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  Martedì 27 Maggio 2003
L’inferno di vento prima della gloria
I quattro giorni che entrano nella storia
Verso la "dea della madre terra"
Natura implacabile, ma vince l’uomo

di Claudio Tessarolo
inviato in Tibet

Rongbuk. Quattro giorni per arrivare sul tetto del mondo, quattro giorni di passione, di ansie, di timori, quattro giorni di speranze, illusioni, delusioni, alimentati dal desiderio di farcela, costellati dalla paura di non raggiungere la meta, poi ancora dalla fiducia di potercela fare. Quattro giorni di solitudine totale, in balia di se stessi e soprattutto delle bizze del Qomolangma, la "dea madre della terra", maestosa, capricciosa, temibile e amabile al tempo stesso: solo lei decide alla fine chi e quando far salire sul suo grembo fino ad arrivare lassù, dove la vita non ha dimensionin umane, dove l'energia terrestre raggiunge il culmine ultimo.
23 maggio, venerdì. Bellò e Vielmo partono per il colle Nord. Partono dal campo base avanzato con un giorno di ritardo, bloccati da una bufera di neve, dal freddo e dal vento che spazza senza remissione i fianchi della montagna. Sono accompagnati da Cristina Castagna e dagli scherpa Muktu, Taschi e Dhoge. Le previsioni non sono incoraggianti ma non c'è alternativa, l'Everest bisogna saperlo cogliere al balzo, se ci sarà una "finestra" di bel tempo come ci si augura, si deve essere pronti ad approfittarne.
24 maggio, sabato. Sono subito problemi dopo la notte trascorsa al colle Nord nelle tende degli spagnoli. Il capo degli scherpa, Muktu, non sta bene e la prima prognosi è allarmante: edema polmonare. Nemmeno la generosa Cristina Castagna sta bene ma il suo è il tipico affaticamento di chi non si è mai risparmiato. A quota 7050 si respira una certa aria di sfiducia. Tarcisio Bellò organizza la discesa alk campo base avanzato di Muktu e di Cristina Castagna e parte per il campo 2. Mario Vielmo rimane ancora al colle Nord per sincerarsi che i due riescano a scendere poi raggiunge Bellò.
La giornata è una tipica giornata di questo maggio anomalo: un inferno di vento. È difficile camminare sotto il flagello delle raffiche che tolgono il respiro, annebbiano la mente, riducono drasticamente le energie.
Arrivano nel tardo pomeriggio a quota 7500, dove trovano fortunatamente le tendine abbandonate ma rifornite di tutto da una spedizione inglese.
Il vento forte mette a dura prova nervi degli alpinisti e il loro riparo. Trascorrono la notte senza chiudere occhio, la voglia di continuare a salire è sempre meno.
25 maggio, domenica. Una giornata stupenda, straordinaria quella che Bellò e Vielmo si godono non appena aperta la cerniera della loro tendina. Un sole caldo li accarezza, non c'è un filo di vento: roba da non crederci. L'umore sale, torna il desiderio di non arrendersi, di continuare a misurarsi con la montagna più alta del mondo. Si è placato il vento, non però la malasorte che sembra perseguitare la spedizione vicentina: i due scherpa tibetani non ne vogliono sapere di continuare, forse sono rimasti choccati da quanto accaduto a Muktu, il loro capo. Parlano chiaro a Bellò e Vielmo, e se ne vanno, tornano al colle Nord e da lì giù al campo base. Una mazzata, una cosa inaudita. Ma la coppia di alpinisti vicentini non si perde d'animo: scalare l'Everest è già una impresa, senza l'aiuto degli scherpa lo è ancora di più. I due salgono, la giornata è stupenda e raggiungono nel tardo pomeriggio il campo 3, a 8300 metri, 500 metri di dislivello dalla vetta. Stanno bene, il morale è buono, hanno trovato ossigeno in abbondanza. Decidono di tentare la vetta.
26 maggio, lunedì. Da Rongbuk l'Everest si presenta in tutto il suo splendore. Il cielo è sereno, assolutamente sgombra di nubi la piramide della più alta montagna del mondo. Inizia così, col pensiero fisso ai due scalatori vicentini alle prese con la micidiali cresta nord est e i suoi step, una lunghissima mattinata di attesa. La radio sempre accesa tace: trascorrono le ore e si al campo base si fanno le congetture più verosimili per spiegare il silenzio della ricetrasmittente. Verso le 11 sulla sommità dell'Everest compare il caretteristico pennacchio, segno inequivocabile della presenza del vento in quota. Bellò e Vielmo in effetti stanno lottando sulla cresta sommitale contro i poderosi e terribili sbuffi che partono dalla sommità del monte. Poi, finalmente nel primo pomeriggio, l'atteso contatto radio. Tarcisio Bellò racconta entusista il suo tentativo, spentosi a cinquanta metri di dislivello dalla vetta. C'è un po’ di rimpianto, è stremato ma felice. Sta aspettando che torni al campo 3 anche Vielmo, che, più in forze, ha proseguito il cammino. Verso i confini del cielo.

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