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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: Don Whillans - Ritratto di un alpinista
Autore: Don Whillans e Alick Ormerod

Traduzione di Silvia Mazza
Pagg. 256 con illustrazioni b/n
€ 18,59
Editore: Centro Documentazione Alpina (Torino) - Ottobre 2001
Collana: "Le Tracce" a cura di Mirella Tenderini

 

Don Whillans - Ritratto di un alpinista recensione di Flavio Faoro

La collana Le Tracce dell'editore Centro Documentazione Alpina di Torino è in pochi anni arrivata al ventesimo titolo pubblicato. Curata da Mirella Tenderini, la collana ha preso avvio con il bel volume di Anatolij Bukreev, sulla scia dell'anche troppo noto Aria sottile di Krakauer, ed è proseguita con alcuni piccoli capolavori della letteratura di montagna, come i libri di Cesarino Fava, di Paul Prichard, di Lorenzo Marimonti, o qualche ristampa felice, come Andrea Gobetti con il suo Una frontiera da immaginare, o la Fuga sul Kenya di Felice Benuzzi. Arriva adesso questo Don Whillans - Ritratto di un alpinista, scritto dallo stesso Whillans e da Alick Ormerod, uscito nel lontano 1971 e mai pubblicato in italiano. E a chi esprima pur legittimi dubbi sulla validità dell'operazione (trent'anni sono molti e chi, fra i giovani climbers italiani, ha mai sentito parlare di Whillans?) va ricordato che la statura alpinistica di questo personaggio e l'importanza del miliéu alpinistico inglese degli anni Cinquanta e Sessanta (Joe Brown , Chris Bonington e Hamish McInnes, solo per citarne alcuni) giustificano davvero la lettura di queste pagine. Pagine che iniziano dall'infanzia di Whillans, in un sobborgo fuligginoso di Manchester, e terminano con la prima salita della parete Sud dell'Annapurna, nel 1970. In mezzo ci sono 25 capitoli in cui ci vengono raccontati gli esordi di Whillans sulle rocce del Lake District, del Galles o della Scozia, i suoi viaggi sulle Alpi, sulle Ande Patagoniche o in Himalaya.

Lo stile è asciutto e mai autocelebrativo, come da tradizione anglosassone, e la britannica ironia è affidata ad un apparente distacco emozionale più che a battute o espliciti riferimenti comici. Memorabili sono i capitoli dedicati alla prima salita del Pilone Centrale del Freney, nel 1961, dopo la famosa tragedia di Walter Bonatti e dei suoi compagni; alla Parete Ovest dell'Aguille de Blaitière; all'Eiger (fu testimone della morte di John Harlin, durante il tentativo di salire una via direttissima, nel 1965); alla Parete Ovest e al Pilastro Bonatti dell'Aguille du Dru; al Masherbrum. E alle Dolomiti, dove Whillans tornerà in più occasioni, scalando molte classiche di alta difficoltà in Lavaredo, Civetta, Tofana, Marmolada. Attratto dalla fama di belle pareti e di tempo stabile (Fa sempre bello sulle “Dollies”!) vi arrivava in moto, quelle grosse motociclette inglesi che furono l'abituale mezzo di trasporto di Don e sono fonte di avventure di viaggio e di incidenti, episodi narrati con brio e non trascurabili parti del libro. Libro che, come dicevamo, si ferma al 1970, mentre anche negli anni successivi - Whillans muore nel 1985, di morte naturale – la sua vita è ricca di viaggi, di scalate e di avventure.

Per rendere, anche se brevemente, lo spirito che anima l'attività alpinistica di Whillans e che si ritrova efficacemente nel libro, riportiamo una frase tratta dal capitolo Gauri Sankar, sulla spedizione al colosso fra Nepal e Cina: “Il lungo avvicinamento ci aveva spossati. Tutti avevamo avuto attacchi di setticemia a cui si aggiungevano i soliti problemi intestinali. Non si poteva certo di re che fossimo nelle condizioni migliori per scalare un difficile picco himalayano, ma eravamo lì per questo e non potevamo certo tirarci indietro”.

Flavio Faoro
Belluno, gennaio 2002


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