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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: Il richiamo del silenzio
Autore: Joe Simpson

Pagg. 310 con foto colori
€ 18,60
Editore: Mondadori, Milano, 2003

 

 

Il richiamo del silenzio  recensione di Mauro Mazzetti

Spesso ci si ferma a riflettere sul trascorrere del tempo: ritornano così volti, immagini, storie, scelte, compromessi. Poi ci si ferma, e ad una certa età si tira una riga; non è un bilancio delle diverse stagioni della vita, quanto piuttosto un esame approfondito di “cosa” è stato, forse del “perché” è stato, sicuramente di “come” è stato.
L'esame riguarda vari aspetti dell'esistenza, certamente collegati tra di loro, non necessariamente coordinati.
Anche nell'ambiente della montagna funziona così; pure Simpson non si sottrae a questa operazione, che diventa per lui una necessità, il bisogno di mettere qualche paletto in una vita alpinistica (forse) non improntata a particolari speculazioni, nel senso di indagini e di osservazioni a carattere intellettuale. Una vita alpinistica colma di gioie e di delusioni, peraltro non diversa da mille altre, ma che per lui – come per ognuno di noi la nostra – è veramente “speciale” ed “unica”.

Nel Richiamo del silenzio siamo perciò lontani dalla cornice eroica e drammatica di altri libri dell'autore (e mi riferisco ovviamente ma non solo a La morte sospesa). Stiamo però attenti: il tono non è mai dimesso o disarmato, remissivo o disattento. Il livello della narrazione e dei contenuti non si abbassa sotto limiti di guardia, concettualmente parlando.
Al contrario, Il richiamo del silenzio è motivo di considerazioni positive e concrete. Il libro si divide in due parti ben distinte. Potremmo definire la prima come propedeutica alla seconda, come prodromica allo svolgimento della storia principale, dell'evento - cardine che intesse e sostiene tutte le pagine del volume.

Nella prima parte assistiamo così all'evolversi di un'idea, o meglio alla presa di coscienza dell'esistenza di una montagna che è simbolo temuto ed ammirato, rispettato e corteggiato; nella seconda parte assistiamo trepidanti alla costruzione del progetto che porterà ad affrontare quella montagna, cioè l'Eiger, per la via dei primi salitori sulla parete Nord. La pressione psicologica di questa montagna emerge chiara e distinta, ancorché rimanga per lungo tempo – e per molte pagine – in sottofondo e non se ne avverta la presenza incombente.
La descrizione delle salite, riuscite e no, su estreme cascate di ghiaccio e su picchi dall'altra parte del mondo instilla sempre più spesso nell'autore il concetto che sia giunto (finalmente?) il momento di tirare i remi in barca. Anche altri “passatempi”, come il parapendio, non danno la stessa scossa adrenalinica che l'alpinismo può fornire. Un forte e prepotente momento di riflessione si impone poi a Simpson quando egli si ferma a pensare su quanti siano ormai gli amici morti in montagna.

Eppure, prima di abbandonare la visione “estrema” che ha finora connotato la sua attività, l'autore vuole emettere il suo canto del cigno: quale spartito migliore della parete Nord dell'Eiger?
In compagnia di un amico fidato, peraltro arruolato con fine astuzia e con sottile opportunismo, Simpson tenta la salita. Dapprima la montagna li respinge, psicologicamente sovrastante e repulsiva, poi la scalata può avere inizio per davvero, dopo tentennamenti e ripensamenti, dopo dietrofront ed attese.
In parete le strategie minuziosamente elaborate a tavolino vanno a carte quarantotto, per colpa di alcuni fattori imponderabili ed imprevedibili. Sulla trama non conviene dire di più, lasciando ai lettori la scoperta di “come va a finire” quello che risulta comunque essere un racconto costruito su schemi apparentemente fantastici ma terribilmente realistici.
Basti solo ricordare come Simpson non riesca a rinunciare alla montagna, legato com'è ad essa con il filo doppio di un rapporto odio-amore che gli fa dire nell'ultima pagina, reduce dall'indimenticabile esperienza sul “mostro”: «Se fossimo riusciti nel nostro intento, forse avremmo detto finalmente addio alle montagne. O forse, chissà, saremmo andati in Val Bregaglia a dare un'occhiata alla parete Nord del Badile. Solo un'occhiata, niente più».

Mauro Mazzetti
Genova, gennaio 2004
 

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