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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: I Monti Orfici di Dino Campana
Autore: Giovanni Cenacchi

Pagg. 224, ill. col., in all. CD-rom
€  16,00
Editore: Edizioni Polistampa, Firenze 2003

 

I Monti Orfici di Dino Campana  recensione di Paola Lugo

Il libro di Giovanni Cenacchi su Campana parte da un'ipotesi di lavoro nuova ed affascinante: come si fa a conoscere veramente un poeta? In che modo è possibile che la conoscenza vada oltre alla semplice lettura, che abbandoni la carta stampata per partecipare  a quella vita da cui sono nate le parole che amiamo? La risposta è tanto semplice quanto intrigante. Camminando, ripercorrendo i sentieri e le balze dell'Appennino che Campana conosceva così bene e che giocano un ruolo così importante nella sua opera. “Camminare è un modo per conoscere Dino  Campana assomigliandogli”, e per condividere quell'esperienza di bellezza che è comune alla poesia e alla natura.

Il saggio critico che apre il volume, a cui seguono altre due parti dedicate all'Appennino come terreno di escursioni e di scoperte, può anche essere letto, oltre che come un'attenta presentazione della biografia e dell'opera di Campana, anche come uno sguardo diverso sulla relazione tra montagna, o più semplicemente natura, e letteratura. “Una passeggiata in montagna, infatti, è già un discorso sulla bellezza o una riflessione sulla vertigine”. Il tema della montagna, quindi, non ci permette solo di conoscere, nel senso di vero scoprimento di senso, le poesie dedicate al Falterona o alle valli deserte percorse dal poeta,  ma diventa una straordinaria chiave di lettura per tutti i Canti Orfici. La montagna per Campana è stata non solo il rifugio di cui parla Nietzsche, (la montagna come cammino, dove il tempo è scandito unicamente dal passo, e  dove quindi il tempo della quotidianità, del razionale ritmo urbano, è sospeso ed è finalmente possibile lo smarrimento in se stessi) ma è anche “il perfezionamento della poesia in esperienza”. Occorre, secondo il poeta, naturalizzare il verso, ovvero non basta cantare il sole, le rocce, il vento o l'acqua, ma la poesia deve essere acqua, sole, rocce, vento, occorre che il soggetto si annulli nell'elemento naturale, imperativo questo che Campana ha cercato disperatamente di raggiungere, lasciandoci in dono versi bellissimi:

L'acqua il vento
La sanità delle prime cose –
Il lavoro umano sull'elemento
Liquido – la natura che conduce
Strati di rocce su strati – il vento
Che scherza nella valle – ed ombra nel vento
La nuvola – il lontano ammonimento
Del fiume nella valle ….

E dopo tutto questo bisogna prendere scarponi, cartine e i Canti Orfici per andare a scoprire le passeggiate che Cenacchi descrive a conclusione del libro. Passeggiare come scrivere, come leggere uno dei tanti possibili racconti che nascono quando intrecciamo i nostri sguardi coi boschi e i ruscelli e scopriamo l'incanto del paesaggio. L'Appennino tosco-romagnolo,  che nell'immaginario degli alpinisti è relegato in una sorta di limbo collinare, totalmente privo di interesse, vuoi per la bassa quota, vuoi per l'assenza di pareti degne di nome, è ricchissimo di faggete e castagneti, di cascate e borghi semi diroccati, che custodiscono rari gioielli come la Badia di Moscheta o la Chiesa abbandonata di Lozzole. Sono  percorsi ideali per riscoprire il piacere della passeggiata romantica, per esempio l'itinerario n.3, che parte da Casetta di Tiara, nido d'amore dell'unico periodo di serenità vissuto da Campana e da Sibilla Aleramo, grazie alla presenza di alcuni guadi permette, secondo Cenacchi di essere “una buona occasione per prove di coraggio, richieste di attenzione, cavalleria e tenerezze”.

Se poi piove, e l'Appennino è troppo lontano, si può ripiegare su una buona poltrona e guardare le fotografie del libro, o sedersi davanti al computer, inserire il cd rom allegato, e viaggiare virtualmente nei luoghi e nella biografia del poeta, ricordando però che “la poesia di Campana è una poesia del cammino, una poesia dei paesaggi che si svelano passo dopo passo al ritmo del cuore che batte e del respiro che reca nel petto la purezza, la bellezza, la solitudine delle montagne” e che, continua Cenacchi, i critici letterari si sono troppo spesso  fermati dove finiva l'asfalto “segno e manifestazione di un mondo a cui Campana certo non appartenne e non volle mai appartenere”.
 

Paola Lugo
Vicenza, luglio 2003


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