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Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive |
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di Paola Lugo | |
Parlare di matriarcato e montagna ai non addetti ai lavori (ovvero alla stragrande maggioranza delle persone) provoca una serie di reazioni stupite, divertite e palesamente provocatorie. Da parte di amici alpinisti la reazione più benevola è: “matriar che ?” fino al meno condiscendente “Ah no, almeno in montagna queste menate lasciale da parte”. Le amiche storiche e femministe, purtroppo quasi sempre chiuse nelle biblioteche e sommerse dai libri, con un sorriso di larvato interesse mi rispondono che preferiscono il mare e odiano il freddo, chi si occupa di economia, sentendo parlare di economia identitaria, scuote il capo e ripropone, con dati alla mano, la schiacciante monocultura dello sci. Eppure donne, montagna, sviluppo sostenibile del territorio alpino, sono in realtà temi strettamente connessi: a Trento, durante il convegno “Matriarcato e montagna” organizzato dal Centro di ecologia alpina, storici e storiche, antropologi e antropologhe, economiste, alpiniste, agronome e operatrici turistiche hanno messo in comune diversi saperi e diversi approcci per rivendicare la fondamentale importanza che le donne rivestono nello sviluppo e nella conservazione delle comunità di montagna. Da sempre l'economia alpina, la vita quotidiana delle terre alte è stata patrimonio delle donne. Gli uomini erano spesso lontani per lunghi periodi: emigrati in pianura in cerca di lavoro, lasciavano alle mogli le redini del villaggio, sovvertendo in maniera radicale le tradizionali gerarchie familiari. Ecco perché oggi dove le donne se ne vanno la montagna muore. Se il 54% dei comuni di montagna è spopolato, con gravi conseguenze dal punto di vista economico, basti pensare al progressivo dissesto geomorfologico di alcune zone, la soluzione deve partire da una riflessione prima di tutto antropologica e culturale, più che puramente economica e tecnica. Di fronte a un mondo politico che non fa nulla per mantenere la gente in montagna (nella bozza della Costituzione europea non vi era nessun accenno alla specificità del territorio montano, specificità peraltro riconosciuta alle isole) occorre che le donne, da sempre l'elemento più vitale della microeconomia alpina, si diano da fare. I nuovi progetti di sviluppo potranno essere vincenti, e per vincente si intende un'economia che non scaccia la gente dalle valli, solo se si baseranno su valori identitari, in sintonia con la terra, utilizzando le risorse della natura, “senza rinunciare alla magia e alla poesia”, come afferma la risoluzione delle donne della montagna. L'elemento cruciale dello sviluppo sostenibile della montagna sono le donne ha affermato l'economista slovena Patricija Verbole. Peccato che il mondo politico non voglia accorgersene e faccia molto poco per aiutarle. E le alpiniste? Lasciate le pesanti gonne e sottogonne che hanno fasciato e appesantito la povera Henriette d'Angeville le donne alpiniste si sono conquistate, con grande caparbietà e determinazione, un posto di primo piano in un universo prevalentemente maschile. Paola Peira, direttrice del CAI, dopo un breve excursus storico sull'alpinismo femminile, ha riflettuto su quale è oggi il contributo delle donne sia a livello di organizzazione (ruoli ricoperti all'interno del Cai) sia nel proporre nuovi modelli di riferimento. Se alcuni dati sono decisamente sconfortanti (su 480 sezioni solo 16 hanno scelto un presidente donna e su circa 1000 guide alpine vi sono solo sei donne) Paola Peira rilevava un interessante contributo femminile nei settori di recente sviluppo: su 18 organi tecnici, vi sono 8 presenze femminili che rappresentano nuovi modelli. L'alpinismo giovanile, le attività culturali, il campo medico, la libera università della montagna, ecc. sono campi in cui le donne trovano spazio forse perché più disponibili alle innovazioni, più libere di portare il loro contributo. Agire in un ambiente prevalentemente maschile è comunque difficile e faticoso. Ilde Marchetti, presidente dell'Associazione Kima che ogni anno organizza la grande corsa sul sentiero Roma in Val Masino, ha raccontato un'esperienza di turismo sostenibile, che oltre l'exploit sportivo, vuole far conoscere un ambiente e una cultura alpina di rara bellezza. Nato per ricordare la guida alpina Pierangelo Marchetti, fratello di Ilde scomparso durante un'operazione di elisoccorso, l'Associazione si propone di recuperare la cultura della valle, di prestare una particolare attenzione all'ambiente (gli atleti che lordano lungo il percorso sono eliminati) per costruire un grande sogno di valle ideale. La difficoltà di rapportarsi con un ambiente politico tutto maschile, molto poco attento a certi valori, è grande, ma per Ilde si tratta anche di un importante confronto tra aspetto maschile e aspetto femminile, una straordinaria opportunità per ritagliare spazi maggiori al femminile, mostrando come i due mondi possano essere complementari. E se i dati tecnici del trofeo sembrano indicare, ancora una volta, una presenza minoritaria delle atlete (12-15 donne su circa 180 concorrenti) Ilde ha ricordato che i dati vanno interpretati. Il durissimo percorso (48 km e 203 m con 3650 m di dislivello) quest'anno è stato coperto in 8 ore e 10 da un'atleta in dolce attesa. Il messaggio forte che è uscito dal convegno mi è sembrato proprio questo: la polivalenza della verticalità offre alle donne un terreno d'azione illimitato. Non più luogo di solitudine e di isolamento, la montagna può diventare il terreno dove le donne trovano nuovi spazi, elaborando nuovi modelli e nuovi valori.
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Vicenza, dicembre 2003 © gennaio 2004 intraisass
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Paola Lugo |
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APPROFONDIMENTI >> Comunicato stampa 37: Matriarcato e montagna >> Libri consigliati da La Casa di Giovanni: Flavio Faganello, CON VOCE DI DONNA
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