore Ettore De Biasio. Chi altri
sennò? Mai parlare del diavolo. Io manco lo conoscevo di persona, Mauro
era più di vent'anni che non lo vedeva. D'un tratto, l'Ettore bellunese,
con la sua bella parlata agordina si materializza davanti a noi, a dir
poco esterrefatti. Dall'altra parte del bancone pare ci ascoltasse. Tu
sei, io sono. Eco ricorrente del mio festival.
Con Mauro e Flavio
decidiamo di anticipare la cena. Entrando a Santa Chiara, come fosse una
barca a vela sospinta dal vento di primavera, solitaria in mezzo a una
marea di barconi a motore, impossibile non ammirarla, incrocio la
silhouette di Simonetta Quirtano, l'Ufficio Commerciale in persona della
Vivalda. Lascio gli altri due incrociatori andare scossi alla deriva e
io attracco per un momento. Sempre gentile e molto bella, ci scambiamo
brevi impressioni (ci conosciamo dai tempi della spedizione Makalu delle
Aquile) e riparto per la mia rotta.
Una cena veloce a sentire le avventure di Flavio in Sudamerica con
Lorenzo Massarotto e Umberto Marampon (un libro tragicomico potrebbe
uscirne senza affanni) e via alla serata di Messner. Usciamo dalla mensa
e già un putiferio di gente si accalca al botteghino. A malincuore,
avendo il pass, abbandono gli amici sperando di riunirmi all'interno
dell'Auditorium. Speranza vana. Centinaia di persone sono in sala e
altrettante fuori. Vago per un paio di minuti in cerca di un posto.
Accedo alla zona riservata. Molti posti liberi. Mi sto per sedere
quando, girando l'occhio qua e là, incontro chi mai avrei sperato di
incontrare. Io sono, tu sei. L'ultima volta lo lasciai, una decina di
anni fa, ai piedi della
Nordovest del Civetta che grondava acqua. Per telefono e per
lettera invece ogni tanto ci sentiamo. Ermanno Salvaterra scala di un
posto per farmi sedere al suo fianco. Un onore, nonché divagazioni
assicurate. Alcune battute sullo Spiz di
Lagunaz e sul Burél. E poi a parlare di Patagonia e Himalaya.
Inizia la serata
sull'Everest. Impareggiabile Leo Dickinson, divertente Kurt Diemberger,
egocentrico e perfetto alle esigenze del pubblico Reinhold Messner.
Per chi conosce la storia dell'himalaysmo niente di nuovo. Ma il
pubblico è vario e non certo uniformabile soprassedendo ai livelli
diversi di conoscenza. A parte una premessa sulla geologia delle
montagne himalayane, scolastica e sommaria, alcune divagazioni
tormentose sullo Yeti e sulla seconda morte di Mallory, una non
equilibrata ricostruzione degli itinerari dell'Everest (alcuni
dimenticati o appena citati), una fulminea presenza sul palcoscenico
degli ospiti, a parte tutto ciò e altre quisquiglie il finale di Messner
è stato un crescendo tecnicamente perfetto di senso e comunicazione. Non
mi soffermo di più.
Un buco nell'acqua l'epilogo con il film di Brando Quilici. Tutto già
visto. Chi è stanco esce di sala. Un ultima birra e poi a nanna.
Dei giorni seguenti (il
secondo tono di grigio e il nero nella sequenza di foto) potrei
raccontarvi che al mattino non sono mancato alla presentazione del libro
di Franco Miotto, per conoscere Luisa Mandrino, l'autrice del testo. Ma
sarebbe più interessante sapere come d'un colpo, mentre parlavo con non
ricordo chi, mi si è presentato innanzi una persona canuta e
vitalissima, mi ha preso la mano e me l'ha quasi ridotta a una
paccottiglia di ossa (per fortuna ho reagito). Tu sei, io sono. Infatti,
nientedimeno che Franco Miotto, uomo di cui avevo sognato le vie nei
libri e sentito narrare meravigliose avventure. L'amico giornalista
Marco Conte, anche lui al battesimo del primo incontro, gli aveva
parlato delle mie preferenze alpinistiche e dei corteggiamenti alle pareti
che anche Miotto ama di più. E lui veloce a invitarmi a tale e ad altre
ripetizioni. Per non parlare di Ivo Ferrari, amico mio e di Franco, la nuova
primula rossa di San Lucano al quale porto i saluti per conto del
decano.
Potrei dirvi che il
racconto sull'addio al bracconaggio di Franco Miotto è stato tra i
momenti più alti del mio festival. Ma sarebbe più interessante
sapere del pranzo inter nos tra il sottoscritto, Franco Miotto, Ivo
Rabanser, Luisa Mandrino, il vulcanico (anche di pelo) Vittorino Mason e
la sensibile pittrice Piera Biliato e... uno studente universitario.
Quest'ultimo ci ha pure regalato un fulmine, forse a ciel sereno, sulla
ricettività esterna al mondo del Festival. Ma voi chi siete? ci ha
chiesto molto discretamente. Un filosofo ungherese avrei potuto
tranquillamente rispondere, come mi ha suggerito Faoro. Noi siamo quelli...
del Festival. Ah sì, ha risposto lo studente, quelli del cartellone con
la montagna che si vede qua fuori. Va là?!
Potrei parlarvi del
pomeriggio dove ho visitato le mostre della Sat, partecipato alla
presentazione della nuova guida delle Pale di Lucio De Franceschi,
parlato con il criptico (non nel linguaggio, ma nello sguardo) Luca
Visentini e il folgorante Mario Crespan. E qua mi espongo. Mario è la
persona nuova che mi ha lasciato forse il segno più profondo del mio
festival. Il suo viso e il suo modo di parlare sembravano appartenere a
quelli di un fratello che conosco dalla notte dei tempi, i miei tempi (qui
intesi come spazi della mente e delle montagne da me frequentate).
Sarà la sua scrittura minuta in un quaderno oblungo e nero, corsiva e
perfetta, saranno i suoi disegni meritatamente in mostra a Trento,
insomma di Mario sentirete parlare ancora e presto.
Potrei narrarvi dei numerosi
incontri nei corridoi, dall'amico romano Aldo Frezza al ricorrente Vegio, dalla grande alpinista Silvia Metzeltin, con cui
ho scambiato alcune parole sulle guide CAI-TCI, alla direttrice blu
(negli occhi e nel fare) di ALP, Linda Cottino. Oppure soffermarmi su
Silvana Rovis, la preziosa intervistatrice de Le Alpi Venete, piena di entusiasmo per
l'alpinismo e talmente gentile da fermarmi in un secondo momento per
presentarmi l'ascetico Armando Scandellari, direttore della preziosa
rassegna veneta di alpinismo (intraisass pare proprio sia letto
a diversi livelli di senescenza!). Potrei
anche dirvi cosa mi ha confessato il regista Giovanni Cenacchi a
proposito di poesia e Mauro Corona. Ma potrei anche dimenticarmi di raccontarvi il mio
incontro con uno dei fari del mio intendere l'alpinismo, il polacco
Krzysztof Wielicki. Pensate, a
vederlo sembra mio zio, un tipo da bar, tranquillo. E' invece tra gli
alpinisti più forti e innovativi al mondo. E neppure vi dico che mi ha
corso dietro mezz'ora per Trento, così mi ha detto lui, dopo averlo
abbandonato sulle scale a Santa Chiara. Voleva che regalassi una copia
di intraisass anche al suo grande amico italiano, Mario Corradini.
Pensavamo fossi scappato via... mi dicono i due segugi, ovviamente
braccato di nuovo assorto a Montagna Libri.
Potrei chiudere con le
ultime birre al tendone dove il figlio di Marko, ricordate l'inizio,
appena quattordicenne, non esita a registrare le sconnessioni del padre
su certi passaggi filmici. Un vero e disincantato (nel senso tecnico, che
non si incanta) osservatore, o meglio l'hard disk di riserva per il
padre. Birre bevute insieme a Vito, Piera, Flavio per discutere del
Festival, o con Franco Michieli a parlare di progetti futuri ed
esplorazione. E potrei sottoporvi, infine, brevi flash, come le entrate nel tendone di un barbone
con un motorino sgangherato quanto i suoi vestiti (tuttavia dietro il
sedere aveva appeso le scarpette d'arrampicata, forse per il boulder di fine serata)
o il discreto scivolare di Marco Benedetti, il
responsabile stampa del Festival, con la sua bicicletta e a tracolla,
diligentemente, la cartella di lavoro.
Potrei parlarvi di mille
altre cose e persone.
Invece chiudo con
l'indecifrabile smorfia di Alberto Inurattegi, a un metro da me,
vincitore del Festival, al momento della comunicazione al Palazzo della
Provincia. Forse perché felice del Premio ma ancora profondamente
infelice per la morte del fratello, Felix, a cui il film è dedicato. Un
leggero sorriso quando gli stringo la mano. Niente di più.
Chiudo, perché è notte
fonda e domani, nonostante il mio festival sia stato straordinariamente
positivo, dovrò inventarmi come sfornare il pane.
Alberto Peruffo
redazione intraisass
5 maggio 2003
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>>> comunicato stampa
del
Filmfestival con i vincitori e i verbali della Giuria
internazionale e della Giuria premi speciali
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