Sulla soglia del monte
L'arrivo del Cavaliere Orso presso il Monte Summano

 

di Enio Sartori

 

“Sulle groppe montane gli alberi erano altissimi, fitti,
da farle sembrare grandi animali irsuti, viste da lontano”
Vito Fumagalli 

 

Interrato nei fondali della foresta con l'occhio intricato tra i rovi tentacolari rovistava e rosicchiava con pazienza il buio, strappava ombra su ombra annaspando nel fango; sullo sfondo nero della foresta la luce era uno specchio frantumato in pezzi taglienti.

Ogni minima piega del piano era una speranza d'uscita da quel groviglio, l'attesa di qualcosa che riempisse lo sguardo che stabilisse una linea d'orizzonte.
In alto la luna aspra rosseggiava nella sua interezza lanciando un chiarore giallastro su quel paesaggio rovinoso sospeso nella sua vastità: animali feroci lanciati al galoppo da esseri spettrali vorticavano fra rovine, sopra le teste di uomini inselvatichiti, presi nella danza dionisiaca attorno all'astro spettrale.

Il passo del viandante si faceva, a volte, incerto, dubbioso.
Proseguendo avrebbe potuto notare che tutte le biforcazioni, le ramificazioni così disseminate fino ad allora sembravano aprirsi per poi richiudersi e incontrarsi in modo sempre più fitto al passo successivo come se la pianura si stesse assottigliando obbligando a sempre più fitti crocevia.
Poi la percezione si faceva presentimento. Man mano che si avvicinava sentiva che quello spazio assumeva per lui importanza come se qualcuno lo stesse aspettando, come se fosse il suo stesso passo a costruirlo: un dialogo, che germogliava da una risonanza immemorabile, era iniziato fra i due, pieno di brusii e suoni informi di echi sommersi.

Un'ombra avvolgente, maestosa sembrava impossessarsi di lui, e al contempo volerlo accogliere nella sua maestosità.
Poi tutto come prima: risucchiate dalla montagna gli spettri lasciano solo l'eco della loro presenza poi una calma assoluta .

Il suo passo si fece sempre più lento, per la fatica, forse, ma forse ancor più per la dolcezza di cui si andava impregnando.
La fatica era tanta e il terreno sulla sua mente ormai piatta era ancora sufficientemente impervio da evidenziare le pieghe, i limiti, ma poi lo sguardo si allungava e la montagna era sempre là larga in attesa.

Per tre volte, i contorni gli parvero stranamente familiari; capì che qualsiasi fuga oramai gli era preclusa, una forza centripeta lo stringeva entro una sola direzione; precisa sebbene non segnata.
Un venticello annunciava un cambiamento meteorologico; la sua vita gli sembrava ora più che mai del tutto indifendibile.

La stanchezza era al culmine e le gambe gli venivano meno, le sue braccia cadenti avevano scordato il furore passato ed ora tendevano verso terra come rami secchi in cerca di acqua rigenerante.
In alto nei ritagli del bosco la luna e il cielo stellato si darebbero a vedere se solo potesse alzare lo sguardo. Senza saperlo prosegue verso il nord, la linea degli antenati, mentre in lontananza la stella polare brilla circondata dall'Orsa maggiore e dall'Orsa minore.

Nell'ombra della foresta con gli occhi bassi, la sua indifferenza, la sua fascinazione si faceva sempre più forte. I rami spinosi non lo infastidivano più.
A volte sembrava perdere quella direzione, sembrava cedere e ritornare su di sé... Aveva paura...
Allora risentiva su di lui l'ombra del monte e l'eco della vita che vi scorreva fluida, magmatica, alchemica.
L'attrazione diveniva potenza del monte, impossibile resistenza.
Il silenzio era un consenso.
Sentiva che quello era il luogo della sua morte, che avvicinarsi al MONTE era come darsi alla morte.

Capì che era giunto alla fine, e pianse, mentre dal cielo iniziò una lunga pioggia.
Sotto i suoi piedi si formò una pozzanghera e dopo dodici anni poté chinarsi per rivedere il suo volto.

Nello specchio d'acqua vide non più il suo volto ma il corpo capovolto del monte stesso e il cielo stellato . Ai suoi piedi la stella polare e le costellazione dell'Orsa maggiore e minore attorno.
Allora capì che la montagna vedeva di lui più di ciò che lui stesso vedeva di sé.

Riconobbe in quell'immagine la forma profonda del suo destino.

 

Autunno 1999
© dicembre 2002 intraisass

Enio Sartori

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Nota storica (tratta dal sito Alla soglia dell'alba di Enio Sartori)

«Orso nacque da una nobile famiglia di Franchi. Mentre era ancora in fasce un indovino predisse alla madre ch'egli avrebbe ucciso il padre. In giovane età fu inviato alla corte di Carlo Magno per essere educato all'arte della cavalleria. Durante questo periodo Orso dimostrò tale valore da essere eletto al rango di uno dei dodici conti palatini di Carlo Magno. Unica grande sofferenza per Orso era, quando se ne tornava a casa, trovare la madre, memore della profezia, in pianto. Per cui più volte domandatole la ragione di tale pianto Orso venne a conoscenza del suo destino di parricida. Egli, per evitare che la profezia si compisse, con un compagno dal nome Cliento, decise di abbandonare la Francia. Arrivò in Dalmazia e qui affrontò l'esercito pagano del re riuscendo a vincerlo e ad attirare su di sé l'attenzione della figlia del re, colpita da tanto valore guerriero e da tanta fede. Il re quindi su richiesta della figlia invitò a corte Orso e Cliento i quali mostrarono la forza della loro religione e il loro valore di cavalieri al punto tale che il re di Dalmazia decise di convertirsi al cristianesimo assieme al suo popolo e di concedere in matrimonio ad Orso la propria figlia. Alla morte del re, Orso divenne pertanto re di Dalmazia.
Il padre di re Orso, nonostante fosse a conoscenza della profezia, venuto a sapere del successo del figlio decise di andarlo a trovare in Dalmazia. Giunto in quella terra venne accolto dalla nuora mentre Re Orso era a caccia, e invitato a riposarsi al fianco di lei e del figlio. Un cameriere di Orso, sotto le cui spoglie, si dice, si nascondesse il demonio stesso, raccontò a Orso , mentre era ancora a caccia, che un uomo si era coricato con la moglie. Orso allora si precipitò alla reggia e vedendo la moglie coricata con un altro uomo s'infuriò e uccise il padre, il figlio e la moglie.
Resosi poi conto del misfatto e immediatamente pentitosi di ciò che aveva compiuto, decise di andare a Roma per chiedere al Papa Adriano I di espiare il suo peccato. Il Pontefice impose ad Orso che, in abito da pellegrino, con la testa rivolta verso il basso e senza domandare mai a nessuno dove si trovasse, visitasse la chiesa di S.Maria in Monte Summano. Orso se ne partì per il suo viaggio penitenziale. Visitò Gerusalemme e Santiago de Compostela, e il 3 maggio, dopo dodici anni di pellegrinaggio, giunse al monte Summano. Nei pressi del monte udì dei pastori che dicevano: “...presto, andiamo con l'armenti e gregi à casa perché munte Suman fà con la nebula capelo, et presto come è usanza pioverà”.
Capì allora di essere arrivato alla fine del suo viaggio penitenziale. Si incamminò verso il castello del borgo allora chiamato di Salzena. Sulla via incontrò una fantesca di nome Oralda a cui domandò ripetutamente da bere, e non avendo risposta, spirò. In quell'attimo le campane si misero a suonare da sole. La gente del luogo accorse e trovò il Santo con il bastone fiorito. Così riconosciuta la sua santità gli venne eretta una chiesa. Carlo Magno venuto a conoscenza della storia giunse a Santorso per portare via il corpo del santo cavaliere. Ma non riuscì a smuoverlo da quel sito; se ne tornò in Francia solo con il braccio e il bastone fiorito. La festa di sant'Orso si celebra tutt'oggi il 3 Maggio».


 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

VITO FUMAGALLI, Storie di Val Padana. Campagne, foreste e città da Alboino a Cangrande della Scala, Milano 1992 , pp.11-12.

ENIO SARTORI, Alla soglia dell'alba. Il Summano e la leggenda di Sant'Orso tra mito e storia, Padova 2000.

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