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Mi sento onorato di essere stato invitato a questo incontro.
Ho più confidenza con la scrittura che con la parola parlata e perciò
vengo subito al dunque, senza preamboli. L'argomento è complesso e così
seguirò passo passo i miei appunti. Brevi.
Molti si chiedono e mi chiedono, considerando il mio lavoro, dov'è sta
andando l'alpinismo. Questione che vorrei girare portando alla vostra
attenzione le sue conseguenze più ampie e a me più care. Ovvero sia, dov'è
finita la letteratura di montagna, o meglio, come nell'intervento
precedente di Mauro Corona, a quando la letteratura di montagna? Nel caso
specifico molti si interrogano quando l'alpinismo produrrà letteratura o
se mai l'abbia prodotta. Non c'è dubbio che in passato e nel vicino
presente l'alpinismo, lo scalare montagne, abbia prodotto buona
letteratura, cioè opere di scrittura che racchiudono in sé non solo
l'ambiente e l'azione specifica, ma anche caratteri universali e figure
estetiche in cui ogni amante della buona scrittura e dell'esperienza
altrui, la cultura, abbia trovato interesse e nutrimento. In verità,
almeno in Italia, non ricordo esempi di letteratura di alpinismo che siano
menzionati nella grande letteratura, fatto che non accade invece per altri
generi di letteratura di montagna. Un esempio concreto, qui vicino, sono i
libri di Mario Rigoni Stern. Bisogna perciò fare dei distinguo all'interno
della letteratura di montagna e possiamo dire che la letteratura di
alpinismo ha raramente valicato i confini della grande letteratura, della
letteratura che è grande perché è diventata esperienza universale,
modello, terreno di confronto tra gli uomini. Quindi, spesso, e non a
torto, l'alpinismo è stato considerato una sottocultura, mai emersa ai
fasti dell'esperienza universale tipica della cultura con la C maiuscola,
pur avendo un potenziale culturale molto alto. Le difficoltà di questa
emersione non sono facili da trovare, sebbene io credo siano dovute alla
giovane età di questa forma di letteratura che non ha salde tradizioni né
tra i lettori né tra gli autori. Inoltre, come tutte le forme d'arte nate
in epoca contemporanea, il tempo gli è molto nemico. L'alpinismo,
l'attività da cui dovrebbe prendere linfa la letteratura in questione,
attività dalle tradizioni giovani e pressata dalle esigenze della società
contemporanea, vive un'impasse, una crisi, non tanto in fatto di
possibilità di ricerca, ma in fatto di idee, di identità. L'alpinismo,
secondo il mio modo di vedere e praticarlo, non è affatto morto, ma vive
un momento critico per quanto riguarda la sua natura. I rivoli della sua
tradizione che sprofondano nell'esplorazione della natura, nel
confrontarsi con l'ignoto, sembrano esaurirsi contro l'onda d'urto delle
società meretrici di denaro e sicurezza in cui viviamo. L'esperienza
dell'uomo di fronte alla natura viene deviata in mille ossessionanti
specializzazioni che frantumano non solo la natura, rendendola
artificiale, ma anche l'esperienza dell'uomo stesso. Come possiamo
pretendere che nasca una forma di letteratura alta in alpinismo quando nei
racconti dei nuovi presunti alpinisti il loro pensiero e le loro azioni
sono concentrati nei metri quadrati delle loro creazioni, nelle loro corse
alla estrema specializzazione? Come possiamo pretendere che l'azione dei
soliti noti che parlano di gradi, alta difficoltà, corsa contro il tempo,
diventino esperienza universale, cultura, bagaglio affascinante per la
maggioranza degli uomini? Come possiamo pretendere che un uomo che passa
una vita a sviluppare un unico aspetto di ciò che serve nel confronto con
la natura, magari i muscoli degli avambracci o il sistema
cardiorespiratorio, possa guidarci alla conoscenza della natura nella sua
complessità? E come possiamo pretendere che delle azioni che modificano la
natura irreversibilmente ci siano d'aiuto per capirla o peggio, pretendere
di essere pienamente responsabili di fronte al mondo quando la parete che
saliamo è diventata una nostra creazione, un nostro mondo, ricreato a
nostro uso e consumo? Ecco. Finché l'alpinismo contemporaneo batterà
questa strada non possiamo aspettarci nulla che porti alla grande
letteratura. Possiamo aspettarci solo racconti tecnici, relazioni,
classifiche. Aspetti della realtà che non potranno mai essere universali.
E l'alpinismo resterà una sottocultura. A parte qualche colpo di genio.
Una parentesi poi bisogna aprirla sull'editoria di montagna, specie sulle
riviste di settore, che hanno le loro colpe. Sì, io posso affermare
portando caso per caso che le riviste italiane di alpinismo si comportano
come specchi per le allodole. Un mio amico direbbe come delle puttane.
Perdonate la parola, che poi non è neanche tanto brutta. Significa
putride, zeppe di affari e d'interessi economici, certo comprensibili, ma
che non giustificano la disinformazione su ciò che capita sulle montagne.
Ripeto, che non giustificano la disinformazione su ciò che capita sulle
montagne. Le riviste di alpinismo, con delle riserve sul nuovo corso della
Rivista della Montagna e sull'Alpe, si comportano come delle prostitute
belle in apparenza, ma vuote in profondità. Offrono spazio solo ai loro
protetti, o clienti, mistificando la cronaca e non riportando le
ascensioni di chi pratica la montagna con passione e genialità,
distorcendo l'informazione che poi passerà nelle mani degli storici i
quali creeranno delle storie parziali e confusionarie. Confusione di
intenti e di idee, come dicevo prima, tanto che al giorno d'oggi in Italia
possiamo azzardare di dire che non c'è alcuna rivista d'alpinismo - e per
rivista intendo un periodico d'informazione super partes, extra
associazioni e club vari - non c'è alcuna rivista d'alpinismo in Italia,
una rivista che informi cosa sia oggi l'alpinismo sulle Alpi e nel mondo,
con tutte le sue implicazioni, culturali comprese. Abbiamo calderoni di
attività outdoor in cui trovano spazio solo gli aspetti positivi
dell'alpinismo e dell'arrampicata. Delle belle meretrici che ci mostrano
solo le grazie delle nostre attività ma che non prendono mai posizione o
informazione sulle cose negative che si svolgono in montagna legate
all'alpinismo. Abbiamo morti, guai a nominarli, priverebbero d'utenza gli
sponsor. Abbiamo guerre sulle montagne che frequentiamo, fatti loro, noi
con le spedizioni restiamo ai margini. Abbiamo politica e dittature che
incombono sulle teste dei popoli che incontriamo e non conosciamo, ma
meglio non farci caso tanto siamo oppressi noi stessi dalle nostre stesse
dittature che consigliano di non parlare, disinformare. Insomma, per chi
pratica alpinismo ed esplorazione in Italia e nel mondo c'è poco da
sperare nell'attuale situazione delle riviste italiane. Non c'è
informazione, i giornalisti stessi e le redazioni non sono preparati e non
fanno ricerca, nel senso che non stanno dietro alla vera ricerca che gli
alpinisti compiono in giro per il mondo. Preferiscono fare monografie. Se
non c'è informazione, non c'è cronaca, dibattito, storia e l'evoluzione
dell'alpinismo e della sua letteratura andranno presto in malora.
Veniamo brevemente al mio lavoro. Inter nos. Intra i sass. Un antico
toponimo dolomitico di cui il significato prossimo e remoto, lato e
traslato, non c'è bisogno di chiarire. Sono editore e redattore di un
periodico d'informazione in rete (dunque una rivista) e un aperiodico su
carta (dunque un libro) che raccoglie oramai più di 120 autori tra
scrittori, collaboratori, fotografi e artisti. Le parole che lo
definiscono, questo mio lavoro che io preferisco chiamare né rivista né
libro, ma progetto, le parole dicevo: LETTERATURA, ALPINISMO E ARTI
VISIVE, ne spiegano il contenuto e l'ordine le priorità. Io credo
fortemente nel potenziale culturale dell'alpinismo, nel suo potere
elevarsi a esperienza universale che affascini in qualche modo ogni uomo.
E per fare questo ho creato un contenitore di voci più o meno conosciute
che ho legato con dei fili invisibili, dei nessi sotterranei, alla grande
cultura, alla poesia, alla pittura, alla fotografia, alla grande
letteratura, alla stessa letteratura di montagna nella sua più vasta
accezione... per fare in modo che ciò che c'è di potenzialmente universale
nel messaggio degli alpinisti e dell'alpinismo emerga, si raffini a
contatto con le altre esperienze culturali e possa accompagnarci nelle
nostre personali avventure sulle montagne e nella vita, non dimenticandoci
che ci sono mille altri sentieri, di parole, di vissuti, che vanno ben
oltre le vette, oltre le montagne.
Chiudo con una riflessione sull'unica evoluzione dell'alpinismo che potrà
portare alla grande letteratura, secondo il mio modo di sentire i tempi.
Io credo che l'evoluzione dell'alpinismo non consista nel progressivo
aumento della difficoltà pura d'arrampicata, la difficoltà tecnica, come
erroneamente si pensa e si pratica. La difficoltà pura d'arrampicata è una
strada senza uscita che rischia di far morire l'alpinismo. L'evoluzione
dell'alpinismo è – ed è stata – un avanzare lento e faticoso verso una
sempre maggiore armonia e intensità delle molteplici difficoltà che lo
formano. Un cammino nella complessità del nostro salire le montagne.
Dunque non solo lo stile alpino in Himalaya, ma anche la complessità
himalayana portata sulle nostre Alpi, affrontando le nostre pareti quando
più si avvicinano alla complessità dell'ambiente himalayano, lontano dai
rifugi, dalle cineprese, dalle fotografie preconfezionate per i magazine
patinati, immersi nel racconto, nella percezione del nostro animo. Quando
sapremo raccontare o inventare queste nuove grandi avventure, memori delle
esperienze letterarie passate, forse nascerà una nuova grande letteratura.
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