Dove sta la sicurezza?
A cura del Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane

 

di g.a. Lorenzo Merlo
Ufficio Comunicazione Guide Alpine Italiane

 

 

Il seguente articolo è già stato pubblicato su altre testate. Ha anche fatto da sfondo all'intervento del delegato AGAI presso l'ultima (maggio 2002, Bormio – So) Assemblea dei Delegati. In quell'occasione furono diverse le persone, primo fra tutti il Presidente del CAI Gabriele Bianchi, che espressero apprezzamento per la prospettiva che vi era proposta. Non solo, le Guide alpine italiane esponendola, la indicavano come terreno di lavoro in collaborazione con il Club Alpino Italiano.
La prospettiva è ora riproposta ai lettori di Intraisass nella speranza di aprire uno scambio che consideriamo proficuo per l'Uomo, per la cultura e utile per raggiungere un numero ulteriormente più grande di persone.


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Poche righe per proporre una prospettiva sulla sicurezza stile uovo di Colombo. Nessun consiglio. Nessun esperto. Nessuna verità definitiva. Nessuna tecnica, né Sapere, nessuna scoperta, né nuova idea. Solo una precisazione: capire non basta. Ri-creare è necessario.

Quando “andersen”, il primo uomo che si mise due legni sotto i piedi per muoversi meglio nella neve, ad un certo punto incontrò un pendio eccessivo, si cavò i legni e proseguì a piedi. L'idea d'aver rischiato di rompersi un femore non la conobbe mai. Non aveva bisogno di conoscenze tecniche per adattare il suo comportamento allo scopo della sicurezza. Aveva solo “sentito” l'eccesso. Quel “sentire” passa attraverso le orecchie della Relazione con l'ambiente, Sé incluso. (Un principio che vale assai anche in contesti didattici.)

Quando un Tuareg si avvia alla traversata insieme alla sua carovana, non ripassa il manuale di deserto, di tempesta di sabbia o di sopravvivenza sahariana. La cultura con la quale è cresciuto, nella quale si identifica (senza alcun processo di razionalizzazione), è la sede della sua sicurezza. Una cultura forzatamente coniugata, scaturita e formata dalla relazione con l'ambiente.

Per lo stesso motivo un camoscio sente quando poter attraversare una colata ghiacciata e quando no. E' per questo nocciolo che l'alpinismo è atto culturale, non sportivo, così le montagne e la natura.

Con le stesse modalità del tuareg ogni giorno guidiamo la macchina e conduciamo la vita. Davanti ad una curva ghiacciata adottiamo un comportamento utile solo se determinato dalla relazione con “tutti” gli elementi in gioco, colti, intuiti, razionalizzati, consci ed inconsci. La Tecnica, la Conoscenza stessa, se l'atteggiamento è tarato sull'ascolto, diviene elemento pari agli altri e con essi coniugato, quindi tendenzialmente sfruttata al meglio. Non è certo ripetendo pedestremente quanto dice, o non dice, il cartello stradale che realizziamo la massima sicurezza. Come potremmo evitare una sbandata se non usassimo come riferimento il sentire in sostituzione del sapere fornitoci dal cartello?

Ognuno di noi può condividere che davanti ad un passo pedonale oltre al verde del semaforo è opportuno dare un'occhiata in giro, ovvero, privilegiare le informazioni scaturite dalla relazione piuttosto che quelle preconfezionate.

Solo quando la sicurezza dell'incrocio passa dal verde di quel semaforo all'ambiente, possiamo attraversare con il rosso a “rischio zero”. Diversamente, si tende ad alzare il rischio: la presenza dell'imprevisto. La relazione contiene il massimo potenziale d'innalzamento della sicurezza, indipendentemente dalle conoscenze tecniche e dall'abilità motoria di cui disponiamo.
Già Bonatti si era accorto che non era la pistola la fonte della sicurezza per muoversi in ambienti selvaggi. Già Messner aveva messo in risalto il significato del ri-percorso storico come centro della ricchezza e della forza. Della sicurezza. Già Gogna aveva assunto come perno della prospettiva la ri-creazione, fatto individuale, mai massificabile, sinonimo di bellezza e di vita. Già Guerini vide il Gioco su terreni tanto seri.

Quindi il famoso turista giapponese che esce dal rifugio Torino in scarpe da tennis non adotta, di per sé, un comportamento rischioso. Noi stessi “esperti alpinisti” potremmo fare come lui. Giapponesi ed alpinisti tendono ad alzare il rischio se il comportamento è adottato senza tener conto degli elementi e delle richieste che l'ambiente e il sé continuativamente offrono e cangiano. Vi ricordate quando su un sentiero qualunque si alza lo sguardo per osservare in giro? Vi ricordate che s'inciampa subito?

La non relazione, a qualunque livello, alza la possibilità dell'imprevisto, della sorpresa, riduce l'habitat della creatività: la sola energia capace di re-inventare la soluzione appropriata, di scegliere tra tecniche specifiche (se se ne hanno) o di combinarle in modo inusuale o nuovo.

In quest'epoca nelle nostre espressioni si trova l'induzione a pensare/credere che la sicurezza stia nel materiale e nelle tecniche. Due cose fuori da noi, acquisibili e nelle quali – inconsapevolmente – rimettiamo la nostra sicurezza. La sicurezza sembra il prodotto di atto acquisitorio, non quello dell'esperienza consapevole. E' da questa concezione che nasce l'idea che spittare alza la sicurezza. “Giusto”! A patto che gli scalatori ri-cerchino in sé e non fuori da sé il nodo della sicurezza. “Sbagliato”! Se avvicina inconsapevoli persone tarate secondo il positivistico volere è potere.

La relazione con l'ambiente/sé dà quindi una possibilità altrimenti remota ed occasionale nella nostra cultura. Dà la possibilità di riconoscere – in modo via via più raffinato – quanto viviamo la nostra natura attraverso il mondo delle idee e quanto attraverso quello dei sentimenti. Il significato delle due dimensioni. La prevaricazione di una rispetto all'altra. La possibilità di liberarci da una per accedere alla libertà contenuta nell'altra.

La sportivizzazione, il prestazionalismo, l'attenzione alla “Quantità” delle cose, materiali ultima generazione, equipaggiamento come da pubblicità, “ce l'ha fatta mia sorella devo farcela anch'io”, le tecniche concepite come il fondamento per frequentare le montagne non fanno che spingerci lontano dal centro: la nostra motivazione, la nostra dimensione, la nostra libertà gratificata.

Che morale dunque? Parlare di sicurezza in questi termini è maggiormente efficace che limitarsi a citare il famigerato “rispetto per la montagna” o il contemporaneo alter ego di “natura amica”. La natura è la natura, per cavalcarla bisogna sentirla. Accedere a se stesso prima che alle tecniche, permette ad ognuno di riconoscere la sede del problema. Per riconoscere quali preconcetti si stanno impiegando. Permette di aggiornare il linguaggio, di cogliere il vero nel patrimonio della propria memoria/esperienza “senza più” cercare di ricordare “cosa ha detto di fare l'istruttore in questi casi?”, di pensare che la lacerazione mente/corpo-natura/cultura possa avere un'opportunità di riduzione. Nessuno più dal Torino scivolerà dentro un crepaccio.

Le guide alpine stanno lavorando per creare un dibattito aperto su questo tema. Ritengono sia possibile organizzare un intervento culturale di portata nazionale. Potenzialmente in grado di entrare a concorrere nella formazione scolare, nella dimensione ambientale, oltre naturalmente ad essere già oggetto della formazione delle Guide alpine stesse e degli Accompagnatori di media montagna.

 

<2002>
© febbraio 2003 intraisass

g.a.Lorenzo Merlo
Ufficio Comunicazione Guide Alpine Italiane
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