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la recensione letteraria di intra i sass |
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Titolo: Sui
sentieri dei portatori himalayani |
Sui sentieri dei portatori himalayani recensione di Flavio Faoro |
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Quanti sono i libri di viaggi in Nepal? Quante centinaia di descrizioni di
trekking, marce di avvicinamento, traversate dell'Himalaya abbiamo letto,
in decenni di frequentazione con la letteratura di montagna? Chi lo sa.
Certo, prendere in mano ancora una volta un libro che racconta di un
trekking fra le vallate himalayane non ci ha suscitato grandi emozioni,
grandi attese. Di un autore locale, poi, uno che non aveva dalla sua
“l'impresa” o “il curriculum” per farci intuire racconti sorprendenti e
innovativi. E invece, questo libro, fin dall'inizio, ci ha sorpreso. Anche il titolo, se ci pensate, è un po' strano. Quei sentieri vengono individuati non perché appartenenti a una vallata, a un massiccio montuoso, a una regione, ma vengono attribuiti agli uomini, riconosciuti di diritto a coloro che li hanno scavati e vissuti nei millenni, collocati in una dimensione umana, più che geografica o naturalistica. Il racconto si sviluppa a dire il vero secondo canoni consueti, descrizioni di paesaggi, persone incontrate, sensazioni dell'autore. Ma, come dire, c'è una freschezza nuova, un incanto, uno stupore continuo e sincero che contagiano, ben presto, il lettore. Vediamo perché. Innanzitutto l'autore viaggia da solo, e da soli, si sa, in montagna come in viaggio, le emozioni, le sensazioni sono più profonde e autentiche. Ma non sarebbe certo il primo. La freschezza narrativa di cui parlavo deriva dall'atteggiamento di disponibilità di Mason, disponibilità all'incontro e alla comprensione con gli altri – europei che compiono il loro percorso di ricerca e valligiani delle alte valli intorno all'Annapurna – e, soprattutto, disponibilità verso se stesso, verso le proprie forze e debolezze, paure e ambizioni di escursionista innamorato delle montagne. Ecco perché, a nostro avviso, ogni personaggio, ogni trekker, ogni portatore, ogni bambino o anziano di villaggio è presentato come il protagonista di un piccolo ma importante avvenimento, non necessariamente felice o triste, ma unico, prezioso, atteso e irripetibile. Questa spiritualità non è soltanto, come si dice, sotto traccia: l'autore, ci rivela sovente le sue sensibilità e le sue ricerche religiose e spirituali, con sconfinamenti nello yoga. Resta però, questa, una dimensione molto intima e personale, rivelata, appunto, non ostentata, come un'altra dimensione del viaggio, un altro prezioso incontro, una vicenda in più di cui mettere a parte il lettore. Poi, ripeto, si sa come va: la magia delle montagne e del viaggio, forse le più forti e spirituali fra le dimensioni geografiche in cui possiamo porci, si dipanano lungo i sentieri, gli alti passi e villaggi percorsi dall'autore. E anche una parentesi alpinistica – il tentativo di salita al Tarpha Chuli, una magnifica cima di oltre 5600 metri – ci rivela la semplicità e la disponibilità di Mason, costretto a rinunciare alla vetta per problemi fisici e di attrezzatura ma non per questo sconfitto e frustrato, anzi, arricchito e rinforzato dall'esperienza. Non a caso Fausto De Stefani, grande alpinista e, soprattutto, grande e sensibile compagno dei popoli dell'Himalaya, ha scritto la prefazione al libro, probabilmente riconoscendo in Vittorino Mason quella miscela di sensibilità e candore, di voglia di agire e coscienza delle proprie forze e dei propri limiti, che a lui hanno permesso di salire tutti gli Ottomila e di realizzare un grande progetto umanitario a Katmandu, a Mason di scrivere un libro che, come pochissimi altri, fa davvero venir voglia di partire. |
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Flavio Faoro
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