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la recensione letteraria di intra i sass |
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Titolo: La
nuova vita delle Alpi |
La nuova vita delle Alpi recensione di Paola Lugo |
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Da alcuni anni è evidente una mutata
sensibilità nei confronti del territorio alpino, soprattutto dopo che la
crisi della monocoltura dello sci, i dissesti geologici dovuti a una
cementificazione selvaggia e la scomparsa di alcune identità culturali sommerse dai ritmi urbani importati ad uso e consumo dei turisti, hanno
reso non più procrastinabile una riflessione sul futuro delle Alpi. Per ripensare lo sviluppo delle Alpi, avverte Camanni, occorre innanzitutto sgomberare la mente dai pregiudizi consolidati coi quali noi tutti, alpinisti, escursionisti, turisti contemplativi o sportivi alla ricerca di un nuovo terreno di gioco, montanari o cittadini, ci accostiamo alla montagna. Alcuni stereotipi ampiamente condivisi tendono a vedere le Alpi come un territorio omogeneo di rocce, ghiacciai e stelle alpine, chiuso, immobile nel tempo, dove la storia come divenire, scambio e mutamento, è irrimediabilmente lasciata fuori, sconfitta da una natura selvaggia e onnipresente. Al contrario le Alpi con 350 piante che crescono solo sul loro territorio, la presenza di animali simbolo della wilderness, quali il lupo e l'orso, che convivono con più di 100 milioni di abitanti di etnie diverse, tra cui i rappresentanti di culture minoritarie importantissime (occitani, ladini ecc.), sono prima di tutto - sottolinea l'autore - il luogo della diversità e della complessità. E proprio per questo loro volto, su cui troppo spesso non si riflette (divisi come siamo tra l'alpe romantica, quella della natura incontaminata, e l'alpe ludica, palestra privata degli sportivi), le Alpi possono rappresentare per l'Europa qualcosa di diverso e di molto stimolante. Possono essere un insostituibile terreno di confronto e un'occasione rara per riflettere su temi importanti quali lo sviluppo sostenibile, alla ricerca di una fattibile alternativa al modello unico, omologante e soffocante, del mondo consumistico occidentale. La terza via consiste proprio in questo: abbandonare uno sviluppo senza limiti, che prosciuga risorse non infinite, per seguire una politica ambientale di nuova concezione, quella più lenta, più profonda, più dolce, che Camanni cita riprendendola da un vecchio saggio di Alexander Langer. Chi saranno gli artefici di queste nuove scelte politico-economiche? Chi saprà rinunciare a un guadagno immediato a favore di una diversa qualità del vivere? Chi saprà rinunciare al consumo forsennato del proprio tempo libero, a favore di una recuperata lentezza che la vacanza può offrire? Sono due le nuove figure che l'autore ci presenta verso la fine del libro, il montanaro consapevole e il turista responsabile. Al primo “il dovere sociale e morale di difendere la biodiversità e l'unicità dell'ambiente alpino” con scelte non marginali e non subalterne al mondo della pianura, al secondo la richiesta di “lasciare la città”, di non importare i propri modelli e stili di vita urbani nell'altrove della vacanza montana, in altre parole di “accettare l'alterità come ricchezza insostituibile”. Questo mi sembra il nodo centrale del problema: come creare una mentalità diffusa che rifiuti il supermercato della montagna, che sia disponibile a rifiutare le scelte apparentemente, e sottolineo con forza solo apparentemente, più facili e di successo immediato, quali la costruzione di centri vacanze, di seconde case, di nuove piste da sci, in altre parole di quel “turismo invasivo, onnivoro, monocorde, predatore dell'ambiente”. Sono altre le scelte che si potrebbero fare, e il libro presenta anche “Dieci casi da meditare”, dieci esempi di esperienze diverse, dalla Val Maira a Sauris. Se la scelta appare sempre più obbligata (come citava un volantino ambientalista molti anni fa in Val di Fassa, “quando non ci saranno più prati, che faremo?”), la strada sembra molto lunga e probabilmente tutta in salita. Perché se c'è una valle, come quella del Vanoi, che ha scommesso sul progetto dell'ecomuseo, per salvaguardare un passato, una cultura, un ambiente unico e di rara bellezza, ci sono ogni anno innumerevoli progetti “di sviluppo” che prevedono ruspe, cementificazione, piste, parcheggi e quant'altro, sostenuti e voluti in primo luogo dagli abitanti del posto. Ultimamente Lo Scarpone pubblica sempre più lettere dedicate al problema della salvaguardia ambientale, lettere che dimostrano come neppure tra i soci Cai, che sono certamente molto più sensibili alla cura delle montagne della maggior parte dei cittadini di questo paese, vi sia una visione comune del problema: lamenti apocalittici su montagne violentate si scontrano con accuse di ambientalismo talebano, e via dicendo. Eppure, se la strada è tutta in salita, è anche una strada aperta alla creatività, alla ricerca di soluzioni nuove e mai tentate prima, che possono nascere solo da un confronto continuo e dalla messa in comune dei propri tentativi, delle personali perplessità e piccoli successi. Penso sia solo dalla circolazione delle idee e delle esperienze che possa dipendere il successo della sfida, tenendo presente che solo da un'azione comune, concertata, che supera gli steccati dei particolarismi locali, si può trovare la strada per un nuovo sviluppo.
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Paola Lugo
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