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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: I diari di Rubha Hunish
Brevi saggi sull'interruzione del pensiero in viaggio
Autore: Davide Sapienza
Pagg. 208
13,40
Editore: B
aldini Castoldi Dalai, Milano 2004
 

 

I diari di Rubha Hunish  recensione di Franco Michieli

Diciamolo subito: i diari di Davide Sapienza alias Rubha Hunish, ambientati in montagna così come in viaggio verso le montagne in un intreccio di suoni e di memorie musicali, faranno alzare le spalle a quasi tutti i tradizionali frequentatori di pareti e sentieri. Li sento già: «Ma cosa dice questo? Pare scoprire l'America, e parla di cose che io ho saputo il primo giorno che sono andato in montagna!». Bravi. Il punto è che questo libro, alieno a quasi tutti gli stili degli “scrittori di montagna” e ancora di più all'ambiente alpinistico, apre una possibilità di comprensione completamente nuova al lettore non “di settore”, alla persona in quanto tale, quella che si stupisce di fronte alla bellezza di un monte, ma che non è mai riuscita a capire il senso degli assalti alle cime e delle vie estreme, perché quel senso non è stato quasi mai raccontato con parole non iniziatiche o non banali (vedi: «abbiamo vinto il mostro»). Mi spiego meglio: questi diari non descrivono gesti alpinistici, itinerari, imprese, mete, filosofie. Sono brevi capitoli che riproducono, rallentandole e illuminandole, impressioni nate a contatto col territorio, tra le vette alpine e le distese artiche. E sono impressioni di un uomo esperto di musica contemporanea e di letteratura avido di scoperte, travolto “nel mezzo del cammin di nostra vita” dalla nuova passione per la wilderness. Ecco perché, pur rivelando cose strane, può essere vicino al gusto non specializzato di tanti.

Prima di sbilanciarmi, aggiungo però un altro dato per mettere in guardia il lettore: Davide è mio amico, abbiamo condiviso varie giornate in montagna e alcuni viaggi tra Islanda e Ande; inoltre io sono citato come “Franco” in alcuni passaggi del libro. Perciò eventuali elogi in questa mia recensione sono sospetti (come sempre, in verità: di solito le recensioni positive non sono scritte da amici o da amici di amici?). Nella mia condizione sono però in grado di dire qualcosa che gli altri lettori non possono sapere, e cioè della meraviglia che ho provato leggendo le pagine di Rubha Hunish dopo aver vissuto con l'autore diversi “passaggi chiave” dell'interiorizzazione del suo percorso fisico sui territori selvaggi. È una questione decisiva, difficile da intuire senza averne osservato diversi momenti, da quando, nel 1995, sui monti del British Columbia, lo scalatore e viaggiatore visionario Renato Da Pozzo fece al giornalista musicale Davide Sapienza un bel discorso, mettendolo alle strette: se davvero teneva allo spirito degli indiani nativi, su cui aveva pubblicato vari libri; se davvero gli interessavano la poesia e la musica per cui lavorava; allora doveva cambiare vita, smettere di fare il sedentario e imparare a frequentare i territori naturali, vera fonte d'ispirazione per l'uomo e l'artista. Davide capì che la sua strada doveva prendere quella svolta, e in sella a una bici, a piedi o sugli sci ci si buttò con eccitazione quotidiana. Ecco perché il tempo della scoperta per lui ha potuto essere così concentrato e frenetico. Ed ecco ciò che volevo sottolineare: in numerose situazioni ho visto Davide piuttosto turbato dagli spazi naturali che ci circondavano, costretto a fermarsi, a guardarsi dentro per trovare la forza di reggere l'impatto di quegli scenari inesauribili, a volte obbligato a uscirne per alleviare il sentimento della loro potenza. E' successo ad esempio in Norvegia, di fronte al vuoto apparente degli altipiani lapponi; in Islanda nel paesaggio vulcanico invernale da pianeta estraneo, spazzato dal vento invincibile; ma anche nel sole delle Orobie autunnali. Se da quella lotta non fosse emerso questo diario, avrei potuto credere che il rapporto di forze fra il territorio e Davide avesse lasciato più volte il mio amico in uno stato di debolezza insuperato. Quello che esce dalle pagine racconta invece un'altra storia: Davide ce l'ha fatta in modo sorprendente. Di fronte all'eccesso di grandezza della wilderness non si era ritirato arrendendosi, ma “interrompendo il pensiero”, come dice il sottotitolo dei diari; non ha sepolto l'imprendibilità della natura selvaggia sotto il progetto materiale di raggiungere una cima o di completare un itinerario (come facciamo quasi tutti per nascondere il fatto che non comprendiamo che cosa sia veramente la montagna che saliamo: la incappucciamo sotto la prestazione). Si è fermato e ha lasciato vivere in lui quelle sensazioni così difficili, senza nasconderle, ed è riuscito a trascriverle sulla carta. Ecco perché l'alzata di spalle di noi duri dell'alpinismo o dell'escursionismo è fuori luogo: noi la strada di Davide la schiviamo quasi sempre, fermi nel nostro pensiero per la cima o la via o le cose da fare al ritorno.

Questi diari, annotati e corretti tra il 1995 e il 2004 in svariate parti del mondo e legati non dal tempo cronologico, ma dalla relazione tra impressioni che attraversano lo spazio-tempo, sono con ogni probabilità i testi più interiorizzati relativi alla montagna che abbia mai letto: di altri simili estesi per 200 pagine non ne ricordo. Ad ogni nuovo capitolo ci si aspetta un cedimento, una concessione a qualche descrizione pratica del viaggio o dell'ascesa, ma incredibilmente questo cedimento non c'è, o almeno io non l'ho trovato. Con coerenza ferrea e spontanea al tempo stesso, l'esplorazione è interiore; l'analisi riguarda l'impatto della Terra sull'immaginazione; non una parola che quantifichi un risultato materiale o sportivo. Le montagne non sono correlate a gradi, tempi, quote, nemmeno a itinerari panoramici, ma a frasi musicali di Bjørk o dei Beatles, alla poetica di William Blake o all'Urlo di Münch (il quadro rubato a Oslo proprio pochi giorni prima dell'uscita del libro) e alle istantanee illuminazioni che tutto ciò genera; mentre una salita in bici al Pordoi sotto l'acquazzone si dimostra visionaria come un'ascensione andina.

Questa, in breve, la storia. Quanto al giudizio sul valore letterario, non penso sia esprimibile in modo oggettivo. Per una volta, c'è un'opera rivolta con chiarezza alle sensibilità personali e non “al pubblico”.

Che cosa sia poi questo Rubha Hunish, lo sa solo il territorio nordico che l'ha suggerito. Ma nulla vieta di andarlo a cercare.

Franco Michieli
Valcamonica, ottobre 2004
 

Conversazione con Davide Sapienza
[da Rai Educational]

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