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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: Alpinismo e storia d'Italia
Dall'Unità alla Resistenza

Autore:
Alessandro Pastore
Pagg. 316 con illustrazioni
€ 21,00
Editore: IL MULINO - Bologna, giugno 2003

 

Alpinismo e Storia d'Italia  recensione di Paola Lugo

Sono molti i miti che ingombrano l'alpinismo: uno tra i più perniciosi e tra i più difficili da scardinare è quello di una supposta “purezza” dell'andar tra i monti, grazie alla quale tutti coloro che scalano non si curano delle miserie dell'uomo della strada, elevandosi, grazie all'esercizio fisico e all'ambiente incontaminato in cui esercitano la propria passione, al di sopra delle debolezze e degli errori della storia. Ancora nel 1971 Buzzati definiva l'alpinismo il tentativo inconscio da parte dell'uomo di conquistare la quiete, la tranquillità totale dopo una vita di travagli, di affanni passati all'inseguimento “della fama e della potenza”. Ma se, come scriveva Casarotto, io nello zaino porto tutto me stesso, nel bene e nel male, porto con me anche la Storia che sto vivendo, che inevitabilmente si rifletterà sul rapporto con la montagna, sul valore che attribuirò alla conquista della vetta o al legame che mi unisce al compagno di cordata. Gli studi di storia sociale dell'alpinismo, che finalmente compaiono anche in Italia, mettono in luce il retroterra politico e culturale degli alpinisti, da sempre presentati, come tutti gli eroi, giovani e belli e animati da idealità universali.

Il libro di Pastore si propone di raccontare come i grandi eventi della storia politica italiana abbiano influenzato le scelte e le modalità della nostra più importante organizzazione alpinistica, ovvero il CAI. A partire dalla famosa ascensione del Monviso dell'estate 1883, in cui Quintino Sella con alcuni amici decideva di fondare un circolo alpinistico simile a quello inglese, con intenti esplorativi e scientifici, fino alla difficile ricostruzione dei vertici dirigenziali dopo la Liberazione, la storia del CAI non è certo quella di un'associazione estranea al suo tempo, né alle rivendicazioni dei territori irredenti (e l'orientamento aspramente nazionalistico ha ben presto offuscato l'anglosassone interesse scientifico) né alle idealità dell'Italia fascista. Il nostro andar per i monti è pesantemente segnato dal ricordo della Grande Guerra prima e della Resistenza poi. Il peso della “maschia soddisfazione di solcare (…) queste meravigliose Alpi” in memoria dell'alpino difensore della Patria, per non parlare dei martellanti richiami sotto il fascismo alle Alpi come “scuola della Nazione” è scomparso solo recentemente, e forse non tanto con l'entusiasmo dei “Nuovi Mattini” quanto con l'impatto ben più dissacrante dell'arrampicata sportiva, ma questa è un'altra storia.

Oggi, in tempi in cui revisionismi più o meno ufficiali rileggono disinvoltamente il passato in base alle esigenze della politica attuale, la necessità di non rimuovere, o minimizzare, l'influenza che il nazionalismo prima o il fascismo poi hanno avuto sull'alpinismo italiano è fondamentale: il libro di Pastore, soprattutto nel capitolo dedicato alla fascistizzazione del CAI ha assolto il compito in maniera esemplare. Se la curiosità della studiosa di storia è stata accontentata, l'alpinista avrebbe preferito un maggiore spazio dedicato a come quei tragici eventi abbiano realmente influenzato il vivere la montagna degli alpinisti, aspetto questo solo in parte toccato. Interessantissime le pagine dedicate a Rudatis e ai suoi rapporti col fascismo esoterico di Evola, ma perché passare sotto silenzio l'amicizia con Tissi, compagno cordata in Civetta, e dichiarato antifascista? Lo stretto rapporto tra i due, le comuni grandi ascensioni, testimoniano una mentalità e un approccio alla montagna assai più sfumato e complesso di quanto ne risulta dalla ricostruzione dell'alpinismo degli anni Trenta, che appare semplicemente allineato alle direttive del Podestà Angelo Manaresi, Presidente del CAI.

Un ultimo appunto. Perché sottolineare che “i libri di storia dell'alpinismo sono tanto numerosi quanto mediocri” e presentano di storico “solo il susseguirsi nel tempo del resoconto di successi e sconfitte“? Ho ripreso in mano la Storia dell'alpinismo di Gian Piero Motti: opera certamente a ‘tesi’ e poco scientifica, dove in ogni pagina si respira la complessità degli anni in cui fu scritta, gli anni che seguirono il sessantotto, ma che certamente non può essere definita né mediocre, né puro resoconto di successi e sconfitte.
 

Paola Lugo
Vicenza, ottobre 2003


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