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Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive  
 

Lo spigolo Vinci

>prima parte<
>seconda parte<
>terza parte<

di Gianni Fantini

 

A mia moglie, a mio figlio

Babbo, perché quando andate in montagna non salite dal
sentiero come fanno tutti gli altri?
(Alessandro Fantini – sei anni)


 

Premessa

Questa storia è il frutto di una fantasia.

A volte la fantasia viene considerata una debolezza.

Altre volte una forza travolgente.

I personaggi descritti nelle pagine seguenti non sono mai esistiti.

Non per questo non hanno forza.

Sulla mia mente hanno avuto una forza devastante.

Mi hanno costretto a scrivere di loro.

Della montagna che li ha ospitati.

La montagna, invece, esiste davvero.

Il Pizzo Cengalo è una delle più belle cime della Val Masino.

Lo spigolo che scende dalla cima nevosa della montagna all'anticima e poi verso sud-ovest lungo una successione di balze rocciose e di creste granitiche è davvero uno spettacolo mozzafiato.

Vinci, Bernasconi e Riva lo salirono nel 1939 durante la guerra con pochi chiodi ed una vecchia corda di canapa.

La via di salita è impegnativa ma non pericolosa.

La roccia solida, la chiodatura buona.

Quando avrete po' di tempo andateci!

E' un luogo dello Spirito e un bel posto nel Mondo.

Una bella scala per salire in alto.

 

Alex

Il tempo fuori era splendido.
Nel  piccolo termometro appeso al muro del rifugio, di fianco all'entrata, la temperatura segnava  nove gradi.
La luce del sole era appena tramontata dietro alle montagne,  ad ovest.
Il buio saliva dalla valle.
Lo si poteva vedere.
La linea dell'ombra saliva in fretta  ricoprendo i boschi.
La malga giù in basso, lontana, era già nell'oscurità.
La zona dei prati sembrò resistere per un po' di minuti.
Poi cedette il passo e fu ricoperta dall'ombra.
La visione di quella valle che scendeva così vertiginosa era inquietante.
Era una strana serata.
Di quelle che si ricordano.
Quelle prima di ogni salita erano serate strane.
La prima cosa che Alex notò fuori del rifugio fu il vento che insisteva a punzecchiare un sacchetto di plastica.
Lo prese, lo girò in aria di fianco alla bandiera, sembrò perderlo.
Poi lo riprese e lo portò via ad una velocità incredibile.
Prima verso la morena, poi sul ghiacciaio.
Alex lo  seguì mentre si perdeva su una cresta di neve.

Ad Alex sembrò che nulla fosse fuori posto.

Si appoggiò al legno della staccionata e guardò in basso.
Poi guardò verso lo spigolo che avrebbe dovuto salire il giorno successivo.
Era ancora illuminato dal sole e sembrava risplendere di una sua luce propria.
Ripercorse con lo sguardo le lunghezze di corda che avrebbe salito domani.
Si immaginò i singoli passaggi uno per uno.
Il canalone che sembrava pieno di neve.
L'intaglio sulla cresta.
I tiri facili per arrivare al primo salto verticale.
“Come sarà la schiena di mulo?”
“Il diedro nero difficile sarà bagnato?”
“Sarà possibile salire ugualmente tirandosi sui  chiodi?”
Si chiese almeno una decina di cose contemporaneamente e cercò delle risposte.
Ma non arrivarono voci.
Il suo io era calmo, impassibile.
Come se quella ascensione non fosse sua.
Pensò che se non arrivavano voci negative era già una cosa positiva.
Si costringeva, tutte le volte che saliva  in montagna, di ascoltare la voce interiore che ogni tanto parla agli alpinisti.
A volte questa voce diceva di non partire e di ritornare indietro, altre volte di prestare attenzione o di piantare un chiodo in più.
Alex la sentiva quasi ogni volta.
E ci credeva ciecamente.
Anche se il tempo era splendido poteva scendere e smettere di arrampicare se aveva di queste premonizioni.
Non aveva paura.
Era solo attento alle intuizioni del suo istinto.

Dall'interno del rifugio arrivavano voci e grida.
Era ora di cena.
E quasi tutti mangiavano durante il primo turno.
Si accorse di avere fame.
Poi sentì il vento freddo entrargli da dietro, sul collo e si chiuse il pile anti-vento.
Rimase immobile pensando a come tutto era perfetto lì attorno.
Una corona di montagne illuminate dal sole.
Il cielo terso.
L'aria frizzante.
L'assenza di pensieri e di ansie.

Doveva ritornare dentro.

Chiamare Jacopo, il suo compagno di scalata e di viaggio (che probabilmente stava dormendo di sopra nella camerata).
Cercarsi un posto  a tavola.
Mangiare.
Prepararsi per la notte.
Andare a letto presto.
Entrò nell'atrio del rifugio.
Salì le ripide scale, ricoperte di una plastica nera, fino al secondo  piano.
Si infilò nella camerata piccola di destra.
Vi erano quattro materassi per terra sistemati uno di fianco all'altro, vicini.
Nell'ultimo a destra si era sistemato Jacopo, che sembrava dormire beatamente.
I due materassi di sinistra  erano occupati  con  zaini e corde.
Sicuramente era il materiale di due alpinisti.
Alex si era sistemato in mezzo nel materasso rimasto libero e si era preoccupato che ci fosse abbastanza spazio per poter dormire comodamente.
Sembrava abbastanza confortevole e sufficientemente morbido.
Dalla finestra filtrava una luce soffusa, ormai stanca.
“Jacopo” sussurrò.
“Jacopo svegliati” gli ripeté toccandolo  appena.
“E' ora di andare a mangiare”.
“Altrimenti non troveremo più niente!”
Jacopo  spalancò immediatamente gli occhi.
“Non sto dormendo” disse.
Si stirò un poco le braccia.
“Sto solo pensando ad occhi chiusi”.
“Andiamo a mangiare: si sono liberati  alcuni posti” disse Alex impaziente.
“Chi è arrivato  di fianco a noi?”
“Li hai visti?” aggiunse.
“No, non ho visto nessuno”.
“Forse per un po' ho dormito davvero” rispose Jacopo confuso. 

Alex e Jacopo erano compagni di cordata da sempre.

Avevano incominciato ad arrampicare quasi venti anni fa, per gioco.
Durante l'inverno si allenavano insieme.
Palestra e boulder.
Niente di fantasmagorico.
Solo un allenamento alla settimana ed un' uscita in falesia ogni tanto.
Appena la stagione lo permetteva inserivano nel carniere qualche bella via di montagna.
Preferivano entrambi le vie di roccia.
Preferibilmente ben chiodate.
Oppure quelle dove era facile proteggersi.
In montagna non avevano mai azzardato nulla più del dovuto.
A parte qualche piccolo sasso sul casco non avevano mai avuto incidenti.
Quell'estate ancora non avevano fatto nulla di importante.
Il tempo era stato così orribile che non ci avevano neanche provato.

Ora erano al rifugio.

Avevano addosso la stanchezza del viaggio in automobile: cinque ore e mezzo di traffico terribile.
Avevano nelle gambe quattro ore di ripido sentiero.
Di sotto, nella sala da pranzo del rifugio, l'ambiente era euforico.
Un gruppo di escursionisti con l'accento lombardo sulla cinquantina aveva iniziato a cantare a squarciagola accompagnati da una chitarra stonata e dal rumore delle posate sui piatti.
Avevano di certo un tasso di alcol elevato in circolo.
Un odore di minestrone misto a sudore permeava i muri di legno e pietre.
Alex e Jacopo si guardarono intorno per cercare un posto tranquillo dove mangiare in pace.
Si misero in fondo alla grande stanza in una posizione defilata, dietro una grande colonna da cui spuntavano le ali di un gallo cedrone imbalsamato.
Il tavolo si era appena liberato.
Arrivò quasi subito un ragazzo, alto e riccioluto, di circa quattordici anni,  a portare via gli avanzi.
“Cosa prendete?” gli disse quando ritornò con il block-notes.
“Minestrone, pasta al sugo,  braciola, cotoletta, polenta, salsiccia, patate fritte”.
Alex optò per il minestrone e la cotoletta.
Jacopo  preferì un piatto di spaghetti con sugo di carne ed una braciola di maiale.
“Intanto vi porto un po' di pane” suggerì.
“Vino?”
“Sì, un  boccale di vino rosso va bene” concluse Jacopo.
“Deve essere il figlio del custode”.
“Si assomigliano molto” aggiunse nuovamente Jacopo.
Alex annuì.
Non era molto attento ai discorsi di Jacopo. Intanto che aspettavano iniziò a guardare le fotografie appese alle pareti.
Vecchi alpinisti col maglione rosso ed enormi scarponi di cuoio ai piedi. Vecchie foto sbiadite della parete Sud del Badile su cui erano state tracciate in nero gli itinerari che la percorrevano.
Foto più recenti di climbers in canottiera.
Una foto di Patrick Berhault in visita  al rifugio insieme al gestore.
“Certo che si sta invecchiando anche lui” pensò.
Patrick Berhault per Alex era stato un mito.
E lo era ancora.
L'aveva anche conosciuto una volta.
Dopo una sua proiezione in città erano andati a mangiare una pizza, insieme agli organizzatori della serata.
Si erano messi  a  chiacchierare.
Berhault sarebbe rimasto anche il giorno successivo in zona.
Così decisero di andare la mattina seguente nella falesia di Pietramora ad arrampicare.
Quel giorno era rimasto memorabile.
Inciso nella mente di Alex come i dieci comandamenti.
Berhault era riuscito a salire in libera il grande tetto sotto la “Caverna  del fuoco”.
Alex non riusciva a passare neanche utilizzando le staffe.
Quando si era calato in doppia dalla sommità della falesia un'ovazione l'aveva accolto.
Quel giorno Alex e gli altri realizzarono che non era un essere umano.
“Però era anche una persona semplice” pensò di nuovo,  sorridendo tra sé.
Tra una foto e l'altra vi era qualche animale imbalsamato e qualche grossa campana, di quelle che si mettono alle mucche al pascolo.
Fu proprio  allora che abbassando lo sguardo la vide.
Era una donna sulla trentina.
Aveva uno strano cappellino tirolese verde calato sul viso da cui spuntavano  dei lunghi riccioli biondi ed un naso in punta.
Il sorriso era appena accennato ma lasciava intravedere dei denti bianchi ed ordinati.
Parlava animatamente con un ragazzo di fronte a lei.
Sembrava stessero litigando con foga.
Del ragazzo di fronte a lei si poteva vedere che era alto e muscoloso.
Aveva lunghi capelli da “rasta” ed un orecchino nel lobo destro.
Alex pensò che era carina.
Molto carina.
La più carina del rifugio.
Molte volte Alex giocava mentalmente con la “classifica della ragazza più bella”.
Gli capitava in ufficio, in treno, sulla spiaggia.
Stilava una classifica.
Così, tanto per dare un giudizio ponderato e per riempire la mente.
Qui nel rifugio la  graduatoria era abbastanza immediata e facile da stilare.
Si rese conto che non vi erano più di cinque  donne in tutta la sala.
Tre bubbione tedesche sulla sessantina ed una moretta con il maglione delle guide, dai lineamenti spigolosi.
“Forse è altoatesina oppure solo bionda tinta” pensò.
“Comunque è proprio bella”.
Alex intuì che fosse molto triste da quel modo che aveva di guardarsi intorno.
Da quello strano gesticolare con le mani.
“Sicuramente è molto incazzata” pensò.
L'uomo di fronte a lei doveva passare un brutto quarto d'ora.
Alex continuava a fissarla.
Stava per girarsi ed incominciare a mangiare quando anche lei, per un attimo, lo vide.
I due  sguardi s'incrociarono.
Per un momento gli occhi di Alex si posarono sul corpo della ragazza.
Anche  con il pile rosso che portava era  facile immaginare un seno generoso ed un fisico molto atletico.
Viceversa anche lei lo fissò.
In un modo che gli sembrò impertinente.
Poi d'improvviso l'incanto si ruppe.
Il figlio del custode aveva portato un minestrone fumante.
Si era messo in mezzo, barbaramente.
Alex distolse lo sguardo e tornò alla conversazione con Jacopo.
Con la coda dell'occhio la vide alzarsi ed uscire in fretta dalla grande stanza.

La cena procedette bene.

La cotoletta era squisita.
Alex fece anche i complimenti al gestore.
Non era facile mangiare bene  nei rifugi di montagna.
Jacopo era un buon compagno non solo di cordata  ma anche a tavola.
Aveva inoltre un appetito insaziabile.
Piaceva ad Alex perché parlava solo nei momenti opportuni.
Perché dava sicurezza quando arrampicava (anche se era più scarso di lui).
Perché all'occorrenza sapeva alzare le braccia e dire con solennità: “Siamo nelle mani di Dio”.
Jacopo, aveva circa cinquant'anni (dodici  più di Alex).
Ma non li dimostrava.
Aveva tre figli grandi ed una moglie molto paziente.
Era medico pediatra ed un credente convinto.
Non che Alex non fosse credente.
Lo era anche lui.
Ma non frequentava gruppi religiosi, né tanto meno andava a messa.
Alex credeva nell'esistenza di un Grande Padre, buono e caritatevole.
Ma faceva fatica a credere a tutti i dogmi del cattolicesimo.
Si rendeva però conto che la religione, la pratica della religione,  era un mezzo “onesto” per cercare di comunicare con Dio.
Lui preferiva un contatto più intimo fatto di pensieri e sentimenti.
Voleva trasformare la sua vita in una preghiera, intesa come realizzazione di un'armonia con le cose, le persone ed il Grande Essere.
A volte ci era vicino.
Altre volte molto, molto  lontano.
Ma non disperava.
Cercava solo di fare il meglio che poteva in ogni situazione.
Un'altra ragione per cui gli piaceva arrampicare con Jacopo era  per quella sua fissa delle preghiere.
Prima dell'ascensione, la mattina, recitava una preghiera a Maria.
In cima,diceva l'Angelus.
Dopo l'ascensione, sulla via di discesa un vespro serale.
Così ogni volta che si andava via  insieme sembrava di partecipare non ad una semplice arrampicata ma ad una spedizione alpinistica in grande stile con sponsor divini in appoggio.
Con Jacopo ogni piccola uscita diventava mitica (o mistica?) ed ogni grande salita diventava epica.
Come quella volta in cima al Corno Piccolo.
Si mise seduto sotto la croce di vetta e cominciò a pregare, ad alta voce, come se fosse un prete, davanti ad un gruppo sbigottito di romani “caciaroni”  che inveiva contro l'arrivo della pioggia.
Rimasero interdetti.
Poi ammutolirono.
Ed alla fine se ne andarono alla chetichella pensando chi fossero quei due strani alpinisti.

A cena si parlò del tempo che doveva essere splendido per i prossimi giorni.
Delle mogli di entrambi che erano al mare in vacanza.
Dei figli di Jacopo ormai grandi ed in età da morosa.
Della possibilità che la via di domani fosse frequentata anche da altre cordate.
“Nel qual caso” come diceva sempre Jacopo “è meglio muoversi per primi”.
“Prima si parte, prima si arriva, meno sassi ti cadono sulla testa”.
La discussione, dopo un po' di vino nel sangue,  girò quasi inevitabilmente  sulle donne  presenti  nella sala.
Sulla moretta nana e tutta tana.
Sulla bionda enigmatica e triste che era uscita poc'anzi.
Alex soleva dividere  l'universo femminile in due gruppi ben distinti.
Chi aveva la passera spadona  e chi aveva la  passera  pomidorona.
Da buon romagnolo sapeva distinguere immediatamente, ad un primo sguardo, chi apparteneva ad una delle due categorie.
Non era solo una distinzione di carattere ginecologico ma per Alex  rispecchiava una suddivisione in due tipi di donna completamente diversi.
Alta, altera, nordica, vezzosa ed un po' arrogante l'una.
Più bassa, mediterranea, solare ed allegra l'altra.
Prima di sposarsi quando  andava a caccia  di femmine con gli amici del Bar Mario non cercava mai di mettersi con una di categoria spadona.
Troppo complicato.
Già sapeva che tutto sarebbe stato inevitabilmente difficile.
Preferiva le pomidorone, di carnagione castano scuro, con sguardo attento ed occhio furbetto.
(Segno inequivocabile  di una  sana ed intensa attività sessuale!).
“Sicuramente la bionda di prima, in fondo,  era da catalogare fra le spadone” decise fra sé.
Anche Jacopo condivideva questo giudizio: preferiva  il genere mediterraneo.
Più semplice da trattare.
Ad onor del vero era attratto irresistibilmente da entrambe le categorie.
Ma da buon vecchio padre di famiglia, con tre figli ormai grandi ed una moglie che lo teneva con un ferreo guinzaglio, si era abituato ad osservare l'altro sesso con distacco, credendo che mai  gli potesse capitare qualcosa  di extraconiugale.
“Sì, sicuramente era spadona, tedesca  ed antipatica” sentenziò alla fine, dopo aver ingurgitato l'ultimo boccone di carne.
Su questa cosa erano d'accordo.
Su molte altre cose erano d'accordo.
Ma prima fra tutte sulla assoluta necessità di rimanere fedeli alle proprie compagne.
Questo per diverse ragioni:
-         ci si poteva rimettere un sacco di soldi;
-         era contro i principi cattolici;
-         si poteva andare incontro ad un enorme rullo di botte;
-         ma soprattutto ciò era contrario al quieto arrampicare.
Come avrebbe potuto un uomo normale gestire una situazione composta da moglie, figli, amante, allenamenti, uscite in montagna?
Era praticamente impossibile!
Per una corretta riuscita degli obiettivi alpinistici prefissati ad ogni inizio stagione i rapporti extraconiugali erano assolutamente da evitare.
Era altresì da evitare l'uso di troppo alcol e fumo.
“Un buon arrampicatore deve rimanere concentrato anima e corpo sui suoi obiettivi e non può certo perdersi in penose relazioni amorose  extra- matrimoniali”.
Questo era una regola ferrea.
Anche il sesso fatto con le proprie mogli andava rallentato (almeno prima  delle vie più impegnative).
Alex conosceva i nomi di almeno quattro alpinisti rimasti incrodati in parete perché la sera precedente avevano scopato con troppa foga.
Ed il mitico Peppe, portato sempre ad esempio, non faceva mai l'amore nei tre giorni precedenti una grossa ascensione.
Naturalmente se te la offrivano su un piatto d'argento, sbattendotela in faccia, era difficile addurre scuse.
Rifiutare era inoltre una grave forma di maleducazione.
Anche su questo, quella sera, Alex e Jacopo erano d'accordo.
Di fronte ad una donna che si offre  in maniera inequivocabile  è maleducazione dire di no!
Però era una bella sfiga se poi dovevi arrampicare.

Finirono di cenare che erano circa le nove.
La sala era ormai vuota e molte persone si erano trasferite nelle camerate o nella sala attigua a consultare guide ed a sorseggiare un bicchierino di grappa.
In realtà a nessun alpinista piace la grappa.
Ma la sera prima dell'ascensione fa bene addormentarsi con un tasso alcolico più alto del solito.
Aiuta a prendere sonno più in fretta ed a tenere lontano i cattivi pensieri. 

Anche Jacopo ed Alex si trasferirono nella saletta a fianco.

Alex prese il libro del rifugio e si mise a contare le ascensioni svolte fino ad allora sullo Spigolo.
Ne contò ventitré nell'estate precedente ed undici per quell'estate.
Otto erano state fatte lo stesso giorno, in luglio, da un corso di aspiranti guida.
Le altre tre la settimana successiva.
Poi il tempo era stato brutto.
Aveva nevicato molto più in basso del rifugio e tutte le ascensioni erano rimaste improponibili per circa un mese.
Ora era ritornato di nuovo il sereno.
L'anticiclone era riuscito ad emergere scalzando almeno per una settimana  la bassa pressione.
Alex e Jacopo avevano passato intere settimane a consultare i siti meteo alla ricerca di qualche giornata di tempo stabile.
Ora erano lì.
Pronti all'azione.

Alex uscì per un attimo dalla stanza ed andò fuori del rifugio.

Una miriade di lampadine erano accese nel cielo.
Pensò che era da un pezzo che non vedeva tante stelle tutte insieme.
Non era freddissimo.
Il termometro segnava sette gradi.
Lo zero termico si alzava rapidamente in quelle giornate dominate dal tempo stabile.
“Domani sarebbe stato una calda giornata” pensò fra sé.
Indugiò un attimo cercando di sentire i rumori ed i sapori che scendevano dalla montagna.
Immagazzinò tutto per bene nella sua mente.
Durante l'inverno li avrebbe estratti ed utilizzati per darsi un po' di coraggio. 

Poi tornò dentro.

Si era infreddolito.
Ed aveva anche molto sonno.
Il vino della cena, la lunga camminata per arrivare dall'automobile al rifugio, la grappa...
Era stanco e leggermente euforico.
Ritornò dentro e guardò verso Jacopo.
Stava ancora leggendo tranquillamente un vecchio numero di ALP.
“Meglio lasciarlo stare”  pensò. 

Decise di salire le ripide scale e di  andare di sopra  in camerata.

Doveva preparare il materiale.
Le scale del rifugio erano buie.
Non erano ancora state accese le luci.
Entrò nella sua stanza.
Non c'era nessuno.
Da una fessura sotto la finestra entrava uno spiffero gelido.
Accese la pila frontale.
Si mise con calma a preparare il materiale per la scalata.
La guida delle ascensioni era molto chiara: normale dotazione alpinistica  più una serie completa di friend.
Preparò le corde da nove millimetri.
L'acqua dentro un bottiglietta di plastica.
L'ovino Olympus.
Il casco naturalmente.
Voleva dire almeno otto chili di materiale da portare.
Prese come al solito qualche chiodo in più del necessario e qualche friends in  misura doppia.
“Non si sa mai”.
“Grosso materiale, grosso alpinista” soleva ricordargli Jacopo.
A dire il vero non ci credeva molto a questa storia.
I più grandi alpinisti  avevano fatto cose eccelse con pochi mezzi.
Ma  Alex non poteva rischiare di farsi male.
Aveva una moglie vorace che lo aspettava a casa ed una briciola di figlioletto di sei anni che impazziva per lui.
Non poteva permettersi neanche un graffio.
Alla fine mise tutto ai piedi del materasso e fu soddisfatto.
La scelta del materiale per un arrampicatore fa parte di un rituale irrinunciabile ed importante.
Ogni cosa va controllata, pulita, accarezzata...
Tutto deve essere a posto ed in perfette condizioni.
Alex su questo era ancora più rigido della media degli alpinisti.
Appena vedeva qualche cordino o moschettone rovinato non esitava a gettarlo e sostituirlo.
Quasi ogni settimana,  a casa, lo rimetteva in ordine.
Puliva a fondo la suola delle scarpette.
Dava un po' di grasso nei moschettoni o nell'ingranaggio dei friend.
Era un maniaco del materiale.
A casa aveva un armadio pieno di ferraglia.
Più fornito di un negozio specializzato.
Tanto è vero che a fine stagione procedeva regolarmente a fare una piccola svendita fra amici.
D'altra parte era il suo unico hobby e non gli dispiaceva spendere i soldi in quel modo.
Fu pronto.
L'orologio al polso segnava le nove e quaranta.
Alle dieci tutti sarebbero andati a dormire.
Anche Jacopo, che era rimasto di sotto a sfogliare riviste.
Anche i due alpinisti di fianco a lui, che non aveva ancora visto.
Si preoccupò un po' pensando che avrebbe dormito di fianco a degli sconosciuti.
Però dalla parte in cui si girava per addormentarsi  si era posizionato  Jacopo.
E quindi, poiché dormiva su un fianco, avrebbe dato loro la schiena.
Questa prospettiva lo tranquillizzò. 

Jacopo arrivò dopo qualche minuto.

“Lo sai, domani verrà ad arrampicare sulla nostra via anche quella cordata di giovani tedeschi” gli disse.
“Di chi stai parlando?” rispose Alex.
“Di quella ragazza alta e bionda che abbiamo notato di sotto e del suo compagno”.
“Me lo ha detto il gestore”.
“Allora bisogna partire presto” propose Alex.
“Così saremo i primi e non ci cadranno sassi in testa”.
”A proposito”  riprese “non sono tedeschi”.
“Li ho sentito parlare italiano”.
“A che ora mettiamo la sveglia?” chiese Jacopo.
“Alle sei meno dieci” rispose preciso Alex.
Intanto tutti gli altri stavano salendo nelle camerate adiacenti e si preparavano per la notte.

Trambusto, eccitazione, paura, esitazione.

Ogni voce aveva toni diversi e lasciava trasparire  sentimenti diversi.
Alex si mise a letto già vestito e pronto per l'indomani.
Appoggiò ai piedi del letto il pile anti-vento e la berretta.
Anche Jacopo si sistemò in fretta.
Si tolse le scarpe e si mise sotto la coperta senza  fiatare.
Era veramente stanco.
Probabilmente disse a bassa voce una preghiera di compièta.
Infatti, Alex lo sentì  bisbigliare qualcosa in maniera sommessa ed incomprensibile.
“Buona  notte” disse Jacopo prima di girarsi verso il muro.
“Buona notte” rispose Alex. 

Dopo quaranta secondi esatti Jacopo stava già dormendo.

Bofonchiava tranquillamente.
Jacopo aveva la capacità eccezionale di addormentarsi in maniera ultrarapida.
Per Alex, che non riusciva mai a prendere sonno, questa cosa era  sconcertante.
Il passare così velocemente dalla veglia al sonno eliminava quel momento intermedio in cui sorgono i pensieri più cupi e gli incubi più strani.
Era una gran bella cosa.
Jacopo era solito dire che il suo era il sonno del giusto.
A volte, diceva,  gli era addirittura capitato di addormentarsi in piedi.
Era come quando ad un elettrodomestico viene tolta la corrente ed il suo motorino elettrico gira per inerzia ancora per qualche secondo.
Alex iniziò a pensare alla salita dell'indomani.
Cercava di cogliere dei segnali o degli avvertimenti dal suo istinto.
Ma non ne percepì.
Per questo era molto rilassato.
Alle dieci in punto si spensero le luci.
Le voci nelle altre camerate si fecero più basse e discrete.  

Dopo qualche minuto arrivarono i due vicini di letto.

Era la coppia che avevano notato durante la cena.
La ragazza bionda col cappellino verde ed il suo compagno.
Lei sembrava alta almeno quanto Alex ed aveva un'incredibile quantità di capelli.
Lui era alto e massiccio, con quegli strani capelli che gli scendevano sulle spalle.
Parlavano sottovoce.
“In ogni caso erano italiani” pensò Alex.
“Forse di Brescia o di Sondrio”.
Si sistemarono con calma, pestando ripetutamente il suo materasso.
Alex fece finta di dormire.
Lei si tolse i pantaloni e rimase in slip e maglietta.
Era una maglietta marca Patagonia grigio chiaro.
Alex era un esperto in abbigliamento tecnico e riconobbe immediatamente, anche nella semioscurità, il marchio cucito sul davanti.
Alex non poté fare a meno di notare il corpo statuario che  si intravedeva  contro la fioca luce che proveniva dall'esterno.
Si misero a sistemare le loro cose aiutandosi con la pila frontale.
Jacopo dormiva russando debolmente.
“Beato lui!” pensò.
Alex era sveglio ma con gli occhi chiusi e cercava disperatamente di prendere sonno.
“Non sarebbe stato facile addormentarsi!”
Alla fine la ragazza si sistemò sotto le coperte dopo aver provveduto ad inserire sul materasso il sacco lenzuolo.

Si sistemò di fianco ad Alex.

Dall'altra parte il suo compagno.
Rimasero in silenzio  per alcuni minuti.
Poi iniziarono a litigare.
Per lo meno così sembrò ad Alex.
Si scambiarono frasi sottovoce.
Lui aveva un tono duro.
Lei rispondeva più pacata.
La sua voce sembrava decisa.
Alex non capì di che cosa stessero discutendo ed onestamente, a quell'ora della sera, non gli interessava molto.
L'indomani la sveglia era fissata  molto presto.
Doveva assolutamente addormentarsi.
Guardò l'orologio ed iniziò a sviluppare mentalmente la sua tecnica ormai consolidata per prendere sonno.
Si trattava di immaginare l'ascensione di una via fatta in passato.
Ripercorrere mentalmente la successione dei tiri.
I passaggi più caratteristici.
La sua via preferita per fare tale genere di esercizio era la Costantini-Apollonio alla Tofana di Rozes che Alex aveva salito qualche anno prima con il mitico Baso.
Baso era un omaccione basso e grasso con una forza impressionante ed una volontà ferrea.
Sembrava il cugino di Don Whillans.
Molte delle più grandi imprese di Alex erano state fatte con il Baso.
Anche Jacopo aveva arrampicato spesso con il  Baso.
Ora lui aveva smesso per dedicarsi alla costruzione delle esche artificiali per la pesca a mosca!
Il suo materiale era in svendita (ma nessuno dei suoi compagni – Alex compreso – voleva comprarlo).
Tutti sapevano che prima o poi sarebbe rinsavito e ritornato alla grande!
Di solito, mentre ripercorreva mentalmente i vari tratti della Costantini–Apollonio, il sonno sopraggiungeva sempre dopo il secondo tetto.
Alex si immaginava il passaggio.
Le sensazioni che gli aveva lasciato quel momento.
Muoversi veloce nel vuoto per vincere la forza di gravità.
Tirare con forza  il chiodo e ristabilirsi sul terrazzino.
Così facendo, quasi sempre,  sprofondava nel sonno.
Anche quella sera  così accadde.

Alex dormiva finalmente. 

Tutti nel rifugio dormivano.
Quel rifugio era un'arca alla deriva piena di umanità.
L'arca quella notte si era fermata  su uno scoglio che affiorava sotto il Cengalo e il Badile.

 

Notte

Alex si svegliò di soprassalto terrorizzato.

Una mano lo aveva toccato!

Per la precisione: la mano della ragazza che dormiva di fianco a lui aveva iniziato ad accarezzarlo sulla pancia e sul braccio.
Poi aveva raggiunto la sua gamba destra, sotto le coperte.
Alex si tranquillizzò un poco.
Rimase in agguato come i cani da caccia quando sono in situazione di attesa.
Pensò che si fosse sbagliata.
Sicuramente nel sonno voleva abbracciare il suo compagno.
Nel buio si era girata dalla parte sbagliata.
“Il tuo compagno è dall'altra parte” pensò.
“Lasciami dormire il sonno del giusto!”
Alex  si girò verso di lei.
Aveva sonno e qualcuno l'aveva svegliato.
“Cazzo non si fa così!”.
Lei era rivolta verso di  lui.
Gli occhi era illuminati da una strana luce.
“Da dove cavolo arriva questa luce?” pensò.
“Dovrebbe essere buio pesto a quest'ora!”.
Erano occhi molto  belli.
Azzurro chiari.
Molto chiari.
La ragazza si portò l'indice  al naso.
Le fece cenno di stare zitto.
Il suo compagno, dall'altra parte, attaccato alla parete, stava dormendo profondamente.
Aveva la faccia a due centimetri dal muro.
Alex non fiatava.
Non riusciva a capire un accidente.
La testa gli girava.
Probabilmente stava sognando ancora.
La ragazza allungò la mano di nuovo.
Insistentemente.
Sotto le coperte.
Cercò il suo pene.

[fine prima parte]

Era custodito sotto le coperte, dentro alle mutande, sotto i pantaloni.
Non si scoraggiò.
Alla fine lo trovò.
Era piccolo.
(Un povero uccello intirizzito in un rifugio alpino sotto coperte non tanto pulite, alle due di notte).
Inaspettatamente per Alex il suo pene reagì improvvisamente.
Diventò grande e ben tosto.
“Che cazzo vuole fare questa qui?” pensò.
“Ma stai sognando Alex?”
“Bè, è un bel sogno comunque!”
“Lascia che continui” qualcuno rispose dentro la sua testa.
Lei lo prese in mano delicatamente.
Si accorse immediatamente della trasformazione che stava subendo.
Ne sembrò soddisfatta.
Aveva una faccia tranquilla e rilassata.
C'era poca luce.
E' vero.
Ma la scena era incredibilmente nitida.
Alex si comportava come se non fosse il suo pene.
“Falla smettere” pensò.
“Voglio vedere come va a finire” pensò di nuovo.
La situazione era strana.
Sembrava un sogno.
Doveva essere un sogno.
Andava in montagna da diciotto anni ma una cosa del genere non gli era ancora capitata.
Alex provò una leggera sensazione di imbarazzo.
Si preoccupò di essere visto.
Girò la testa verso il suo compagno “rasta”.
Stava dormendo profondamente.
Sembrava stesse baciando il muro.
Poi verso Jacopo.
Anche lui dormiva di gusto.

La ragazza iniziò un leggero movimento dall'alto al basso e viceversa.
Continuo, delicato e preciso.
Delicatamente glielo stava menando!
Alex chiuse gli occhi.
Pensò che era sicuramente un sogno.
Si mordicchiò le labbra.
Si fece quasi male.
“No!”
Era sveglio!
Iniziò a godere in maniera sommessa.
Il suo respiro si fece un po' affannoso.
Ebbe improvvisamente molto caldo.
Alex stava per venire.
Non ci poteva fare niente.
La ragazza lo guardò dritto in faccia.
La luce era quasi assente.
Ad Alex sembrò di impazzire.
Poi lei si accucciò, si abbassò su di lui e sotto la coperta glielo prese in bocca.
Spostò violentemente la coperta con un gesto plateale.
Un lembo andò a finire dalla parte di Jacopo che proprio in quel momento si girò nel sonno.
“Adesso Jacopo apre gli occhi” pensò.
Si mise a cavalcioni sulle gambe di modo che potesse muoversi con un angolo migliore.
Alex allungò la mano destra.
Iniziò a toccarla.
Con una mano le sfiorò il seno.
Aveva i capezzoli turgidi ed un seno grande e pieno.
Poi arrivò in mezzo alle cosce.
Riuscì a sollevarle lo slip.
Chiuse gli occhi.
“Tanto non cambia nulla!”
“C' è così poca luce!”
Le accarezzò delicatamente il pube.
Non sentì nessun pelo.
Pensò che avesse la passera completamente depilata.
Si eccitò ancora di più.

Intanto lei stava concludendo implacabile la sua opera.

Lo teneva in bocca con dolcezza, ma appena Alex provava a spostarsi quasi morsava per trattenerlo.
Dopo qualche minuto Alex non resistette.
Spruzzò con un getto violento.
Fece per scansarsi ma lei non si tolse.
Rimasero così ancora per un po'.
Poi lei si alzò.
Alex la vide prendere due fazzolettini di carta ed asciugarsi la bocca e le mani.
Alex era rimasto immobile.
Col suo pene semimoscio cercava di capire nell'oscurità cosa gli era successo.
“Dove cavolo ho lasciato l'asciugamano?”
“E' ai piedi del letto!”
Lo trovò vicino ai suoi piedi dove l'aveva lasciato qualche ora prima.
Cercò di sistemare la sua coperta.
Si rimise in fretta le mutande.
Lei si avvicinò.
Si sdraiò di fianco e si tirò su la coperta.
No, non aveva ancora finito.
Prese la mano di Alex.
La portò sotto la coperta  e poi giù oltre la pancia.
Alex sussurrò sottovoce.
“Come ti chiami?”
“Antonia” rispose.
Alex, guidato dalla sua mano, iniziò ad accarezzarla.
Le sue dita entrarono nella vagina.
Era molto umida.
Alex si mosse con astuzia.
Cercò il punto che sapeva più sensibile.
Incominciò a sollecitarlo con sempre maggior ritmo.
Antonia iniziò a muovere il bacino.
Iniziò a mugugnare.
Alex le mise una mano davanti alla bocca per farla stare zitta.
Continuarono così ancora per un po'.
Lei sussultò.
Si morse le labbra ed incominciò a godere.
La sua passera si bagnò completamente.
Un piccolo scroscio di liquido investì la mano di Alex.
Alla fine rimase in silenzio.
Soddisfatta.
Il tempo si fermò per qualche istante.
Il cuore di  Alex ricominciò a battere.
Lentamente.
Il respiro di Antonia si fece normale.
Antonia spostò delicatamente la mano di Alex e la ripose sul fianco.
I due si guardarono a lungo.

Cercavano entrambi di carpire l'essenza  dell'altro.

Lei rimase immobile.
E si addormentò girata verso Alex.
Alex guardò l'orologio.
Erano ormai le tre.
“Cazzo domani devi arrampicare!”
“Lo Spigolo Vinci non è una via da sottovalutare”.
“Calmati” si ripeté.
“Queste cose accadono poche volte nella vita e solo agli altri”.
Era stanchissimo.
Frastornato.
Felice.
No meglio: estasiato.
Pensò che  aveva meno di tre ore di sonno a disposizione per recuperare  le energie.
“Non era un gran che!”

Un grande sonno finalmente lo prese.

Sognò che era un gabbiano e che volava sul bordo delle grandi scogliere di Dover.
Sognò di volare oltre il mare e di planare dolcemente sui campi di erica  irlandesi.
Era da alcuni anni che non sognava più.  

 

Antonia

Antonia viveva in un paesino della Val Malenco.
Viveva col padre.
Poliziotto in pensione.
Sua madre era morta di un brutto male al colon quando lei aveva quindici anni.
Ora ne aveva quasi trentuno.
Faceva di professione la consulente nel ramo finanziario.
Lavorava in una filiale del Credito Cooperativo.
Si era laureata a tempo di record.
A tempo di record, dopo il primo colloquio, aveva trovato lavoro.
Non era difficile per lei farsi notare.
Era alta, bionda e ben fatta.
Inoltre era molto spigliata nel parlare.
A suo agio fra la gente.
All'età di ventidue anni aveva fatto un corso roccia con il Club Alpino di Sondrio e da allora non aveva più smesso.
Aveva conosciuto molti ragazzi.
Alcuni erano suoi amici di università.
Da allora  tutti gli anni prendeva una settimana di ferie per andare ad arrampicare in montagna.
Per il resto arrampicava sempre nelle palestre della zona.
Il suo posto preferito era la Val di Mello in autunno avanzato.
Ci andava appena poteva.
Preferiva le vie di aderenza a quelle in fessura.
Aveva una buona tecnica di piedi.
Soprattutto non aveva paura di salire lontano dai chiodi.
A volte mentre arrampicava semplicemente si dimenticava di mettere le protezioni.
Così faceva intere lunghezze di corda.
Da sosta a sosta senza posizionare nulla.
Né uno straccio di friend.
Né una clessidra.
Niente.
Quando le difficoltà aumentavano sopra al quinto grado non si divertiva più.
Allora faceva salire da primo di cordata gli altri e lei andava da seconda.
Molti suoi compagni di arrampicata erano poi stati suoi compagni di letto.
All'università aveva perso con gioia la verginità  per merito di un milanese mingherlino.
Aveva poi avuto almeno nove compagni (forse dieci), fra quelli occasionali e quelli di più lunga durata.
Si vantava di averli sempre soddisfatti.
Ora stava da almeno due anni con Francesco.
Francesco lavorava il ferro battuto nel laboratorio del padre.
Era un lavoratore instancabile.
Era uno della sua valle.
Erano andati all'asilo insieme.
Ultimamente Francesco beveva troppo.
Usciva con gli amici sino a tardi.
Si scolava intere bottiglie di grappa o di amaro.
Rimaneva poi intorpidito per intere giornate.
Molte volte, ultimamente, la trattava male.
Troppe volte a dire il vero.
All'inizio era stato molto carino con lei.
Poi col passare dei mesi si era  trasformato.
Era diventato cupo.
Mancava agli appuntamenti.
A volte la picchiava.
Non cose gravi, per carità.
Solo qualche schiaffo o calcio così per gradire.
Per farle sapere che era lui che comandava.
Francesco aveva un'esperienza alle spalle di miseria e disperazione.
Era il fratello più grande nella sua famiglia.
Era anche un bravo alpinista.
Quando era su roccia era sempre calmo, tranquillo e rilassato.
Non sembrava neanche la stessa persona.
Non aveva scatti d' ira.
Non gesti di impazienza.
Era un buon compagno di cordata.
Arrampicava con naturalezza superando passaggi difficili, senza alcuno sforzo apparente.
Quando arrampicava con Antonia era ancora più tranquillo e rilassato.
Di certo non sembravano adatti a stare insieme.
Lei era troppo istruita e celebrale.
Lui troppo rude e volgare.
Avevano deciso di partire per trascorrere una settimana al rifugio.
Fare qualche ascensione in zona.
Cercare di recuperare quel feeling che sembrava irrimediabilmente perduto per sempre.
Poi la situazione era precipitata.
Prima di partire Antonia gli aveva confidato che aspettava un bambino.
Francesco era andato completamente fuori di testa.
Prima aveva detto che non era il suo.
Poi le aveva urlato che non lo voleva.
Che non sapeva cosa farsene di un bambino.
Figuriamoci.
Come faceva con un  bambino tra i piedi!
Con una moglie tra i piedi!
“Questo era troppo!”
Francesco voleva essere libero.
Tornare a casa ubriaco anche tutte le sere, se gli andava.
“E poi non l'amava più come prima!”
Antonia era una bella figa.
Ci stava bene ad arrampicare.
Anche a letto non era male.
“Ma sposarsi ed avere un figlio!”
“Questo proprio no!”
Antonia la storia del bambino gliela aveva raccontata la sera prima di salire al rifugio.
La sua speranza era che cambiasse idea.
Che quella settimana assieme a lei in alta montagna gli facesse cambiare idea sul loro futuro.
Francesco non voleva più andare con Antonia.
Lei lo aveva tradito.
Non era stata sufficientemente prudente.
Abitualmente usavano il preservativo.
Solo quando lei era sicura di non essere nei giorni fertili andavano diritto.
Questa volta però Antonia si era sbagliata.
Pensava di essere nei giorni non fertili ma una doppia ovulazione l'aveva ingannata.
Antonia si era resa conto di essere incinta il mese successivo.
Poi aveva fatto il test di gravidanza e si era recata dal ginecologo.
Avevano confermato i suoi sospetti.
Ora era all'inizio del terzo mese.
Ancora non vedeva i segni del bimbo crescere se non per il fatto che il suo seno era diventato più grosso e turgido.
Non aveva avuto nausee, né vomito.
Si sentiva bene.
Il fatto di pensare ad un bambino suo, in realtà, non la spaventava.
Aveva un buon stipendio.
Abitava nella grande casa col babbo.
Avrebbe preso in casa quella testa calda di marito e tenuto il bambino.
C'era posto per tutti!
E poi aveva trent'anni compiuti!
“Non è forse l' età giusta  per fare un figlio?”

Alla fine erano partiti insieme.
Francesco almeno avrebbe arrampicato.
Al ritorno ne avrebbero discusso di nuovo.
Magari Antonia sarebbe andata in clinica per abortire.
“Chissà!”
Insieme, i giorni precedenti, avevano fatto la Cresta Sertori.
Poi una via moderna sul Dente della Vecchia.
Avevano litigato in maniera terribile, mentre stavano camminando sul nevaio verso il rifugio.
Antonia voleva a tutti costi quel bambino.
Quando poteva ritornava sull'argomento.
Francesco non lo voleva per nessun motivo.
Era  furente.
Francesco gli aveva messo le mani addosso.
Antonia si era difesa come aveva potuto.
Gli aveva data un colpo in testa con il mazzo dei chiodi che aveva all'imbragatura.
Poi era corsa da sola verso il rifugio, piangendo.
Quella sera avevano mangiato uno di fronte all'altro senza praticamente parlarsi.
Si erano solo insultati.
Avevano continuato anche prima di dormire.
Antonia aveva notato quel tipo dalla faccia simpatica e l'accento romagnolo nel tavolo di fronte in fondo.
Gli era piaciuto.
Aveva una faccia pulita.
Da bancario di città.
Poi l'aveva rivisto di fianco al suo letto la sera stessa.
Si era vendicata.
L'idea le era venuta all'improvviso.
La voglia di farlo le era venuta all'improvviso.
Ora era soddisfatta.
Stava sdraiata sul fianco fra Francesco che dormiva profondamente e  quest'altro con cui aveva fatto sesso nel cuore della notte.
A dir la verità aveva un po' di compassione per questo tipo.
Lei lo aveva svegliato.
Ne aveva abusato.
Però anche lui sembrava soddisfatto.
Si era lasciato fare senza tanti problemi.
A proposito come si chiamava?
Aveva sentito il suo amico chiamarlo Alex.
Forse si chiamava Alessandro.
Bene per vendetta aveva fatto sesso con Alex!
Per vendicarsi di quello stronzo di Francesco che non voleva il suo bambino.
Antonia era giunta repentinamente alla conclusione che era meglio chiudere con Francesco.
Non gli avrebbe ubbidito.
Si era stufata dei suoi schiaffi.
Del suo tono da Che.
Di tutte le volte che tornava sbronzo con la voglia di scopare ed una orrenda puzza di alcool.
Voleva quel bambino (anche se il padre era un idiota).
Lo avrebbe tenuto.
Lo avrebbe allevato.
Forse avrebbe conosciuto qualcuno (un collega del lavoro?) che alla fine l'avrebbe sposata, anche col bambino.
Sì, quel bambino era la cosa migliore che le era capitato ultimamente!
Il bambino era un buon motivo per non lasciarsi andare.
Per condurre una vita normale.
Per continuare a lavorare.
“Anche il tipo di fianco non è poi così male!”
“Chissà se è sposato?”
Antonia ebbe un sussulto per il freddo.
Si rimboccò per bene la coperta e si mise in posizione fetale guardando Alex (che finalmente dormiva).

Lentamente entrò nel sonno.

L'ultimo pensiero della notte fu per la via che comunque avrebbe fatto il giorno dopo insieme a Francesco.
Era l'ultima via con lui.
L'ultimo giorno che avrebbero trascorso assieme.
Poi il gioco dell'uva.
Ognuno a casa sua.
Ognuno per la sua strada.
Mai più avrebbe permesso ad un uomo di picchiarla!
“Mai più!”.
Ora però doveva  dormire.
“L'indomani  l' aspettava lo Spigolo Vinci!”

 

Mattino

Esiste un momento preciso del mattino in cui gli alpinisti si svegliano e rimangono intorpiditi dentro le coperte.
E' il momento in cui si vorrebbe essere da tutt'altra parte.
In cui si vorrebbe essere a casa, al mare, in vacanza con moglie e figli.
E' il momento dei dubbi, delle incertezze, delle paure.
A volte dell'angoscia.
E' un momento terribile!
L'unica cosa da fare è alzarsi prontamente, scacciare i pensieri e passare all'azione.
Altrimenti ci si indebolisce e le ombre del mattino appaiono giganti.
Il freddo insopportabile.
In quel momento ci si alza verso la finestra e si cerca di vedere se il tempo volge al brutto.
Si tende l'orecchio e si cerca di capire se piove.
A volte si arriva a sperare che nella notte la montagna sia sprofondata.
Inghiottita da un mago buono e premuroso.

Alex viveva il momento del risveglio con ansia.
Di solito si svegliava esattamente cinque minuti prima del momento in cui la sveglia avrebbe suonato.
Era un fatto biologico.
Cinque minuti prima esatti aveva gli occhi sbarrati ed una forte urgenza di pisciare.
Quella mattina però fu diversa.
L'orologio-sveglia che aveva al polso suonò alle sei meno dieci.
Lo sentì a mala pena e pigramente si girò su di un fianco.
Sognava di surfare onde gigantesche e poi di saltare direttamente sul tetto dell'automobile.
In testa aveva una canzone degli U2.
Lentamente aprì l'occhio destro e poi il sinistro.
Vicino al suo naso vide un enorme ciuffo di capelli biondi.
Un bel viso.
Si scostò quasi impaurito.
Poi realizzò e si ricordò quello che era successo la sera prima.
(A dire il vero erano passate appena tre ore).
Non l'aveva sognato dunque!
La ragazza bionda che l'aveva spompinato esisteva davvero!
Anzi era vicina, troppo vicino a lui!
Notò le braccia muscolose che scendevano sui fianchi.
Era rivolta dalla sua parte.
Aveva la faccia sul suo materasso!
Si scostò e si girò dall' altra parte.
Fuori iniziava a fare chiaro.
Dalla finestra che aveva dietro la testa scorse la sagoma del Pizzo Badile che si stagliava in un cielo ormai non più buio.
Jacopo stava sonnecchiando tranquillamente.

Si alzò senza far rumore.

Tutti nel rifugio dormivano.
Non si sentivano voci.
Pensò che sarebbero stati soli sulla montagna quel giorno.
Il compagno della biondina dormiva rannicchiato verso il muro.
Sembrava un bimbo impaurito.
Non poté fare a meno di notare i suoi lunghi capelli ispidi distesi sul letto.
Andò nel bagno di fianco alla camerata pestando i piedi di Jacopo.
Pensò che forse era ancora presto.
Che forse avrebbe potuto riposarsi un altro po'.
Aveva un sonno terribile ed una leggera emicrania.
Aveva dormito sì e no tre orette.
Si lavò la faccia con cura.
I denti.
Urinò con soddisfazione.
Poi tornò sul suo letto e si mise seduto a gambe piegate.
No, era meglio prepararsi!
Non era freddo.
Di solito a quell'ora della mattina nei rifugi di montagna è molto più freddo.
Pensò di nuovo a quello che era capitato la sera precedente.
Gli venne da ridere.
Era una storia da raccontare di generazione in generazione.
Quando sarebbe stato ormai vecchio l'avrebbe detto a suo figlio.
Forse anche a sua moglie!
La ragazza dormiva profondamente.
Pensò che sicuramente non erano loro quelli che dovevano fare il Vinci.
Il gestore certamente aveva mal interpretato.
La ragazza ed il suo compagno erano semplici escursionisti che traversavano da un rifugio all' altro.
In tal caso avrebbero dormito almeno sino alle otto.
Jacopo si vestì con una panta-calza da arrampicata viola (la sua preferita).
Si mese addosso il pile rosso ed il giubbotto anti-vento nero.
Prese gli occhiali e se li mise.
Ripose la berretta nella tasca del giubbotto.
Poi scivolò fuori dal letto e si infilò le scarpe.
Raccolse il materiale che aveva preparato la sera prima (tutto inserito all' imbragatura), la corda,  lo zaino.
“Jacopo” disse piano.
“Jacopo” lo scosse con energia.
“E' ora di andare!”
“Io ti aspetto di sotto”.
Prima di uscire dalla camerata e di fare le scale si accertò che Jacopo avesse capito.
Sì, si stava svegliando!

Scese le ripide scale cercando di non cadere.

Jacopo si svegliò di soprassalto.
Non era in ospedale e non c'erano bambini da salvare.
Realizzò dove era piano, piano.
Rimase a guardare il soffitto, nel dormiveglia.
Si mise ad ascoltare qualcuno che russava nella camerata di fianco.
Forse aveva problemi di apnee notturne perché ogni tanto sibilava in maniera più forte e sincopata.
Gli sarebbe piaciuto approfondire la sindrome da apnea notturna!
Non era il suo ramo, certo.
Non riguardava la neo-natologia.
Ma era un argomento interessante.
“Chissà quanti disturbi può provocare?”
Fantasticò ancora per un po'  immaginandosi a capo di un enorme pronto soccorso a New York.
“Il Dott. Jacopo con lo staff dei suoi medici!”

Poi si svegliò del tutto.

Sorrise dei suoi pensieri.
Si  mise ad  ascoltare il suo corpo.
Oggi doveva essere il giorno della sua piccola grande avventura.
Oggi era il giorno dello Spigolo.
Guardò l'orologio al polso.
Aveva dormito per otto ore filate.
Si stiracchiò.
Aveva un leggero mal di schiena dovuto al materasso non proprio ortopedico.
Ma si sentiva in forma.
Mosse le braccia e poi le gambe.
Si sentiva bene.
Si guardò intorno.
Dalla finestra entrava abbastanza luce.
Fuori sicuramente era già abbastanza chiaro.
I due ragazzi in fondo dormivano beatamente.
La ragazza era girata sul fianco dalla sua parte.
Era una gran bella donna!
La maglietta elasticizzata lasciava intravedere un parte del seno.
“Beata gioventù” pensò.
Pian piano senza far rumore incominciò a prepararsi.
Non c'era poi tutta questa  fretta.
La giornata sarebbe stata lunga comunque!
Jacopo era un metodico.
Niente era lasciato al caso.
Si vestì.
Tuta di Terinda.
Sotto un pile ed una maglietta in Transtex
Non si mise la maglietta in angora che sua moglie gli aveva regalato (da utilizzare quando era molto freddo).
Oggi ci sarebbe stato il sole e quindi non serviva!
Andò in bagno.
Ritornò a prendere la sua attrezzatura nella camerata.

Scese le scale in ciabatte.

Maldestramente inciampò sulla corda che gli spenzolava da un braccio.
Riuscì a non cadere ed a ricomporsi.
“Bene i miei riflessi sono buoni!” pensò.
Discese i quattro rami di scale ed andò a cercare Alex nel salone del grande rifugio. 
Per terra, sui materassi, dormivano delle persone che non avevano trovato posto nelle camerate.
Cercò di non svegliarle.

 

Lo Spigolo Vinci

Alex e Jacopo come prima cosa uscirono dalla porta del rifugio per controllare la situazione.
“Dormito bene?” chiese Jacopo ad Alex.
“Poteva andare anche peggio” gli rispose evasivo.
“Quanto segna il termometro?”
“Nove gradi” rispose di nuovo.
Si misero a guardare verso la loro montagna rischiarata dall'alba.
“Se partiamo fra un po' quando saranno le otto saremo all'attacco e poi verso le nove al sole” disse Alex.
Jacopo annuì.
Il tempo era veramente splendido.
Il panorama mozzafiato.

[fine seconda parte]

Quel cerchio di montagne ancora in ombra era di una bellezza straziante.
Appena la luce dei primi raggi avesse investito le cime e poi le creste sarebbero partiti.
Alex e Jacopo si guardarono.

Erano due bambini felici.

Avevano una giornata della loro vita da dedicare a quello che più gli piaceva.
Non era troppo freddo.
Non c'era una nuvola in cielo.

Il paradiso degli alpinisti forse era lì.

Rientrarono nel rifugio.
Il gestore, già in piedi, gli aveva preparato il tè.
Si sedettero e lo bevvero tutto d'un fiato.
“Bisogna bere molto per idratarsi” sentenziò Jacopo.
“Guarda che non siamo nel deserto” rispose divertito Alex.
Poi ingurgitarono qualche biscotto e due merendine a testa.
Erano pronti.

Partirono alle sei e venti.

Si misero in cammino con un buon passo, per scaldarsi un po'.
Alex adorava questi momenti.
Uscire dal rifugio in silenzio la mattina presto.
Sentire l'aria frizzante sulla faccia.
Lo sferragliare dei moschettoni e dell'altra attrezzatura.
Si avviarono verso lo Spigolo seguendo il sentiero che costeggia la base delle pareti e porta al rifugio, nella valle di fianco.
Andavano veloci.
Ad un certo punto incontrarono un ometto di pietre ed incominciarono a salire a sinistra.
Gradoni, magri prati e massi instabili.
Si dirigevano sicuri verso l'attacco della via.
Erano soli.
Il sole rischiarava solo le cime più alte.
Tutto il resto era nell'ombra.
Il fischio di una marmotta li sorprese mentre stavano attraversando un piccolo ruscello che scendeva dal nevaio.
Jacopo cercò di capire dove erano nascoste.
Ma non le vide.
Lo Spigolo del Cengalo diventò sempre più chiaro.
Illuminato dai raggi del sole sembrava ancora più ripido.
Alex non poté fare a meno di paragonarlo alle guglie della Patagonia.
El Chalten, Cerro Torre, Badile, Cengalo: era la stessa roccia.
La stessa materia che era uscita dal profondo della Terra in punti diversi.
Come era bello quel granito grigio e rosa!

Jacopo era davanti.
A venti metri da Alex.
Seguiva una vaga traccia cercando di non perdersi in mezzo ai grandi massi.
Arrivò alla neve.
C'erano dei tratti con vetrato.
“Attento a non cadere” si ripeteva Jacopo.
Alex di dietro lo seguiva senza fiatare.
Cercava di tenere il suo passo.
Non era molto allenato per lunghe camminate.
La salita di ieri al rifugio l'aveva stancato molto.
Jacopo  aveva la gamba più allenata.
In più aveva ancora sonno.
“Attento Alex qui c' è del vetrato” urlò Jacopo.
Salirono in mezzo alla neve sino a raggiungere una terrazza che costituiva  la base di accesso al canalone dove attaccava la via.
Si infilarono più volte nella neve sino alle ginocchia.
Bisognava prestare attenzione a non farsi male infilando un piede di traverso nei buchi sotto la neve.
Alle otto meno dieci erano arrivati alla base del canalone.
Si guardarono intorno a lungo.
Guardarono le pareti asciutte lambite dalla neve in basso.
Enormi lastronate di granito compatto scendevano dalle cime.

Sembravano enormi navi ancorate nel porto.

Si iniziarono a preparare.
Jacopo trovò un grosso masso senza neve.
Si sedette sopra.
Alex un po' più in basso.
Si misero il casco in testa, le  Five–Ten nei piedi.
Si legarono alle estremità delle due corde da cinquanta metri che avevano portato.
Lasciarono gli zaini dentro ad un grosso buco senza neve.
Il silenzio era assoluto.

La montagna li accoglieva con premura.

Alex attaccò la prima lunghezza del canalone innevato.
Jacopo si era legato ad uno spuntone e faceva sicura col secchiello.
“Sta arrivando un'altra cordata” urlò Jacopo guardando in direzione del rifugio.
“E' ancora lontana!”
“Se vengono qua ne avranno ancora per un'ora prima di raggiungerci!”
“Bene, così avremo un po' di vantaggio e non ci daremo fastidio” gli rispose Alex.

__________

Antonia si svegliò alle sei e trenta quando implacabile si sentì suonare una sveglia, nell'altra camerata.
Rimase in silenzio aspettando di capire cosa stava succedendo.
Qualcuno di là si stava muovendo.
Era stesa su un fianco.
Non vedeva i due uomini di fianco a lei.
Erano già partiti per arrampicare.
Si ricordò di quello che era successo poche ore prima.
“Sei stata leggermente vacca!” si ripeté mentalmente.
Non aveva rimorso per quel che aveva fatto.
“Era stata una cosa carina”.
“Molto carina!” pensò.
“Era stata una cosa da carogna nei confronti di Francesco” pensò per una frazione di secondo.
Ma poi si ricordò che non erano più insieme.
Si ricordò della scenata del giorno prima.
Degli schiaffi che le aveva dato.
Del fatto che non voleva il suo bambino.
Che la voleva far abortire.
“Fanculo!” gli disse mentalmente.
“Francesco De C. vai a fare in culo!” ripeté sottovoce.
Si girò dalla parte di Francesco.
“Oggi è l'ultima volta che arrampicherò con te!”
“E' l'ultima volta che ti parlerò!”
“Stasera  torneremo a casa ognuno per la sua strada!”
Fu sollevata nel pensare queste cose.
Pensò che forse sarebbe stata la sua ultima via per quella stagione.
Pensò che sarebbe stata l'ultima via per un po' di stagioni.
La gravidanza.
Il bambino.
L'allattamento.
L'asilo nido.
Un vortice di pensieri le frullò in testa.
Si mise di nuovo sdraiata.
La testa le girava forte.
Forse aveva anche un po' di nausea.
Era la prima volta che avvertiva nausea da quando era incinta.
Le venne in mente per un attimo di rinunciare alla salita dello Spigolo. 
Avrebbe detto a Francesco che non stava bene.
Sarebbe rimasta incucciata nel letto sino a tardi.
E poi sarebbe scesa lentamente a valle.
“No, questa era una sconfitta!”
“Lei era abituata a non rinunciare alle cose programmate!”
“E poi quello Spigolo era così invitante!”

Si alzò e si preparò in fretta.

Si vestì.
Si mise le scarpe da ginnastica ai piedi.
Incominciò a tirare fuori dallo zaino il materiale d'arrampicata e a sistemarlo nell'imbragatura.
Tirò, infine, un calcio nel sedere di Francesco.
Anche lui ora era sveglio.
Francesco la vide e non disse una parola.
Non sapeva cosa dire.
La sua decisione riguardo al bambino era definitiva.
Puzzava di grappa.
Ne aveva bevuta molta la sera prima al rifugio.
Quasi mezza bottiglia.
Il gestore l'aveva portata via prima che potesse finirla.
Aveva ora un terribile cerchio alla testa.
Antonia fu pronta in cinque minuti e si avviò al piano terra.
Fece colazione con caffè, latte e qualche biscotto secco.
Poi si mise a parlare con il gestore.
“Oggi andiamo  sul Vinci” gli disse.
“Bene, è una bella giornata, vi divertirete di sicuro” gli rispose. 
“La cordata dei romagnoli è già partita” aggiunse.
Antonia si mise fuori dal rifugio ad aspettare che Francesco arrivasse.
Guardò verso la montagna e cercò di individuare quei due uomini che andavano verso l'attacco.
Li vide già in alto sulle chiazze di neve.
Fra circa mezz'ora avrebbero attaccato il canalone.
Attese con sempre più impazienza sino alle sette e venti.
Allora uscì Francesco dalla porta del rifugio, con le corde sulle spalle.
Non disse una parola.
Non aveva avuto neanche voglia di fare colazione.
Guardò il materiale che Antonia  aveva all' imbrago.
Lo controllò per bene, in fretta.
Non mancava nulla.
“Andiamo” gli disse in tono risentito.

__________

Alex era alle prese con la neve ed il vetrato presenti in abbondanza sul canalone di attacco.
Arrampicava con calma e prudenza.
La prima lunghezza non era difficile, ma tutto era ricoperto da dieci centimetri di neve farinosa e le fessure erano bagnate.
Salì partendo su una rampa inclinata da destra verso sinistra.
In fondo al diedro, a metà del tiro, c'era un metro di roccia completamente  lucida per il ghiaccio.
Alex  posizionava le protezioni ogni sei, sette metri.
Mise un buon friend  in una fessura verticale e agganciò due cordini in kevlar su due spuntoni più in alto.
Arrivò sotto al diedrino bagnato.
Inserì un Alien piccolo.
Arrivò con la mano destra alla scaglia  in alto.
Si tirò su facendo una trazione.
Il passaggio era stato superato.
Sopra trovò uno spuntone e fece sosta.
“Molla tutto Jacopo!”
“Parti quando vuoi!” urlò.
Jacopo obbedì  e partì quasi subito.
(Prima bisbigliò un'Ave Maria di sostegno).
Il secondo tiro era breve e facile.
Jacopo passò in testa.
Si muoveva veloce e sicuro.
Affrontò il canale e poi la placca strapiombante a sinistra.
Era leggermente bagnata.
Alex era contento.
Sulla cresta dello spigolo non avrebbero più sentito freddo, né incontrato la neve.
Il sole già splendeva un po' più in alto.
Jacopo arrivò alla sosta.
Mise un chiodo per rinforzarla.
E vi si agganciò.
Quando entrambi furono sull'intaglio videro da basso avvicinarsi due alpinisti.
Alex rimase interdetto.
Riconobbe Antonia per via dei lunghi capelli biondi ed il suo compagno.
Anche loro dunque volevano fare questa via!
Jacopo si mosse per fare il tiro della placca concava.
Cercava chiodi o segni di passaggio ma non ne vide.
Andò verso sinistra, ma dopo alcuni metri ridiscese.
Non era facile capire dove passare.
“Forse bisogna rimanere più a destra!”
“Segui quelle fessure!” si raccomandò Alex.
Salì cauto per una decina di metri verso destra.
Poi vide un bel chiodo Cassin rosso, un metro sopra.
Si tranquillizzò: era sulla strada giusta.
Seguì la fessura obliqua verso sinistra e poi superò di forza dei blocchi instabili.
Si trovò al sole sulla cresta.
Fece sosta.
Da lì si vedeva, qualche tiro più avanti, lo Spigolo impennarsi in un salto verticale.
Quello era di sicuro il passaggio della schiena di mulo.
Più in alto a sinistra si intravedeva il diedro nero. Sembrava asciutto.
Poi sopra la via tornava di nuovo sul filo dello spigolo.
A destra e a sinistra  della cresta scendevano immensi lastroni di granito grigio
La cima sembrava vicina.
Ma Jacopo sapeva che per arrivarci avrebbero impiegato almeno quattro o cinque ore.
“Alex molla tutto!” urlò da sopra.
“Puoi partire!”
A sua volta Alex si mosse.
Velocemente lo raggiunse alla sosta.
Su quelle difficoltà Alex si divertiva un sacco.
Non erano troppo elevate, ma già bisognava prestare attenzione.
La roccia, comunque, era perfetta.
L'aderenza incredibile.
Il fatto di dover trovare ogni tanto il modo di proteggersi con friend o  altro non lo infastidiva.
Anzi, era un bell'esercizio di trigonometria!
Individuare una fessura.
Cercare il friend della giusta misura da posizionare.
Provare se teneva.
A volte era tentato di non perdere tempo a sistemare l'ancoraggio e di salire veloce.
Poi si ricordava del suo bimbo a casa e diventava estremamente prudente e calmo.
“Se metto un rinvio ogni cinque metri al massimo faccio un volo di dieci metri” pensava.
“E' meglio non volare questo è certo”.
“Ma anche se volo non mi faccio molto male”.
“L'importante in montagna è portare a casa la pelle”.
“Meglio un chiodo in più che un alpinista in meno”
“Rimanere integri per poter raccontare tutto agli amici”.
“Divertirsi”.
“O, al limite, non soffrire troppo!”
Nel curriculum di Alex non vi erano vie troppo pericolose.
Vi erano vie difficili, impegnative.
Ma erano ascensioni dove era possibile sempre proteggersi.
Per questa ragione aveva sempre rifiutato pareti come la Sud della Marmolada.
“Troppe placche sprotette!”
“Troppe protezioni aleatorie!”
Alex e Jacopo si fermarono per un po' alla sosta  del terzo tiro per bere e godere del primo sole del mattino.
Avevano proprio davanti agli occhi due tiri in cresta non tanto difficili e il tiro della schiena di mulo.
Sul canalone d'attacco stavano salendo Antonia e Francesco.

__________

Non avevano detto nulla per tutto l'avvicinamento.
Non c'era nulla da dire.
Le posizioni erano chiare.
Gli eserciti schierati.
I due muri insormontabili.
Avevano camminato uno dietro l'altro per un'oretta.
Antonia chiusa nei suoi pensieri.
Francesco ancora frastornato dal troppo alcool della sera prima.
Avanzavano veloci.
Seguirono sulla neve le impronte dei due alpinisti che avevano davanti. 
Così guadagnarono almeno un quarto d'ora.
Seguivano le impronte cercando di non sprofondare troppo nella neve.
Arrivarono al canalone d'attacco e si prepararono in fretta.
I gesti erano codificati.
Controllare il materiale.
Ripassare le corde.
Mettersi il casco e le scarpette.
Lasciarono gli zaini alla base della parete.
Videro in alto sulla cresta al sole i due alpinisti.
Antonia cercò di vedere se uno dei due era Alex.
Ma non riusciva a distinguerli.
“Beati loro!”
Erano già al sole.
Avevano almeno un'ora di vantaggio.
Ma non c'era fretta, né motivo di preoccuparsi.
In cielo non c'era una nuvola.
La giornata sarebbe stata bella e lunga.
L'unica cosa che preoccupava Antonia erano le doppie per scendere.
Non amava mai scendere in corda doppia.
Ogni volta che si affidava ai chiodi era sempre con un po' di angoscia.
Oggi per scendere avrebbe dovuto fare almeno sei, sette doppie.
Aveva letto la relazione.
Sapeva che erano già attrezzate.
Alcune chiodate a spit.
Ma sapeva che erano nel vuoto e decisamente lunghe.
Antonia non amava scendere su quelle sottili corde di nylon da nove millimetri per circa trecento metri.
Il solo pensiero la fece incupire.

Il  ritorno ad una nuova vita passava per quella salita e per quella discesa.

Avrebbe affrontato tutto con entusiasmo e prudenza, come al solito.
Decise che avrebbe fatto i primi tiri del canalone ed i tiri facili sulla cresta.
Poi avrebbe lasciato il comando a Francesco nei tiri più duri.
Era incinta.
Era meglio riguardarsi.
Partì sul canale innevato con slancio e forza.
Poco più in alto rallentò perché c'era molta neve.
Il diedrino era ancora pieno di verglass.
Fece un po' di fatica a superarlo.
Inoltre aveva freddo alle mani.
Fece sosta su una clessidra che aveva trovato circa due metri sopra il punto in cui aveva fatto sosta Alex.
Francesco la seguì un po' impacciato.
Sentiva un leggero fastidio allo stomaco.
Aveva inoltre un violento mal di testa.
Alla sosta chiese ad Antonia se doveva andare in testa.
Antonia non gli rispose neppure.
Si sistemò i rinvii ed i friend all'imbragatura e partì di nuovo. 
Voleva arrivare il prima possibile al sole che vedeva già al terrazzino della sosta successiva.
Nei venticinque metri successivi non mise alcuna protezione, neanche sotto allo strapiombino prima della sosta.
Francesco la guardò preoccupato.
Imprecò fra sé.
“Antonia metti qualcosa!” disse ad alta voce.
Antonia arrivò alla sosta, si assicurò e si voltò verso il sole.

Ora era felice.

L'arrampicata le stava piacendo.
Si mise in bocca qualche mandorla sgusciata che teneva nella tasca del giubbotto.
Francesco di sotto era impaziente di partire, aveva freddo.
Antonia aspettò ancora qualche minuto prima di farlo partire.
Lo voleva far soffrire un po'.
“Lo fa chiaramente apposta!” pensò Francesco incazzato.
Si trovarono entrambi al sole sull'intaglio.
Antonia partì di nuovo per il tiro della placca concava.
Arrampicava veloce.
Mise un solo rinvio nell'unico chiodo che aveva trovato infisso verso destra.
Arrivò sui blocchi della cresta e fece sosta su uno spuntone.
Da lì poteva vedere tutto lo svolgimento dei tiri successivi. 
Vide Alex che stava affrontando il primo tiro difficile ed il suo compagno che lo assicurava  più in basso al terrazzino.
Ripensò per un attimo alla storia della notte precedente.
Era stata un po' crudele!
Anche un po' troia!
Riguardò Alex sullo Spigolo.
Gli venne una certa ansia.
Quel tiro era veramente di un'incredibile estetica e sembrava molto esposto.
Vide che Alex aveva già sistemato diverse protezioni.
“Almeno è ben chiodato” pensò ad alta voce.
Antonia, con calma, fece partire Francesco.
Saliva con lentezza.
Sembrava affaticato.
Dal punto di vista atletico era irriconoscibile.
Antonia lo guardò.
Godette visibilmente nel vederlo così stanco e contratto.
“Nei tiri più difficili avrai pane per i tuoi denti!”
“Stronzo di un cazzone!” pensò.        

_________

Jacopo fece i due successivi tiri in cresta.
La roccia era perfetta.
Le difficoltà  non troppo elevate.
La roccia accettava di buon grado di farsi scalare.
Ogni tanto Jacopo si fermava per inserire qualche friend nelle fessure nette.
Alex era dietro.
Saliva tranquillo, quando era il suo turno, godendosi il panorama di quella stupefacente valle.
Ci doveva tornare con sua moglie.
Era un posto troppo bello.
Anche il mitico “Baso” lo doveva vedere a tutti i costi!
Il prossimo anno l'avrebbe trascinato con la forza, almeno sino al rifugio.
“Anzi perché non organizzare un giro di più giornate per i rifugi della zona?”
C'erano cordate sulla Sertori.
Si sentivano distintamente i comandi secchi alle soste.
L'arrampicata rimaneva in cresta, ora in ombra ora al sole.
Di volta in volta si apriva il baratro verso ovest o verso est.
“Jacopo sta arrampicando bene” pensò.
Si mise a cantare una canzone di Battisti.
Era un modo per darsi un ritmo nell'arrampicata.
Quando le difficoltà non erano elevate lo faceva  spesso.
Alle dieci erano sul terrazzino sotto il tiro della schiena di mulo.
Sembrava un posto dove le aquile potevano fare un bel nido.
Bastava che aggiungessero un po' di rami ed era già pronto.
I chiodi della sosta erano infissi in basso.
Due erano buoni.
Il terzo si muoveva visibilmente.
Jacopo lo ribatté per bene.
Attrezzò una buona sosta collegando il tutto con un lungo cordino in kevlar.
“Ora vai avanti tu!” ordinò ad Alex.
Alex si fermò un istante, perplesso, a guardare il tiro che stava per attaccare.
Sesto grado in libera altrimenti quinto e AO.
“Una dura battaglia!”
Si preparò la staffa all'imbragatura.
I primi metri erano su una placca leggermente appoggiata, ma sprotetta.
Sopra partiva una fessura diritta che saliva per almeno venti metri.
Dentro la fessura si vedevano molti chiodi infissi.
Jacopo dette ad Alex una pacca sulla spalla.
“Vai Toro!” lo incitò.
Alex partì molto cauto.
Doveva arrivare indenne al primo chiodo.
Il resto sarebbe venuto da sé.
Jacopo lo assicurava in silenzio, utilizzando il secchiello  sull'imbragatura.
Alex si spostò prima a destra.
Poi trovò degli appigli più a sinistra.
Cambiò piede, cambiò mano.
“E' meglio non cadere adesso” disse sottovoce.
Doveva salire ancora un metro almeno per arrivare a moschettonare il chiodo che era infisso all'inizio della fessura.
Era già alto quattro metri dalla sosta.
“Se volo adesso mi rompo una gamba” pensò.
Inspirò profondamente cercando di raccogliere energie e coraggio dall'aria fresca del mattino.
Cercò per la mano destra un appiglio.
Trovò una tacchetta obliqua.
Era una buona presa, non grande, ma molto netta.
La prese.
Alzò il piede sinistro appoggiandolo sulla parete in opposizione.
“Benedetto chi ha inventato le Five-Ten” pensò.
La mescola delle scarpette teneva bene su quel granito ruvido.
Poi il destro ad una scaglietta.
I muscoli erano tesi.
Era più la paura di cadere che la difficoltà del passaggio.
Più in alto riuscì a prendere un buon buco per la mano sinistra.
“Su questa manetta si tiene su anche la mia mamma!” pensò.
Di lì velocemente mise il rinvio.
Iniziò a respirare.
“Adesso va molto meglio!”.
Non si fece tanti scrupoli nei metri seguenti.
Non provò i passaggi successivi in libera.
Non ne aveva voglia.
Saliva in leggera opposizione mettendo i piedi sulla fessura un po' appoggiata.
Quando poteva tirava sui chiodi.
Non c' era bisogno di tirare fuori la staffa.
“Quinto più e A0”.
“La guida ha ragione!”
A due terzi del tiro la fessura finiva.
Si appese all'ultimo chiodo e fece resting.
Era un'arrampicata che stancava in fretta.
Si voltò giù verso Jacopo.
Vide Antonia che arrampicava sulla cresta.
Ora era molto vicina.
“O noi siamo lenti o loro sono molto veloci” pensò.
Arrivò un po' affaticato alla sosta.
Gli ultimi metri, comunque, erano molto più facili.
Bisognava ad un certo punto traversare verso destra per prendere una fessurina e non salire diritti il muretto.
Era un passaggio facile da fare ma difficile da intuire.
“Peppe non avrebbe tirato neanche un chiodo!”.
“Sarebbe salito veloce e sicuro per questa  scala di chiodi”.
Alex arrivò alla sosta.
Tre chiodi ben messi.
“Che lusso!”
“Molla tutto” urlò con gioia.
Jacopo, poco dopo, partì a sua volta.
Essendo atleticamente meno preparato di Alex faticò molto.
Si riposò diverse volte sui chiodi della fessura.
Alla fine arrivò alla sosta.
Bevvero un altro sorso d'acqua.
Non avevano fretta.
C'era il sole.
La roccia perfetta e ben chiodata.
L'arrampicata sostenuta.
L'ambiente entusiasmante.
Il tiro successivo era un traverso facile su grandi maniglie verso sinistra per andare a prendere l'inizio del diedro nero.
Alex se le bevve tutto d'un fiato.
Mise due friend.
Un cordino dietro ad uno spuntone, prima di scendere per alcuni metri  alla sosta successiva.
Procedevano lenti,  ma “very relaxed”.
La cordata  Alex-Jacopo macinava metri e smontava la via.
Attaccarono il diedro nero alle undici e trenta
Il diedro era bagnato (il gestore l'aveva detto).
La placca un po' più a sinistra però asciutta ed invitante.
Alex così salì a sinistra.
Rinviava le corde sui chiodi posizionati nel diedro, poi si spostava un metro a sinistra per arrampicare sulla placca.
Era un giochino di pazienza ed umiltà ma permetteva di salire in sicurezza.
Non bello da vedere  ma  sicuramente efficace.
Jacopo guardava da sotto tutto soddisfatto.
Se fossero usciti dal diedro nero avevano in tasca la salita.
Non era neanche tardi!

Le cose però, quel giorno, andarono diversamente.

__________

Antonia e Francesco erano alla sosta sotto al primo salto verticale,  prima del tiro della fessura difficile,  nel momento in cui  Alex stava finendo di scalare il diedro nero.
Antonia  lasciò il comando della cordata a Francesco.
Si mise comoda seduta sul terrazzino alla sosta.
“Da ora fino in cima vai avanti tu!” gli ordinò senza aspettarsi la risposta.
Francesco annuì.
Prese il materiale e se l'aggiustò all'imbrago.
Era stanco.
Scombussolato.
Aveva lo stomaco in subbuglio.
La testa che gli scoppiava.
Pensò che avrebbe dovuto rimanere a letto.
Il suo orgoglio glielo aveva impedito.
Antonia lo guardava impietosa.
“Non vuoi salire tu?”
“Questo tiro è bellissimo e ben chiodato” provò a dire senza convinzione.
“Io non mi sento tanto bene”.
Antonia si girò dall'altra parte senza rispondergli.
Vide Alex che era arrivato alla sosta.
Lui guardava verso di lei.
Accennò ad un saluto con la mano.
Alex sembrò rispondere facendo un cenno col capo.
Francesco partì titubante.
Sudava visibilmente.
Si arrestò quasi subito.
“Cazzo non è per niente facile!”.
Ritornò al terrazzino e riprovò più a sinistra.
Con gesti impacciati si alzò.
Arrivò in uno stato di scarsa lucidità al buco.
“Questo si che è un buon appiglio!”
Mise il rinvio nel chiodo con soddisfazione.
Si appese.
Rimase un po' lì a  riposarsi.
Poi ripartì di nuovo.
Iniziò a percorrere la fessura senza grazia, mettendo tutti i rinvii sui chiodi che erano già infissi.
In alto alla fine della fessura perse tempo ed un sacco di energie per provare ad incastrare un piccolo friend.
Si spompò completamente.
Mancavano ancora sette, otto metri alla sosta.
Ora doveva affrontare un muretto impegnativo poi la placca si appoggiava.
Si sentì stanchissimo improvvisamente.
“Alla sosta mi riposerò per bene”.
“O va avanti Antonia oppure è meglio scendere” pensò.
Fece per salire il muretto.
Aveva l'ultima protezione due metri sotto i piedi.
Salì con impazienza.
Sbagliò il passaggio.
Non avrebbe dovuto salire diritto ma traversare su quegli appoggi più bassi a destra e poi prendere una fessurina nascosta con ottime prese.
Era già a metà del muretto.
Aveva la mano destra  su un cristallo di quarzo tagliente.
I piedi appoggiati sulla placca.
Era leggermente umida e muschiosa.
La mano sinistra cercava di alzarsi cercando qualcosa di buono.
Era evidentemente fuori via.
“Sono fuori via” pensò.
“Qui è troppo difficile!”
Francesco se ne accorse tardi.
La mano destra non ce la faceva quasi più a sostenerlo.
Cercò di scendere e rifare  quel metro di placca del muretto a ritroso.
I piedi gli scivolavano.
Non riusciva a trovare un appoggio per poter scaricare il peso del corpo e scendere.
Cercò di nuovo mettendosi un po' in fuori, staccato dalla roccia.
Stava per volare.
Oramai ne era sicuro.
L'adrenalina gli aumentò in corpo.
Lo stomaco era attorcigliato.
Il sangue pulsava nelle tempie.
In situazioni normali Francesco avrebbe stretto i denti.
Inspirato a fondo.
Ritrovato la calma.
E poi, forte della vicinanza del chiodo, forzato il passaggio verso l'alto.
Ma era troppo stanco.
Pensò che sarebbe volato nel giro di qualche secondo.
Si girò verso Antonia che era giù in basso, circa trenta metri sotto.
“Stai attenta Antonia, sto per volare” urlò con un filo di voce.
Si preparò a volare mettendosi un po' in fuori.
Era tre metri sopra l'ultimo friend che aveva posizionato con tanta fatica.
Aveva messo almeno sei protezioni.
“Il fattore di caduta è minimo!”
“Non ti farai nulla!”
“Solo un po' di spavento e qualche sbucciatura”.

Prima di buttarsi realizzò quello che stava accadendo.

Un nodo in gola lo prese.
Guardò con più attenzione verso Antonia.

Antonia non gli stava facendo sicurezza.

Si era allontanata dalla sosta.
Era seduta su un masso due metri lontano.
Aveva tolto la corda dal moschettone che utilizzava per fargli sicura e sciolto il mezzo barcaiolo.
Le sue mani erano appoggiate alla faccia.
Antonia lo guardava.
“Antonia cosa stai facendo?”
“Sei diventata matta?”
Antonia era lucida.
Aveva semplicemente tolto la corda dal moschettone di sicurezza e si era messa a guardarlo con curiosità.
Francesco la vide mentre si slegava dalle corde.
Appoggiò le estremità delle due corde un po' distante da lei.
Le mise una di fianco all'altra sulla roccia.

Antonia prendeva le distanze da Francesco.

“Non ora!”
“Non adesso!”
“Cazzo sto per volare!”
“Antonia Amore!”
“Ti prego!”
“Non ce la faccio più!”
Antonia sembrava sorridergli.
Era assicurato con due corde nuove che tengono duemila chili.
La sosta sicura.
Gli ancoraggi ottimi.
Ma dall'altra parte non c'era più nessuno che lo assicurasse.
“Non mi merito questo!” pensò.
Con un ultimo gesto cercò di risalire, di ricomporsi.
Se fosse riuscito a superare quel muretto di due metri ce l'avrebbe fatta.
Allora ad Antonia gliela avrebbe fatta pagare cara.
L'avrebbe riempita di calci e pugni.
L'avrebbe insultata.
“Scopata a sangue, per punizione!”
Francesco guardò in alto.
Vide Alex alla sosta che stava recuperando il suo secondo.
Con gli occhi gli chiese aiuto.
Guardò la sua mano destra nel momento in cui le dita si aprirono definitivamente.
In quell'attimo la sua vita gli passò davanti.
Non era stato un uomo cattivo.
Solo un po' egoista.
Poco poco.
“Dio sto cadendo!”
“Dio sto morendo!”
L'ultimo pensiero mentre stava già volando verso il basso fu che un Angelo del Signore lo stesse comunque assicurando.
Si sarebbe fermato immediatamente.
Volo giù.
Passò davanti ad Antonia.
Incrociò il suo sguardo.
Non vide odio.
Solo un po' di soddisfazione.
Il suo corpo scese giù per la parete.
La testa evitò il terrazzino della sosta per qualche centimetro.
Si rovesciò in aria.
Con un colpo di reni Francesco cercò di rimettersi in posizione verticale.
Le corde si sfilarono velocemente dalla sosta come due serpenti indiavolati.
Sibilarono vicino ai piedi di Antonia.
Uscirono dal primo chiodo della fessura.
Uscirono dai chiodi sopra.
Dal rinvio del friend.
Con un colpo secco di frusta salirono un poco verso l'alto.

Poi si fermarono in aria per un attimo e scesero veloci

Cinquanta metri più in basso il corpo di Francesco era già morto.
La sua scapola destra aveva sbattuto contro uno spuntone.
Il corpo si era rovesciato.
La morte era giunta su un terrazzino di neve e muschio quattro metri più in basso.
La testa aveva sbattuto con inaudita violenza.
Il casco era rimbalzato lontano.
Le ossa del cranio si erano spezzate come se fosse un uovo sodo.
Rimbalzò un'ultima volta.
Il corpo esanime si fermò di sotto sulla neve con un tonfo leggero.
Le corde gli caddero sopra e lo avvinghiarono crudelmente.
Un fiotto di sangue uscì dalle gambe disarticolate e sporcò la neve.

Vi fu un silenzio innaturale.

Antonia rimase immobile.
Attonita.
Estasiata da quel volo.
“Non è colpa mia!”
“E' lui che è volato!”
“Non è riuscito a superare quello stupido passaggio!”
“Se andava un metro a destra sarebbe passato senza problemi”.
“Idiota”.
“Non è colpa mia!”
“Io volevo solo vederlo in difficoltà!”
“Lo volevo vedere soffrire un po'!”
“Volevo vedere come si comportava senza il mio aiuto”.
Antonia si alzò in piedi.
Ritornò sul terrazzino della sosta due metri avanti.
Guardò verso il basso.
Non vide nulla.
“Forse non è morto!”
“Mi sta solo prendendo in giro!”
“Come ha fatto migliaia di volte”.
Si sporse di nuovo.
Si sedette.
Incominciò a piangere in maniera sommessa e sincopata.
Sentiva che stava per svenire.
“Ho la nausea”.
“Mi sento svenire” pensò.
“Sono incinta”.
“E' una cosa normale” si rispose.
Afferrò un chiodo della sosta e si assicurò con un rinvio.
Chiuse gli occhi.
Si sentì stanchissima.
Il sole la riscaldava.
Si aprì il giubbotto e se lo tolse.
Aveva molto caldo, improvvisamente.
Lo tiro giù sul versante ovest.
Si tolse il casco e si sciolse i lunghi capelli.
“Alex aiutami” gridò senza muovere le labbra.
“Aiutatemi” ripeté la sua mente.

 

La discesa

Alex aveva assistito alla scena con terrore.
Era alla sosta sopra al diedro.
Stava assicurando Jacopo che saliva lento ma tranquillo.
“Forza Jacopo che siamo ormai agli ultimi tiri!” gli gridò.
“Dove sei passato?”
“A sinistra o più a destra?” chiese Jacopo.
“Segui la rigola nera, non puoi sbagliare!”
Guardò il volo di un corvo, circa venti metri più a sinistra.
Sfruttava le correnti ascensionali che salivano da ovest.
Non faceva nessuno sforzo.
Allora volse lo sguardo verso il basso.

Come in un sogno vide quello che stava succedendo.

“Un corpo stava volando giù dalla parete!?”
Alex rimase pietrificato.
“Ma come mai non si ferma?”
“Perché la corda non va in tensione?”
“Che cazzo sta facendo quell'imbecille!”
“Nooo!”
“No, non può essere che le due corde si siano rotte!”.
“No. Non sembrano rotte”.
Vide l' alpinista rotolare lungo la parete.
“Ma quanto sono lunghe quelle corde?”
“Cazzo, Jacopo!”
“Gesù!” urlò.
“Che sta succedendo?” gli fece eco Jacopo.
“Qualcuno sta volando sul tiro della fessura” urlò di nuovo.
Guardò Antonia ferma immobile vicino alla sosta.
Non sembrava preoccupata.

C' era qualcosa di strano.

“Attenta Antonia!” disse sottovoce tremando.
“Ora arriva lo strappo” pensò.
“Speriamo che la sosta regga!”.
“No, Dio mio, No!”.
Non ci fu strappo.
Antonia rimase al suo posto.
Immobile.
Il corpo del suo compagno era caduto almeno duecento metri più in basso sulla  neve.
Le corde si erano sicuramente rotte.
Forse su uno spuntone tagliente.
Antonia sembrava tranquilla.
Era attaccata alla sosta.
Stava bene e sembrava dormire.
“Cazzo, Jacopo!”
“Hai visto cosa è successo?”
“Ho sentito solo lo schiocco di una frusta”.
“E' precipitato”.
“L'alpinista dietro di noi è precipitato”.
“E' giù in fondo sul nevaio”.
Ci fu un silenzio irreale.

Alex si appoggiò alla parete.
Jacopo fece resting sull'ultimo chiodo.
Era ormai a cinque, sei metri da Alex.
Vide il suo volto sbiancato.
“Stai calmo Alex!”
“Fammi arrivare alla sosta” gli sussurrò quasi per tranquillizzarlo.
Jacopo arrivò alla sosta.
Si legò con un' asola.
Guardò negli occhi Alex.
Stava piangendo.
Guardò lo spigolo in basso.
Vide la giovane alpinista ferma.
Aveva le mani sul viso.
Si sporse e vide lontano, in basso, il corpo sulla neve, ricoperto da una ragnatela di corde.
Sangue intorno.
“Ok! Cerchiamo di stare calmi!”
“Dobbiamo scendere Jacopo!”  suggerì sottovoce Alex.
“Quella ragazza è senza corda!”
“Chiamiamo l' elicottero, intanto! ” propose Jacopo.
Alex incominciò ad urlare.
“Antonia stai bene?”
“Non ti muovere!”.
Antonia alzò gli occhi ed annuì con la testa.
Provarono a fare il 118 col cellulare di Jacopo.
Non prendeva la linea.
Alex tirò fuori il fischietto, che aveva nella cerniera del sacchetto della magnesite.
Incominciò a fischiare forte.
“Ogni dieci secondi” gli disse Jacopo.
Dalla Cresta Sertori qualcuno aveva seguito l'incidente.
Risposero delle voci.
“Chiamate aiuto!”.
“Chiamate l'elicottero!” urlarono verso il Badile.
Attrezzarono con calma la prima doppia.
Per evitare problemi lasciarono un moschettone a ghiera.
Si calarono lentamente alla base del diedro nero.
Jacopo iniziò a tremare leggermente.
Fece a ritroso il tiro facile in traverso verso destra.
Alex lo seguiva veloce.
Ora era attento e concentrato come non mai.
Voleva arrivare da Antonia per vedere come stava.
Attrezzarono velocemente anche la corda doppia sulla schiena di mulo.
Prima scese Jacopo.
Poi Alex.
Jacopo mentre scendeva guardava Antonia.
Era agganciata con un rinvio ad un chiodo di sosta.
Non si era mossa di un millimetro.
Aveva uno sguardo assente.
Sembrava in un altro luogo.
Jacopo cercò di capire cosa fosse successo.
I rinvii erano al loro posto.
Vi era anche un piccolo friend ben incastrato nella fessura.
Non vide spezzoni di corda.
Arrivò da Antonia.
Si legò alla sosta con una longe.
“Libera” urlò ad Alex.
“Puoi scendere!”
Si sedette vicino ad Antonia.
Si ricordò di essere medico.
”Come sta?” le disse scuotendola.
“Come  stai?” continuò.
“Stai bene?”
“Cosa è successo?”
Antonia lo abbracciò senza parlare.
Sembrava in stato di trance.
Dopo qualche minuto scese lungo la corda doppia anche Alex.
Si lego e si voltò lentamente verso di lei.
Prese la sua faccia con le mani e la costrinse a guardarlo diritto negli occhi.

Vide l'orrore e lo sgomento, la fermezza  e la dolcezza.

“Antonia, perché?”
L'elicottero salì diritto puntando verso di loro.
Costeggiò il rifugio.
Scavalcò i prati.
Sembrava un'enorme libellula.
Arrivò sopra  le loro teste con un rumore assordante.
Lasciò un uomo di fianco al cadavere, in basso.
Poi dopo dieci minuti salì in verticale di fianco alla parete.
Sostò per un attimo di fianco a loro.
Alex e Jacopo fecero un cenno di saluto al pilota.
Salì ancora un po'.
Una guida del soccorso alpino si calò su di loro col verricello.
Antonia venne legata con un moschettone all'imbragatura del soccorritore.
“Voi state bene?” urlò l'uomo.
Il rumore del rotore era assordante.
“Sì, sì.”
“Scendiamo da soli” fece Jacopo urlando.
La guida annuì con la testa.
L'elicottero ripartì di slancio come se fosse legato ad un immenso elastico in cielo.
Antonia era appesa alla fune di acciaio dieci metri sotto la carlinga.
L'uomo del soccorso, legato dietro, la confortava.

Fu l'ultima volta che Alex la vide.

Jacopo ed Alex arrampicarono in discesa lungo la cresta e scesero  in doppia dal canalone.
Non dissero una parola.
Ognuno sapeva cosa fare.
Non avevano fame, né sete.
Non sentivano la stanchezza.
Volevano solo tornare  giù in fretta.
La corda doppia si incastrò per due volte.
Per due volte risalirono sui prusik per sbloccarla.
Scesero al rifugio lungo i pendii di neve, in un caldo opprimente.
Quasi di corsa iniziarono la discesa a valle.
Volevano allontanarsi da quel luogo, dimenticare quello che avevano visto.
Arrivarono all'auto alle sette di sera.
Guidarono a turno con prudenza.
Alle tre di notte Alex baciò sua moglie ed il suo bambino che dormivano  profondamente nel grande letto della camera matrimoniale, uno vicino all'altro.
Non li svegliò.
Si abbandonò sul divano del salotto e si addormentò all'istante.

 

Epilogo

Alex e Jacopo furono chiamati una settimana dopo al commissariato di Polizia.
Volevano sapere cosa era successo su quello Spigolo.
Il soccorso alpino aveva notificato che c'era stato qualche cosa di strano nella dinamica dell'incidente.
Jacopo fu preciso e sicuro di sé nell'esposizione dei fatti.
Raccontò che lei non era legata alle corde.
Che l'avevano trovata agganciata alla sosta con un rinvio.
Che era confusa ed assente.
Alex sostenne che non aveva visto bene perché era molto distante.
Forse il mezzo barcaiolo non era stato fatto correttamente.
Forse il nodo era semplicemente uscito dal moschettone  per via dello strappo.
Non si sapeva spiegare come mai quella donna non fosse legata all'altro capo della corda.

L'indagine si fermò lì.

Il commissario non capiva un accidente di montagna e considerava l'alpinismo uno sport idiota per aspiranti suicidi.

Qualche anno dopo per Natale arrivò ad Alex un biglietto di auguri firmato da Antonia.

Alex e Jacopo non sono ancora tornati sullo Spigolo Vinci.

Forse la prossima estate!

 

Cesena, 2002
© luglio-agosto-settembre 2003 intraisass

Gianni Fantini

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