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Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive  


La montagna che cura
 Un reportage dalla giornata "LA MONTAGNA CHE CURA"
Castione della Presolana (BG) 6 marzo 2004
 

di Paola Lugo

Pochi elementi del paesaggio sono carichi di simboli come la montagna: nell'immaginario collettivo le cime innevate e i verdi pascoli rappresentano non solo un'oasi di benessere, agli antipodi delle città venefiche portatrici di stress e malattie, ma anche un luogo di meditazione e di crescita interiore. Per approfondire il legame che lega la Montagna alla salute fisica, ma anche spirituale e psichica, dell'uomo moderno, la Cooperativa Sport&Cultura, nell'ambito del progetto “Gente di montagna”, ha organizzato una giornata-studio “La Montagna che cura” a Castione della Presolana.

Se la montagna d'alta quota, la montagna degli ottomila, «fa malissimo» al nostro organismo, come ha sottolineato il Presidente di Ev-K2-CNR Agostino da Polenza nel suo intervento, le altezze più accessibili rivestono per l'uomo moderno (ovvero l'uomo europeo nato dalla Rivoluzione industriale) un significato altamente taumaturgico, e non limitato solo all'aspetto fisico.

Il legame Montagna, Uomo e Dio è presente in ogni cultura e religione. La Montagna, ha ricordato Padre Espedito D'Agostini, è incombente e inaccessibile, minacciosa e rassicurante: può quindi rappresentare il mistero a cui ogni uomo aspira. La Montagna, simbolo di potenza, potrebbe anche generare nell'uomo il titanico, la sete di dominio e di conquista. Ma la montagna invita anche alla prudenza, il salire richiede cura, esercizio, pratica. Richiede conoscenza, non solo dei materiali o del percorso verso la vetta, ma soprattutto delle proprie forze. Il salire la Montagna richiede quindi umiltà (che è l'arte di occupare i propri limiti), richiede rispetto e riserbo.

Con un approccio decisamente più laico lo scrittore alpinista Franco Brevini ha ricordato che la nostra epoca ha visto la fine dei grandi valori e delle grandi narrazioni: non si va più in montagna perché è bella e nobile, ma perché è un “remedium” (una cura un antidoto) contro la vita moderna.
Ed è proprio alla montagna che cura la mente, il disagio, il corpo che sono stati dedicati gli interventi più numerosi. Medici e specialisti, operatori ed educatori, ma anche guide alpine e istruttori di alpinismo hanno raccontato scalate e trekking molto particolari come i corsi di alpinismo condotti con i ragazzi ospiti di comunità di recupero (tossicodipendenti o minori disagiati) o le escursioni con non vedenti sui sentieri del Trentino, i viaggi in Patagonia e al campo base del K2 con gli ospiti della fondazione Bosis, pazienti reduci da un ricovero in Ospedale Psichiatrico...

Gli operatori sono stati tutti concordi nel definire la specificità dell'azione terapeutica della montagna rispetto ad altri interventi. Per i malati di mente l'esperienza di un trekking in Africa o in Asia presentava sulla carta molte incognite: la fatica fisica si accompagnava alla difficoltà del doversi muovere in spazi totalmente nuovi. Il successo è dipeso sicuramente dall'esperienza di gruppo, grande strumento terapeutico, e dal fatto di essere lontani dal luogo dove l'ospite della comunità era connotato, da sé e dagli altri, come malato, e quindi potersi riproporre in modo nuovo. Ma tutto questo non basta, anche partire per un viaggio in un'altra città avrebbe messo in moto gli stessi fattori. C'è invece una specificità dell'andare in montagna che deve essere sottolineata. Il camminare nei grandi spazi aiuta il malato a recuperare il senso del tempo, che per lui è spesso un tempo immobile, mentre ora si chiede da quante ore cammina, quanto manca alla meta, ecc. Il suo corpo soffre, fa fatica, ma attraverso la sofferenza sente che è capace di accompagnarlo, comincia a sentirlo suo. Smette di essere spettatore per divenire protagonista di un'impresa.
In particolare l'arrampicata è stata indicata come grande risorsa terapeutica per forme di disagio sociale. Angelo Pozzi, della scuola di alpinismo Alpiteam, che da anni collabora con la comunità Arco di Como, ha ricordato come il portare ragazzi con vissuti molto pesanti di tossicodipendenze a fare un'ascensione decisamente impegnativa, non è mai un puro esercizio fisico, ma diventa soprattutto un'importante lezione di vita. Salire una montagna difficile, arrivare in cima, può farmi capire - e lo capisco col mio corpo, in modo forte e coinvolgente, non solo attraverso la “testa” - che se uso gli strumenti giusti posso raggiungere il mio obiettivo. L'esperienza della cordata, dove anche il secondo gioca un ruolo fondamentale, rende consapevole il ragazzo che c'è bisogno di lui, che senza di lui, che fa sicura, che è in grado di bloccare un eventuale volo, non si sarebbe mai arrivati in vetta.

Quante sono, in effetti, le iniziative di solidarietà (ma Franco Giacomoni, presidente della SAT preferisce utilizzare l'espressione “responsabilità sociale”, poiché “è un diritto di tutti frequentare la montagna e mettere tutti nelle condizioni di farlo”) che sono operanti sulle nostre montagne? Sicuramente tante, tantissime , troppo spesso taciute o soffocate da una informazione distratta e frettolosa. Per conoscere un diverso modo di vivere la Montagna c'è un appuntamento importante: a Trento, il prossimo autunno, un Convegno nazionale del Cai cercherà di “mappare” queste realtà, con l'obiettivo di “dare un livello diverso al nostro andare in montagna”.

 

Vicenza, marzo 2004
© marzo 2004 intraisass

 

Paola Lugo

APPROFONDIMENTI
>> Comunicato stampa 37: La montagna che cura
>> Libri consigliati da La Casa di Giovanni: LiberaMente in Patagonia, Kilimanjaro 2003, L'Arte dei Puri (Fondazione Emilia Bosis)

 

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