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la recensione letteraria di intra i sass |
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Titolo: Un
posto in cielo |
Un posto in cielo recensione di Alberto Pezzini |
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Questo libro l'ho letto ascoltando continuamente The Celts di Enya.
C'è una fotografia all'interno del volume che ritrae Anatolij Bukreev il
22 dicembre 1997. E' l'ultima fotografia che lo ritrae in vita. Dalla
fotografia, in lontananza, lo si vede salutare mentre il tramonto
incandescente gli accende tutti i suoi colori dietro le spalle. Per
l'ultima volta. Sembra quasi che anche la natura sentisse che di lì a poco
uno dei più forti alpinisti al mondo si sarebbe spento. Naturalmente in
montagna.
Il 25 dicembre del 1997 mentre stava attrezzando la
salita verso l'Annapurna - in compagnia di Simone Moro - una valanga di
ghiaccio e neve se lo portava via. Scompariva nella neve un alpinista
unico ed irripetibile. Dotato di un'umanità e di un'interiorità profonde
che non è mai riuscito a mettere a nudo come avrebbe voluto. Lascia dietro
di sé alcune vite salvate sopra gli 8000 metri, numerosissimi 8000 scalati
in velocità senza l'uso di ossigeno e questi diari malinconici ma specchio
di un'anima in cerca di quiete. E' difficile dire cosa si prova a leggere i diari di quest'uomo: tristezza, sensazioni che vengono da lontano, paura di morire ed un incredibile stupore per la capacità di correre sopra gli 8000 come sulla collina di casa. Questo libro ha vinto un premio letterario. Se lo è meritato non soltanto per la scorrevolezza estrema ma anche per la carne a nudo che si vede attraverso le parole. Tutta una vita è trasfusa in questi diari: una vita raminga, sempre a contatto con l'aria rarefatta delle vette, facendo a pugni con condizioni economiche troppo disagiate e troppo spesso. C'è molto di quella lotta interiore che doveva urlargli dentro e che in inglese non era sbocciata appieno in Everest 1996, il libro scritto a quattro mani per rispondere al pugno feroce che Krakauer gli aveva assestato con lo scorrevole ma infedele Aria Sottile. Non voglio più aggiungere altro circa queste pagine trafitte da una malinconia che lascia intirizziti i sensi anche perché bisogna soltanto leggerle per comprenderle. E capire un uomo che morto a 39 anni ha vissuto più di tanti altri alpinisti assai più longevi. Credo di non sbagliare se dico che il volume e soprattutto ciò che esso rappresenta sia molto caro a Mirella Tenderini, alla quale va il merito di avere importato in Italia una figura che ci commuove continuamente e dal profondo. |
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Alberto Pezzini
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copertina
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