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Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive |
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di Paola Lugo | |
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Pochi elementi del paesaggio sono carichi di simboli come la montagna: nell'immaginario collettivo le cime innevate e i verdi pascoli rappresentano non solo un'oasi di benessere, agli antipodi delle città venefiche portatrici di stress e malattie, ma anche un luogo di meditazione e di crescita interiore. Per approfondire il legame che lega la Montagna alla salute fisica, ma anche spirituale e psichica, dell'uomo moderno, la Cooperativa Sport&Cultura, nell'ambito del progetto “Gente di montagna”, ha organizzato una giornata-studio “La Montagna che cura” a Castione della Presolana. Se la montagna d'alta quota, la montagna degli ottomila, «fa malissimo» al nostro organismo, come ha sottolineato il Presidente di Ev-K2-CNR Agostino da Polenza nel suo intervento, le altezze più accessibili rivestono per l'uomo moderno (ovvero l'uomo europeo nato dalla Rivoluzione industriale) un significato altamente taumaturgico, e non limitato solo all'aspetto fisico. Il legame Montagna, Uomo e Dio è presente in ogni cultura e religione. La Montagna, ha ricordato Padre Espedito D'Agostini, è incombente e inaccessibile, minacciosa e rassicurante: può quindi rappresentare il mistero a cui ogni uomo aspira. La Montagna, simbolo di potenza, potrebbe anche generare nell'uomo il titanico, la sete di dominio e di conquista. Ma la montagna invita anche alla prudenza, il salire richiede cura, esercizio, pratica. Richiede conoscenza, non solo dei materiali o del percorso verso la vetta, ma soprattutto delle proprie forze. Il salire la Montagna richiede quindi umiltà (che è l'arte di occupare i propri limiti), richiede rispetto e riserbo. Con un approccio decisamente più laico lo scrittore alpinista Franco
Brevini ha ricordato che la nostra epoca ha visto la fine dei grandi
valori e delle grandi narrazioni: non si va più in montagna perché è bella
e nobile, ma perché è un “remedium” (una cura un antidoto) contro la vita
moderna. Gli operatori sono stati tutti concordi nel definire la specificità
dell'azione terapeutica della montagna rispetto ad altri interventi. Per i
malati di mente l'esperienza di un trekking in Africa o in Asia presentava
sulla carta molte incognite: la fatica fisica si accompagnava alla
difficoltà del doversi muovere in spazi totalmente nuovi. Il successo è
dipeso sicuramente dall'esperienza di gruppo, grande strumento
terapeutico, e dal fatto di essere lontani dal luogo dove l'ospite della
comunità era connotato, da sé e dagli altri, come malato, e quindi potersi
riproporre in modo nuovo. Ma tutto questo non basta, anche partire per un
viaggio in un'altra città avrebbe messo in moto gli stessi fattori. C'è
invece una specificità dell'andare in montagna che deve essere
sottolineata. Il camminare nei grandi spazi aiuta il malato a recuperare
il senso del tempo, che per lui è spesso un tempo immobile, mentre ora si
chiede da quante ore cammina, quanto manca alla meta, ecc. Il suo corpo
soffre, fa fatica, ma attraverso la sofferenza sente che è capace di
accompagnarlo, comincia a sentirlo suo. Smette di essere spettatore per
divenire protagonista di un'impresa. Quante sono, in effetti, le iniziative di solidarietà (ma Franco Giacomoni, presidente della SAT preferisce utilizzare l'espressione “responsabilità sociale”, poiché “è un diritto di tutti frequentare la montagna e mettere tutti nelle condizioni di farlo”) che sono operanti sulle nostre montagne? Sicuramente tante, tantissime , troppo spesso taciute o soffocate da una informazione distratta e frettolosa. Per conoscere un diverso modo di vivere la Montagna c'è un appuntamento importante: a Trento, il prossimo autunno, un Convegno nazionale del Cai cercherà di “mappare” queste realtà, con l'obiettivo di “dare un livello diverso al nostro andare in montagna”.
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Vicenza, marzo 2004 © marzo 2004 intraisass
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Paola Lugo |
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APPROFONDIMENTI >> Comunicato stampa 37: La montagna che cura >> Libri consigliati da La Casa di Giovanni: LiberaMente in Patagonia, Kilimanjaro 2003, L'Arte dei Puri (Fondazione Emilia Bosis)
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