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la recensione letteraria di intra i sass |
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Titolo: Uomini
fuori posto |
Uomini fuori posto recensione di Marco Conte |
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«Così, durante le gite sulle Dolomiti, il mio sguardo spaziava lassù,
oltre i prati, su una parete o semplicemente all'interno di un canalone o
su di un ripido ghiaione; guardavo e sognavo. Cosa può sognare di trovare
un bambino oltre dei massi incastrati fra le rocce? Ancora adesso fatico a
trovare una risposta a questa domanda. Forse la risposta non esiste o
rientra in quei misteri che è più saggio far restare tali». Se c'è un aspetto che colpisce particolarmente nell'attività alpinistica e nelle esperienze di vita di Manrico Dell'Agnola, come risulta anche dalla lettura del suo primo libro “Uomini fuori posto” pubblicato alla fine del 2002 per le Edizioni Rocciaviva di Belluno, è proprio un ben determinato rapporto confidenziale e quasi ‘epidermico’ con l'universo verticale delle cime dolomitiche. «A me andare a funghi non piaceva», racconta Manrico nel capitolo del libro dedicato alle prime impressioni di gioventù: «Per me la montagna cominciava dove finivano i boschi, amavo la pietra, il sasso e qualcosa mi diceva che lassù si potevano vivere esperienze stupende». Dalla lettura del testo si ricava dunque l'immagine di un alpinista che vive quasi in simbiosi con la ‘croda’, lungo un percorso formativo che al di là del semplice rispetto reciproco assume come valore portante una sorta di identificazione e fusione con il severo ambiente naturale d'alta quota: con la roccia si condividono momenti di gioia, situazioni ai limiti della sopravvivenza e della sopportazione umana, emozioni, segreti e complicità. “Uomini fuori posto”, presentato in anteprima a Belluno durante l'ultima edizione di Oltre le Vette dello scorso autunno, appare fin da una prima lettura come un'opera atipica e difficilmente catalogabile in qualsivoglia categoria bibliografica: non si tratta evidentemente di un'autobiografia per l'età anagrafica ancora relativamente giovane dell'autore; sarebbe improprio relegarla tra i libri fotografici nonostante l'abbondante presenza di immagini a colori di elevata qualità; saremmo fuori strada infine anche se volessimo valutare il libro prendendo spunto solo dagli spunti tecnici che spesso capita di incontrare tra le righe. “Uomini fuori posto” può invece essere letto semplicemente come una raccolta di impressioni e pensieri fermati nel tempo, rivelatori comunque di un rapporto con l'elemento roccia del tutto particolare e fuori dal comune. Il libro assegna uno spazio distinto a ciascuno dei diversi periodi della vita alpinistica dell'autore, ognuno documentato da un buon numero di fotografie esplicative. Manrico inizia la narrazione dall'inizio, partendo proprio dalle primissime escursioni nella conca agordina sotto la sguardo protettivo di un'amica di famiglia, la famosa Gigia De Nardin. Seguono le esperienze iniziali di arrampicata nella palestra di roccia di Schievenin, le prime ascensioni di una certa rilevanza, e la nascita del sodalizio con l'alpinista feltrino Andrea Marzemin. Arrivano quindi gli anni Ottanta, e Manrico segue idealmente le orme di Jack Kerouac fino alle pareti di El Capitan, la mecca degli alpinisti nella Yosemite Valley. Dopo una breve ricognizione in Dolomiti per la via Piussi alla Cima Su Alto e la parete sud-ovest del Monte Pizzocco giunge poi l'ora della prima spedizione in Asia, un'esperienza ricordata soprattutto per i suoi aspetti negativi: «Sono deluso dall'Himalaya e dalle spedizioni,» ricorda Dell'Agnola, «ma soprattutto dai comportamenti umani, che in quelle situazioni si manifestano nella maniera peggiore». Arrivano infine gli anni Novanta, e sempre alla ricerca di una propria dimensione alpinistica personale Manrico fa la conoscenza di Alcide Prati durante una salita sulla Torre Trieste: è l'epoca della solitaria sulla via Philipp-Flamm sulla parete Nord-Ovest della Civetta, del primo concatenamento tra quest'ultima e la celebre Solleder-Lettenbauer, e della successiva impresa percorrendo in un solo giorno la Simon-Rossi sul Pelmo e di nuovo la Solleder. Concludono la narrazione alcuni ‘frammenti di mondo’ comprendenti la cronaca delle spedizioni all'Isola di Baffin ed in Groenlandia, nonché un ritorno in terra americana sempre in compagnia dell'amico Giuliano De Marchi. «Con questo modo d'essere, con questo alpinismo gioviale, con questa allegria (allegria seria, non fraintendiamo) egli ha raggiunto livelli impensati del pianeta alpinismo», dichiara l'Accademico del CAI Italo Zandonella Callegher nell'introduzione: «Con animo tranquillo, pulito, in perfetta sintonia con il cervello. Il segreto è tutto qui». |
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Marco Conte
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copertina
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