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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: Confessioni di un serial climber
Autore: Mark Twight
Traduzione di Lorenzo Ruggiero
Prefazione di Brian Enos
Pagg. 236 con foto b/n
17
Editore: Versante Sud - 2004
Collana
: I Rampicanti

 

 

Il mio mondo verticale  recensione di Flavio Faoro

«In questo libro ho cercato di dimostrare quanto una mente disciplinata può portare lontano un uomo che per sua natura non sia particolarmente forte, né coraggioso». Questa è una delle ultime frasi del libro che propongo ai lettori di Intraisass quest'oggi [giorno da ricordare per la nostra redazione, N.d.r],un volume appena pubblicato dalla giovane e attivissima casa editrice milanese Versante Sud. Si tratta di “Confessioni di un serial climber” di Mark Twight, 236 pagine e 16 tavole in bianco/nero, 17 euro.
Ho citato la frase perché rivela, smaccatamente, come la lucida follia che Twight ci propone per oltre 200 pagine sia in realtà solo la bella confezione di una mente rigorosa e, oserei dire, metodica, tesa all'alpinismo estremo come risultato di un approccio tutt'altro che caotico e irrazionale. Ma andiamo con ordine.

Mark Twight è famoso anche in Italia come protagonista dell'alpinismo estremo (e proprio così si intitola un suo fortunato manuale di arrampicata) sulle grandi pareti, ma anche – o soprattutto? – per la sua filosofia punk e ribelle, i suoi racconti visionari e ferocemente critici del climbing star system, la sua aria non più hippy ma - come si potrebbe dire? - acida e disincantata.
Ora, finalmente, esce questo libro, raccolta di articoli ed interventi pubblicati sulle riviste anglosassoni dagli anni Ottanta ad oggi. Ed è una bella scoperta. Sapete, la letteratura dell'alpinismo è difficile che sorprenda. Può colpire per eleganza di stile, profondità di visione, straordinarietà dell'impresa raccontata. Ma, diciamocelo francamente, non è un caso se nelle classifiche di vendita delle librerie il settore “montagna” i grandi numeri li raggiunge poche volte. A meno di qualche sorpresa. E ce ne sono state anche negli ultimi anni (devo ricordarvele? La morte sospesa, Aria sottile, Il volo della martora, Endurance!...),tutte accomunate dalla non ovvietà della scrittura, dal taglio nuovo del racconto, dalla freschezza – anche se si tratta di testi scritti in passato – che il lettore avverte attraversando le pagine.

Anche nel libro di Mark Twight c'è tutto questo, un punto di osservazione sull'alpinismo estremo e sulle scalate che in Europa (nella Vecchia Europa dei Club Alpini e degli Alpinisti Tradizionali) ben pochi conoscono. La musica punk, che fa da sottofondo musicale e testuale alle scalate, la mancanza di certezze professionali, affettive, relazionali (tutte sacrificate all'alpinismo estremo), l'alternarsi di stati di esaltazione e di profonda depressione, la lotteria di morti in montagna fra amici e conoscenti (ben quaranta, ci dice ad un certo punto!): tutto fa da base esistenziale ad un alpinismo in cui le scale normalmente utilizzate sono inadeguate a misurare un mix di alta velocità, difficoltà pazzesche, equipaggiamento leggero, arrampicata per giorni senza quasi mangiare e dormire, ecc. Potete immaginare quanto avvincenti, lucidi e feroci siano i racconti, spiazzanti non solo per gli alpinisti della domenica, con lavoro, famiglia e fondo pensione ben nutrito, ma anche per gli estremi di casa nostra, che partono per spedizioni blindate su montagne, temiamo, talvolta più famose che difficili.

Ma non aspettatevi una lettura facile e rilassante: sarà sorprendente – ripeto –, intrigante, istruttiva come affacciarsi su un panorama noto da un punto di vista completamente nuovo. Ma non divertente.
Devo ora spiegare la frase iniziale di questa recensione: Twight, ad una lettura superficiale, sembra uno che si spara direttamente dalla poltrona alle più bestiali pareti di misto, in inverno e senza fornelletto. Tutte balle: è un tipo che si allena da pazzi, che studia e ragiona e pensa per mesi le sue imprese, che decide e programma le sue scalate e fa ben poco per caso. Ed è questa la grande lezione (la grande contraddizione?) del libro: la sua capacità di mantenere il disincanto e la poesia – inorridirebbe, credo, se leggesse questo – anche in una vita alpinistica non diciamo pianificata, per carità, ma rigorosa e meticolosamente vissuta.
Dopo aver letto questo libro, ne sono certo, staremo un po' più attenti nella lettura delle cronache alpinistiche, che non ci sfuggano altri personaggi così.

Flavio Faoro
Belluno, giugno 2004
 

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