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Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive  


Alpinismo e letteratura
tra innovazione e tradizione

 Intervento all'incontro «L'ESPLORAZIONE DELL'ALTROVE Intrecci di parole e pensieri con i mondi e le realtà oltre confine»
nell'ambito di OLTRE LE VETTE, Belluno 4 ottobre 2003
 

di Alberto Peruffo

Oltre le vette

 

Mi sento onorato di essere stato invitato a questo incontro.
Ho più confidenza con la scrittura che con la parola parlata e perciò vengo subito al dunque, senza preamboli. L'argomento è complesso e così seguirò passo passo i miei appunti. Brevi.
Molti si chiedono e mi chiedono, considerando il mio lavoro, dov'è sta andando l'alpinismo. Questione che vorrei girare portando alla vostra attenzione le sue conseguenze più ampie e a me più care. Ovvero sia, dov'è finita la letteratura di montagna, o meglio, come nell'intervento precedente di Mauro Corona, a quando la letteratura di montagna? Nel caso specifico molti si interrogano quando l'alpinismo produrrà letteratura o se mai l'abbia prodotta. Non c'è dubbio che in passato e nel vicino presente l'alpinismo, lo scalare montagne, abbia prodotto buona letteratura, cioè opere di scrittura che racchiudono in sé non solo l'ambiente e l'azione specifica, ma anche caratteri universali e figure estetiche in cui ogni amante della buona scrittura e dell'esperienza altrui, la cultura, abbia trovato interesse e nutrimento. In verità, almeno in Italia, non ricordo esempi di letteratura di alpinismo che siano menzionati nella grande letteratura, fatto che non accade invece per altri generi di letteratura di montagna. Un esempio concreto, qui vicino, sono i libri di Mario Rigoni Stern. Bisogna perciò fare dei distinguo all'interno della letteratura di montagna e possiamo dire che la letteratura di alpinismo ha raramente valicato i confini della grande letteratura, della letteratura che è grande perché è diventata esperienza universale, modello, terreno di confronto tra gli uomini. Quindi, spesso, e non a torto, l'alpinismo è stato considerato una sottocultura, mai emersa ai fasti dell'esperienza universale tipica della cultura con la C maiuscola, pur avendo un potenziale culturale molto alto. Le difficoltà di questa emersione non sono facili da trovare, sebbene io credo siano dovute alla giovane età di questa forma di letteratura che non ha salde tradizioni né tra i lettori né tra gli autori. Inoltre, come tutte le forme d'arte nate in epoca contemporanea, il tempo gli è molto nemico. L'alpinismo, l'attività da cui dovrebbe prendere linfa la letteratura in questione, attività dalle tradizioni giovani e pressata dalle esigenze della società contemporanea, vive un'impasse, una crisi, non tanto in fatto di possibilità di ricerca, ma in fatto di idee, di identità. L'alpinismo, secondo il mio modo di vedere e praticarlo, non è affatto morto, ma vive un momento critico per quanto riguarda la sua natura. I rivoli della sua tradizione che sprofondano nell'esplorazione della natura, nel confrontarsi con l'ignoto, sembrano esaurirsi contro l'onda d'urto delle società meretrici di denaro e sicurezza in cui viviamo. L'esperienza dell'uomo di fronte alla natura viene deviata in mille ossessionanti specializzazioni che frantumano non solo la natura, rendendola artificiale, ma anche l'esperienza dell'uomo stesso. Come possiamo pretendere che nasca una forma di letteratura alta in alpinismo quando nei racconti dei nuovi presunti alpinisti il loro pensiero e le loro azioni sono concentrati nei metri quadrati delle loro creazioni, nelle loro corse alla estrema specializzazione? Come possiamo pretendere che l'azione dei soliti noti che parlano di gradi, alta difficoltà, corsa contro il tempo, diventino esperienza universale, cultura, bagaglio affascinante per la maggioranza degli uomini? Come possiamo pretendere che un uomo che passa una vita a sviluppare un unico aspetto di ciò che serve nel confronto con la natura, magari i muscoli degli avambracci o il sistema cardiorespiratorio, possa guidarci alla conoscenza della natura nella sua complessità? E come possiamo pretendere che delle azioni che modificano la natura irreversibilmente ci siano d'aiuto per capirla o peggio, pretendere di essere pienamente responsabili di fronte al mondo quando la parete che saliamo è diventata una nostra creazione, un nostro mondo, ricreato a nostro uso e consumo? Ecco. Finché l'alpinismo contemporaneo batterà questa strada non possiamo aspettarci nulla che porti alla grande letteratura. Possiamo aspettarci solo racconti tecnici, relazioni, classifiche. Aspetti della realtà che non potranno mai essere universali. E l'alpinismo resterà una sottocultura. A parte qualche colpo di genio.

Una parentesi poi bisogna aprirla sull'editoria di montagna, specie sulle riviste di settore, che hanno le loro colpe. Sì, io posso affermare portando caso per caso che le riviste italiane di alpinismo si comportano come specchi per le allodole. Un mio amico direbbe come delle puttane. Perdonate la parola, che poi non è neanche tanto brutta. Significa putride, zeppe di affari e d'interessi economici, certo comprensibili, ma che non giustificano la disinformazione su ciò che capita sulle montagne. Ripeto, che non giustificano la disinformazione su ciò che capita sulle montagne. Le riviste di alpinismo, con delle riserve sul nuovo corso della Rivista della Montagna e sull'Alpe, si comportano come delle prostitute belle in apparenza, ma vuote in profondità. Offrono spazio solo ai loro protetti, o clienti, mistificando la cronaca e non riportando le ascensioni di chi pratica la montagna con passione e genialità, distorcendo l'informazione che poi passerà nelle mani degli storici i quali creeranno delle storie parziali e confusionarie. Confusione di intenti e di idee, come dicevo prima, tanto che al giorno d'oggi in Italia possiamo azzardare di dire che non c'è alcuna rivista d'alpinismo - e per rivista intendo un periodico d'informazione super partes, extra associazioni e club vari - non c'è alcuna rivista d'alpinismo in Italia, una rivista che informi cosa sia oggi l'alpinismo sulle Alpi e nel mondo, con tutte le sue implicazioni, culturali comprese. Abbiamo calderoni di attività outdoor in cui trovano spazio solo gli aspetti positivi dell'alpinismo e dell'arrampicata. Delle belle meretrici che ci mostrano solo le grazie delle nostre attività ma che non prendono mai posizione o informazione sulle cose negative che si svolgono in montagna legate all'alpinismo. Abbiamo morti, guai a nominarli, priverebbero d'utenza gli sponsor. Abbiamo guerre sulle montagne che frequentiamo, fatti loro, noi con le spedizioni restiamo ai margini. Abbiamo politica e dittature che incombono sulle teste dei popoli che incontriamo e non conosciamo, ma meglio non farci caso tanto siamo oppressi noi stessi dalle nostre stesse dittature che consigliano di non parlare, disinformare. Insomma, per chi pratica alpinismo ed esplorazione in Italia e nel mondo c'è poco da sperare nell'attuale situazione delle riviste italiane. Non c'è informazione, i giornalisti stessi e le redazioni non sono preparati e non fanno ricerca, nel senso che non stanno dietro alla vera ricerca che gli alpinisti compiono in giro per il mondo. Preferiscono fare monografie. Se non c'è informazione, non c'è cronaca, dibattito, storia e l'evoluzione dell'alpinismo e della sua letteratura andranno presto in malora.

Veniamo brevemente al mio lavoro. Inter nos. Intra i sass. Un antico toponimo dolomitico di cui il significato prossimo e remoto, lato e traslato, non c'è bisogno di chiarire. Sono editore e redattore di un periodico d'informazione in rete (dunque una rivista) e un aperiodico su carta (dunque un libro) che raccoglie oramai più di 120 autori tra scrittori, collaboratori, fotografi e artisti. Le parole che lo definiscono, questo mio lavoro che io preferisco chiamare né rivista né libro, ma progetto, le parole dicevo: LETTERATURA, ALPINISMO E ARTI VISIVE, ne spiegano il contenuto e l'ordine le priorità. Io credo fortemente nel potenziale culturale dell'alpinismo, nel suo potere elevarsi a esperienza universale che affascini in qualche modo ogni uomo. E per fare questo ho creato un contenitore di voci più o meno conosciute che ho legato con dei fili invisibili, dei nessi sotterranei, alla grande cultura, alla poesia, alla pittura, alla fotografia, alla grande letteratura, alla stessa letteratura di montagna nella sua più vasta accezione... per fare in modo che ciò che c'è di potenzialmente universale nel messaggio degli alpinisti e dell'alpinismo emerga, si raffini a contatto con le altre esperienze culturali e possa accompagnarci nelle nostre personali avventure sulle montagne e nella vita, non dimenticandoci che ci sono mille altri sentieri, di parole, di vissuti, che vanno ben oltre le vette, oltre le montagne.

Chiudo con una riflessione sull'unica evoluzione dell'alpinismo che potrà portare alla grande letteratura, secondo il mio modo di sentire i tempi. Io credo che l'evoluzione dell'alpinismo non consista nel progressivo aumento della difficoltà pura d'arrampicata, la difficoltà tecnica, come erroneamente si pensa e si pratica. La difficoltà pura d'arrampicata è una strada senza uscita che rischia di far morire l'alpinismo. L'evoluzione dell'alpinismo è – ed è stata – un avanzare lento e faticoso verso una sempre maggiore armonia e intensità delle molteplici difficoltà che lo formano. Un cammino nella complessità del nostro salire le montagne. Dunque non solo lo stile alpino in Himalaya, ma anche la complessità himalayana portata sulle nostre Alpi, affrontando le nostre pareti quando più si avvicinano alla complessità dell'ambiente himalayano, lontano dai rifugi, dalle cineprese, dalle fotografie preconfezionate per i magazine patinati, immersi nel racconto, nella percezione del nostro animo. Quando sapremo raccontare o inventare queste nuove grandi avventure, memori delle esperienze letterarie passate, forse nascerà una nuova grande letteratura.

 

Belluno, 4 ottobre 2003
© ottobre 2003 intraisass

 

Alberto Peruffo

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