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 la recensione letteraria di intra i sass 

Titolo: La spia sul tetto del mondo
Himalaya 1955, avventure tra i ghiacci ed intrighi internazionali
Autore: Sydney Wignall

Pagg. 383 con illustrazioni b/n
€ 17,56
Editore: Pratiche Editrice, Il Saggiatore (Milano) - Novembre 2001
Collana: Nuovi Saggi

 

La spia sul tetto sul tetto del mondo recensione di Mauro Mazzetti

Il sottotitolo recita: “Himalaya 1955, avventure tra i ghiacci ed intrighi internazionali”. A leggere questa breve introduzione verrebbe da pensare che si tratti del solito libro di avventura modello “La cruna dell'ago” o “Là dove osano le aquile”, una spy story ambientata in montagna piuttosto che un racconto ‘alpinisticamente corretto’.
Così non è, e lo si capisce già dall'incipit del prologo: “Accanto al tremolio di una candela quasi consumata, riportavo nel mio diario gli avvenimenti della giornata, ed in particolare l'estenuante interrogatorio a cui ero stato sottoposto da coloro che mi avevano catturato, gli uomini dell'Esercito di liberazione della Repubblica popolare cinese...”. La sintesi del racconto sta proprio in queste parole iniziali del libro: un'avventura vissuta in prima persona e sulla propria pelle, che prende le mosse dalla volontà di effettuare la prima spedizione gallese in Himalaya e che si trasforma nella storia di una spia per caso, gratuitamente assoldata per un incarico che sembrerebbe banale anche se considerato strategicamente importante.

Chi ha bazzicato la letteratura per l'infanzia certo ha ben presente il libro “Kim” di R. Kipling, dove un giovanissimo orfano di razza inglese viene infiltrato dallo spionaggio britannico nel cosiddetto “Grande gioco”, al seguito di un monaco che cerca il fiume del suo personale percorso spirituale. Anche nella “Spia sul tetto del mondo” il meccanismo si muove pressappoco nello stesso modo, avendo come obiettivo un duplice scopo: il gruppo di alpinisti dovrà infatti sconfinare in Tibet, invaso dai cinesi, per verificare la consistenza delle truppe di Maodzedong presso un centro abitato nevralgico e strategico, con il pretesto di scalare una vetta di oltre 7000 metri mai salita finora.
Ma, nella miglior tradizione del romanzo di avventura, i rovesci della fortuna ed i colpi di scena si susseguono senza tregua, accompagnando il lettore pagina dopo pagina e guidandolo in ambienti ed atmosfere troppo spesso ignorati.
Non a caso la prima dedica del libro è indirizzata al popolo tibetano, che da più di quarant'anni subisce l'oppressione colonialista cinese; l'autore non prende posizione esplicita nei confronti delle vicende storiche, politiche e sociali che attraversa in qualità di testimone ed a volte di attore, ma certo suggerisce interpretazioni e valutazioni anche al lettore meno informato, messo in condizione di farsi un'opinione sui fatti accaduti.
Lo scenario dei grandi avvenimenti si interseca quindi con quello dei piccoli episodi all'interno del racconto personale dell'autore, singolare figura di avventuroso – e non avventuriero – che nella vita ha fatto di tutto (dall'archeologo marino che ha scoperto due navi ammiraglie dell'Invincibile Armada spagnola, nonché la bara di sir Francis Drake al largo di Panama, all'attività di geografo e di alpinista, che gli hanno valso le prestigiose iscrizioni alla Royal Geographical Society ed all'Himalayan Club).

Tutta la narrazione è condita di umorismo e di “understatement”, termine inglese per indicare un modo di raffigurare e di vivere la realtà con criteri obiettivi di valutazione e di interpretazione, che non tengano conto di facili trionfalismi o di false esagerazioni. Lo stile del racconto risulta così di profilo apparentemente dimesso: la chiara matrice culturale dell'autore balza evidente da come rappresenta e racconta singoli episodi, quali la fatica sopportata nel primo attraversamento invernale di un passo alpino oppure i crudeli interrogatori a cui è sottoposto in qualità di “cane lacché dell'imperialismo fascista occidentale”.
Dal libro esce peraltro un ritratto a tutto tondo di un momento storico particolare e difficile per lo scacchiere politico internazionale, visto con un filtro disincantato e sereno, anche se preciso e attento, di chi ha deciso di correre dei rischi e di mettere a repentaglio la propria esistenza non solo per scalare un mucchio di sassi e neve, ma anche e soprattutto per fornire un pur minimo contributo ad una causa di libertà e di indipendenza

 

Mauro Mazzetti
Genova, marzo 2002


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