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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: Un posto in cielo
Diario di un eroe inconsapevole
Autore: Anatolij Bukreev
A cura di Linda Wylie
Pagg. 234 + 32 foto col. ft
€  22,00
Editore: CDA & Vivalda, Torino 2002
Collana:
"Le Tracce"

 

Un posto in cielo recensione di Alberto Pezzini

Questo libro l'ho letto ascoltando continuamente The Celts di Enya. C'è una fotografia all'interno del volume che ritrae Anatolij Bukreev il 22 dicembre 1997. E' l'ultima fotografia che lo ritrae in vita. Dalla fotografia, in lontananza, lo si vede salutare mentre il tramonto incandescente gli accende tutti i suoi colori dietro le spalle. Per l'ultima volta. Sembra quasi che anche la natura sentisse che di lì a poco uno dei più forti alpinisti al mondo si sarebbe spento. Naturalmente in montagna.

Il 25 dicembre del 1997 mentre stava attrezzando la salita verso l'Annapurna - in compagnia di Simone Moro - una valanga di ghiaccio e neve se lo portava via. Scompariva nella neve un alpinista unico ed irripetibile. Dotato di un'umanità e di un'interiorità profonde che non è mai riuscito a mettere a nudo come avrebbe voluto. Lascia dietro di sé alcune vite salvate sopra gli 8000 metri, numerosissimi 8000 scalati in velocità senza l'uso di ossigeno e questi diari malinconici ma specchio di un'anima in cerca di quiete.
E' come un lupo grigio Anatolij che si aggira sulle vette. Possiede un cuore profondo e delicato ed ama anche scrivere, in modo essenziale, ma fedele alla sua anima musicale ed impegnata a portare nel mondo il segno dell'alpinismo russo e della sua professionalità. L'incontro con Scott Fischer segna la sua esistenza con un marchio di fuoco da cui non riuscirà più a liberarsi. Fischer è un sole vivente: le foto che ci restano di lui trasmettono l'immagine di un uomo bellissimo capace di grande carisma. Anatolij non riuscirà a salvarlo e Scott morirà non senza avere lottato come un leone affrontando la morte lealmente. Forse prima di morire, e durante le fasi che anticipano la discesa nel buio dell'anima, avrà confidato nella forza di Bukreev che salvò prima i clienti. In questo modo rispettò a fondo il suo impegno preso con Fischer. Come quest'ultimo - se avesse potuto - gli avrebbe imposto.

E' difficile dire cosa si prova a leggere i diari di quest'uomo: tristezza, sensazioni che vengono da lontano, paura di morire ed un incredibile stupore per la capacità di correre sopra gli 8000 come sulla collina di casa. Questo libro ha vinto un premio letterario. Se lo è meritato non soltanto per la scorrevolezza estrema ma anche per la carne a nudo che si vede attraverso le parole. Tutta una vita è trasfusa in questi diari: una vita raminga, sempre a contatto con l'aria rarefatta delle vette, facendo a pugni con condizioni economiche troppo disagiate e troppo spesso. C'è molto di quella lotta interiore che doveva urlargli dentro e che in inglese non era sbocciata appieno in Everest 1996, il libro scritto a quattro mani per rispondere al pugno feroce che Krakauer gli aveva assestato con lo scorrevole ma infedele Aria Sottile.

Non voglio più aggiungere altro circa queste pagine trafitte da una malinconia che lascia intirizziti i sensi anche perché bisogna soltanto leggerle per comprenderle. E capire un uomo che morto a 39 anni ha vissuto più di tanti altri alpinisti assai più longevi. Credo di non sbagliare se dico che il volume e soprattutto ciò che esso rappresenta sia molto caro a Mirella Tenderini, alla quale va il merito di avere importato in Italia una figura che ci commuove continuamente e dal profondo.

Alberto Pezzini
Sanremo, gennaio 2003


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