Questo libro affronta il rapporto “inconsueto” del mondo femminile con la
montagna, un rapporto che proprio perché poco “appariscente” nel numero,
ma non in grandezza, è ancora difficile da capire e conoscere.
Pensare che la mente e il fisico femminile non siano adatti e preparati
per l'avventura, la grande avventura della montagna, è il primo dei
pregiudizi che affiora in chi, come la maggior parte delle donne, non
conosce molto della propria storia: sia della propria storia comune, sia -
e soprattutto - di quella personale.
Una limitata conoscenza di sé, delle proprie possibilità, dei propri
desideri, può indurre a ritenere che lo spazio dell'avventura e della
conquista delle vette sia terreno esclusivo del mondo maschile, il solo
che, per maggiore e riconosciuta forza fisica, e per maggiore
“predisposizione naturale”... può accedere ad un altro piano, un piano più
“alto”, in tutti i sensi.
Questa visione del rapporto “donna e montagna” è limitata e limitante non
solo per sé stessa, bensì per ogni essere umano, maschio e femmina che
sia.
Perché ciò che muove l'uomo verso la conquista di una vetta, verso
l'avventura degli spazi infiniti, non è riducibile ad una forza fisica
(che tutt'al più ne è il meccanico effetto), ma è il desiderio di trovare
rari momenti e spazi di assoluta libertà e silenzio. Ecco che allora la
conquista dell'esterno diviene anche una conquista interiore, un mezzo di
affermazione personale, un “realizzarsi”, un “prendersi’” sul serio,
“giocando con i propri passi” fino alla cima.
Questo libro, ripercorrendo alcuni percorsi, non solo alpinistici, di
donne, è un tentativo di comprendere questo spazio vuoto, spazio che solo
rende possibile il cammino che si apre tra sé e il desiderio di avventura,
quell'avventura, come si dice nel primo capitolo, con la “A” maiuscola...
Viaggiare, crescere figli, fare volontariato, scalare una montagna... in
un viaggio attraverso il tempo: il testo ci offre l'occasione di rivivere
le avventure delle prime ascensioni sulle Alpi di dame dell'alta società,
delle spedizioni femminili degli anni settanta, dell'arrampicata negli
ultimi decenni, nonché quelle di signore vittoriane che, appena un secolo
fa, si divertivano ad arrampicare con le gonne raccolte alla cintola.
Nove storie di donne che, ben prima e ben oltre di essere alpiniste, sono
state donne “vere”, con il coraggio e la personalita' di superare
stereotipi e pregiudizi dell'epoca inseguendo con tenacia i loro sogni e
soprattutto il loro desiderio di libertà.
La prima protagonista è la raffinata e nobildonna francese Henriette d'Angeville,
“la fidanzata del Monte Bianco” che nel 1838 ne conquista la cima, e ne fa
ritorno per raccontare, in un libro, al mondo la sua avventura: l'episodio
è considerato il punto di partenza dell'alpinismo femminile.
Si racconta poi di Gertrude Bell, famosa archeologa inglese che una
ventina di anni prima di andare a Baghdad a rappresentare gli interessi
britannici nel 1902 scala la cresta Nord-est del Finsteraarhorn, la cima
più alta dell'Oberland.
Poi è la volta dell'americana Annie Peck che nel 1908, all'età di
cinquantotto anni, vuole a tutti i costi salire più in alto di ogni altra
donna alpinista di quel tempo e sceglie un 7000 sudamericano, il Huascaràn,
in Perù. Il tentativo non le riuscirà, ma sarà la prima a farsi
sponsorizzare.
C'è anche chi, come Alice Damesme e Miriam O'Brien, rivendicando
pubblicamente il diritto di scalare come capocordata, scalano, da sole, il
Cervino o chi come Loulou Boulaz nel 1962 tenterà la parete Nord dell'Eiger
nelle Alpi.
Elvira Sataeva, alpinista russa fedele innanzitutto alla solidarietà e
moglie di un alpinista, invece, nel 1974, raggiunge la cima del Pik Lenin,
7134 metri. In cima ci arriva, ma non riesce a scendere e ivi perisce di
sfinimento insieme a sette compagne. Nel 1986 Wanda Rutkiewicz, la Signora
degli Ottomila, corona il suo sogno di scalare il K2. Il secondo obiettivo
diviene poi la salita dei 14 ottomila: il nono, il Kangchenjunga, le sarà
fatale nel 1992.
Miriam Garcia si fa stregare dalla bellezza del patagonico Fitz Roy e si
organizza per salirlo, nel 1988. Offre una grande lezione di umanità
rinunciando a tentare la salita, in occasione di uno dei rari periodi di
bel tempo di quei posti, per recare conforto ad un amica che ha perso il
marito in un incidente sul Cerro Torre.
Alison Heargreaves, un marito e due figli, è una signora inglese istruita
ed educata. Tra le altre cose è un'alpinista fortissima e si toglie il
lusso di salire sull'Everest senza ossigeno, in solitaria, nel 1995, unica
a ripetere ciò che Messner aveva fatto nel 1980. L'alpinismo le costerà il
naufragio del matrimonio e la vita, poco dopo il successo sull'Everest,
travolta dalla bufera sul K2.
Queste le nove storie, ciascuna dedicata a un episodio saliente della vita
di altrettante donne diversissime tra di loro, che nell'arco di quasi due
secoli, spinte dalla passione per la montagna, hanno sfidato le
convenzioni sociali o la diffidenza dei loro colleghi alpinisti, per
realizzare i loro sogni