Spesso ci si ferma a riflettere sul trascorrere del tempo: ritornano così
volti, immagini, storie, scelte, compromessi. Poi ci si ferma, e ad una
certa età si tira una riga; non è un bilancio delle diverse stagioni della
vita, quanto piuttosto un esame approfondito di “cosa” è stato, forse del
“perché” è stato, sicuramente di “come” è stato.
L'esame riguarda vari aspetti dell'esistenza, certamente collegati tra di
loro, non necessariamente coordinati.
Anche nell'ambiente della montagna funziona così; pure Simpson non si
sottrae a questa operazione, che diventa per lui una necessità, il bisogno
di mettere qualche paletto in una vita alpinistica (forse) non improntata
a particolari speculazioni, nel senso di indagini e di osservazioni a
carattere intellettuale. Una vita alpinistica colma di gioie e di
delusioni, peraltro non diversa da mille altre, ma che per lui – come per
ognuno di noi la nostra – è veramente “speciale” ed “unica”.
Nel
Richiamo del silenzio siamo perciò lontani dalla cornice eroica e
drammatica di altri libri dell'autore (e mi riferisco ovviamente ma non
solo a La morte sospesa). Stiamo però attenti: il tono non è mai
dimesso o disarmato, remissivo o disattento. Il livello della narrazione e
dei contenuti non si abbassa sotto limiti di guardia, concettualmente
parlando.
Al contrario, Il richiamo del silenzio è motivo di considerazioni
positive e concrete. Il libro si divide in due parti ben distinte.
Potremmo definire la prima come propedeutica alla seconda, come prodromica
allo svolgimento della storia principale, dell'evento - cardine che
intesse e sostiene tutte le pagine del volume.
Nella
prima parte assistiamo così all'evolversi di un'idea, o meglio alla presa
di coscienza dell'esistenza di una montagna che è simbolo temuto ed
ammirato, rispettato e corteggiato; nella seconda parte assistiamo
trepidanti alla costruzione del progetto che porterà ad affrontare quella
montagna, cioè l'Eiger, per la via dei primi salitori sulla parete Nord.
La pressione psicologica di questa montagna emerge chiara e distinta,
ancorché rimanga per lungo tempo – e per molte pagine – in sottofondo e
non se ne avverta la presenza incombente.
La descrizione delle salite, riuscite e no, su estreme cascate di ghiaccio
e su picchi dall'altra parte del mondo instilla sempre più spesso
nell'autore il concetto che sia giunto (finalmente?) il momento di tirare
i remi in barca. Anche altri “passatempi”, come il parapendio, non danno
la stessa scossa adrenalinica che l'alpinismo può fornire. Un forte e
prepotente momento di riflessione si impone poi a Simpson quando egli si
ferma a pensare su quanti siano ormai gli amici morti in montagna.
Eppure, prima di abbandonare la visione “estrema” che ha finora connotato
la sua attività, l'autore vuole emettere il suo canto del cigno: quale
spartito migliore della parete Nord dell'Eiger?
In compagnia di un amico fidato, peraltro arruolato con fine astuzia e con
sottile opportunismo, Simpson tenta la salita. Dapprima la montagna li
respinge, psicologicamente sovrastante e repulsiva, poi la scalata può
avere inizio per davvero, dopo tentennamenti e ripensamenti, dopo
dietrofront ed attese.
In parete le strategie minuziosamente elaborate a tavolino vanno a carte
quarantotto, per colpa di alcuni fattori imponderabili ed imprevedibili.
Sulla trama non conviene dire di più, lasciando ai lettori la scoperta di
“come va a finire” quello che risulta comunque essere un racconto
costruito su schemi apparentemente fantastici ma terribilmente realistici.
Basti solo ricordare come Simpson non riesca a rinunciare alla montagna,
legato com'è ad essa con il filo doppio di un rapporto odio-amore che gli
fa dire nell'ultima pagina, reduce dall'indimenticabile esperienza sul
“mostro”: «Se fossimo riusciti nel nostro intento, forse avremmo detto
finalmente addio alle montagne. O forse, chissà, saremmo andati in Val
Bregaglia a dare un'occhiata alla parete Nord del Badile. Solo
un'occhiata, niente più».