|
Nel libro Musinè Magico di Giuditta Dembech si legge di
enormi quantità di energia che fuoriescono proprio da questa cima, primo
baluardo roccioso ad ovest di Torino. Questo punto energetico, unitamente
a pochi altri sulla terra, fungerebbe da antenna per giganteschi fiumi
energetici. Vi si legge inoltre che salire sulla cima del Musinè all'alba
permette di assorbire il picco massimo di questa energia, detta
“sincronica”, emessa vero il cielo...
Non ho mai potuto verificare la presenza di un siffatto fenomeno, ma posso
garantire che il cammino verso la cima accompagnato dal tramutarsi della
notte in giorno, è un'esperienza che rigenera le “batterie” per un bel po'
di tempo.
Questa volta voglio portare Luca con me. Se gli ricordo che bisogna
alzarsi alle quattro mi manda a quel paese... a quell'ora della domenica
lui va a dormire.
Io però ho un asso nella manica: gli mostro le immagini scattate nelle mie
solitarie, so che vedendole vincerà la pigrizia e accetterà la proposta.
Sono le quattro e dieci...
Quando si parte per le grandi cime è notte fonda, si pernotta in rifugio e
non c'è il tempo per raggiungere un sonno profondo, ma in questo caso si
dorme nel comodo e alle quattro del mattino si è sprofondati negli abissi
notturni e il suono della sveglia giunge all'orecchio da lontano facendosi
strada a fatica nella giungla delle immagini oniriche.
Stamattina i miei occhi non ne vogliono sapere, sono avvizziti e gonfi
come due fichi secchi.
Esco da casa e mi accorgo che c'è vento: meglio così, farà freddo, ma
l'alba sarà bella.
Speriamo che Luca si sia svegliato e trovi la strada.
Non è difficile, gli ho detto, da Torino ad Alpignano, prendi la SS 24 in
direzione Almese-Susa, poi giunto a Caselette entri in paese, la prima a
destra (Strada Contessa) poi all'incrocio a T vai a destra per
Valdellatorre e alla prima vai a sinistra nel viale alberato, spalle al
piazzale. Al fondo del viale c'è un parcheggio asfaltato sulla destra...
mi trovi lì.
Sono le quattro e mezza e ci salutiamo con un rantolo e un brivido...
accidenti quanto soffia !
E' molto buio: nonostante il cielo terso, manca la luna e il paesaggio è
una macchia nera contro il cielo stellato. Zaino pieno di attrezzatura
fotografica, cavalletto, coperti fino alle orecchie, pila accesa e via.
Attraversiamo il corridoio tra la recinzione del campo sportivo e il muro
di cinta della fabbrica, superiamo la sbarra percorrendo il piccolo
giardino e ci infiliamo nell'angolo sinistro dove comincia la mulattiera
per S. Abaco.
Camminando di notte sono sempre accompagnato dalla netta sensazione che
l'ambiente in cui mi muovo stia dormendo e che i miei pensieri, più che i
miei passi, possano disturbarne il sonno. Chi cammina in montagna è
abituato al silenzio, o meglio, al respiro della montagna, ma di notte
cambia tutto: il sonno del bosco avvolge il viandante in un silenzio che è
più interiore che oggettivo.
Dopo una decina di minuti la mulattiera esce, a tratti, dal bosco
regalando una splendida vista sulle luci della bassa valle di Susa e della
pianura torinese. Di fronte, la collina morenica rivolese che intuisco
dalla posizione del castello di Rivoli.
Ho già il fiatone, forse l'ho presa troppo svelta. Il primo tratto è
subito ripido e continuo e bisognerebbe cominciare camminando piano... No:
la verità è che dovrei smettere di fumare e cominciare a buttare ossigeno
invece di catrame in questi due sacchetti dell'immondizia che mi ritrovo
al posto dei polmoni.
Giuro a me stesso che smetterò presto, come faccio sempre, e continuo a
soffiare.
A S. Abaco il cielo stellato scompare inghiottito dagli alberi e il
fragore delle fronde sbattute dal vento sovrasta tutti i miei pensieri; mi
ricordo che c'è anche Luca. Gli chiedo come va e lui mi risponde tutto
bene, senza tradire un minimo di fiatone nella voce... Ripeto con rabbia
la promessa appena fatta.
Superiamo, aggirandola, la chiesa di S. Abaco e riprendiamo a salire per
il ripidissimo sentiero che attacca subito dietro la spianata. Questo
tratto è un po' difficoltoso perché il terreno è stato scavato dai
passaggi e dalla pioggia lasciando ovunque scomposti e ripidi canali svasi
simili a grandi piste da biglie; inoltre alla luce della torcia non si
riesce a individuare la migliore traiettoria e spesso ci si trova a dover
usare le mani.
La mia attenzione si ferma sull'erba alta, illuminata dalla torcia, che
ondeggia al vento; poi mi accorgo che il pendio si appoggia gradualmente.
Stiamo per arrivare sulla spalla, dove c'è il traliccio, e sono le cinque.
Il paesaggio da qui è spettacolare, non solo per la posizione elevata che
permette una visuale di circa 270 gradi, ma soprattutto perché ci sono i
primi segnali dell'aurora, in direzione di Superga.
Acceleriamo il passo per raggiungere un buon posto dove sistemarci per le
riprese... accidenti! qui il vento è furioso: faccio fatica a stare in
piedi e devo tenere con le mani il treppiede, altrimenti il vento me lo
porta via !
Mi rannicchio nell'erba alta e preparo la fotocamera: 50 ASA, tempo 1
secondo per cominciare, diaframma 11, autoscatto; provo a mettere a fuoco
con gli occhi che lacrimano per il vento.
Anche Luca mi sembra a buon punto, lo intravedo a una trentina di metri
dal punto in cui mi trovo: ha trovato riparo dietro una sorta di pozzo...
aspettiamo, siamo ormai al buono.
La striscia di cielo nero, stretta tra la miriade di stelle tremolanti che
stanno sopra e la miriade di luci altrettanto tremolanti che stanno sotto,
sta lentamente prendendo colore. Sembra una ciclopica lastra di metallo
nero che, riscaldata da una fiamma invisibile, stia pian piano diventando
incandescente.
Ho cercato un anfratto vicino ad un albero, che ho parzialmente compreso
nell'inquadratura e adesso comincio a vederne i rami nel mirino. E'
importante, quando si fotografano paesaggi lontani, inserire
nell'inquadratura un elemento in primo piano per accentuare il senso della
profondità.
Il colore dell'aurora non è ancora al suo massimo, ma io comincio a
scattare per non pensare al freddo e al vento, che si infila dappertutto,
e alla mia giacca che mostra i suoi limiti gonfiandosi come un pallone.
Sono costretto a premere il pulsante di scatto e poi tenere con due mani
il treppiede (ecco a cosa serve l'autoscatto) per evitare che la
fotocamera sia mossa dal vento... chissà se lì sotto si sta meglio...
Mi domando se laggiù c'è qualcuno che sta guardando il Musinè e se tra
questi qualcuno immagina due matti sbatacchiati dal vento... no, credo
proprio che noi due siamo gli unici a sapere che siamo qui. Piuttosto
siamo noi a curiosare nel sonno di tutte quelle persone che stanno là,
sotto le luci tremolanti.
Nonostante il freddo sono appagato da quello che vedo... molti, troppi non
capiscono. In questi momenti ci si sente così vivi, la propria coscienza
si espande enormemente e una piena di emozioni inonda il cuore.
Ridendo e scherzando sono le sei passate e un tenue rosa si diffonde
dall'orizzonte tingendo il cielo d'oriente; Luca mi raggiunge e mi dice di
andare in punta se no l'alba ce la scordiamo.
OK, raccolgo l'attrezzatura e riparto anch'io.
Dopo qualche minuto di camminata, siamo ancora sulla spalla, mi fermo: è
incredibile, sto guardando il mondo attraverso un filtro colorato.
Il rosa pallido si è intensificato, mutando in un arancio carico che
avvolge tutto, cielo e terra. Forse questa volta ci perdiamo l'alba sulla
cima, ma non posso lasciar andare un momento simile: rimetto in sesto
tutta la mercanzia e riprendo a scattare... raramente ho visto colori così
intensi in vita mia. La distesa erbosa alla mia sinistra sembra un... boh!
arancio su blu .
Mi sono perso il sorgere del sole sulla cima, ma ne è valsa la pena.
Scatto ancora un po' di foto alla Sacra di S. Michele che cattura i primi
raggi e poi mi incammino verso il tratto finale.
Ripenso al traliccio dopo un po' che l'ho passato: è davvero orribile.
Si tira una riga sulla cartina che, come un fendente, sfregia senza pietà
boschi, declivi, torrenti, valli, creste... opere d'arte maturate
nell'arco di milioni di anni.
Nonostante la bruttura il mio istinto creativo mi induce a fermarmi nel
tentativo di trovare un'inquadratura valida anche per questo “corpo
estraneo”... ci metto un po' e poi scatto due fotografie, due di numero,
poi via, che mi sono già arrabbiato abbastanza. Mi capita ogni volta che
salgo al Musinè e ogni volta che lo osservo tornando a casa dopo il
lavoro, al tramonto.
Ora la luce è già più intensa, il paesaggio verso Torino rivela a poco a
poco le nebbie di pianura e si riesce a distinguere nettamente dove
termina la zona interessata dal vento... è una scena davvero bella.
Il sentiero si riporta in cresta dopo il traliccio e poi piega per un
tratto a destra sotto un costone piuttosto marcato. Dopo un tratto a
mezzacosta che nasconde la vista della valle di Susa, si inerpica tra le
rocce per l'ultimo strappo.
Arriviamo in cima soddisfatti, ma in realtà il nostro è solo un gesto
formale, la tensione è calata, il momento magico è già passato e il
panorama che si gode dalla cima ha caratteristiche differenti dal
misterioso fuoco cui abbiamo assistito poche ore fa.
La croce di cemento alta 15 metri ci saluta severa e maestosa, e noi
proseguiamo ancora per qualche metro raggiungendo il punto più alto che si
trova poco oltre: riesco a vedere Valdellatorre e scorgo anche casa mia.
Sembra più vicina vista da qui, in mezzo alla vegetazione. Durante la
nostra breve permanenza riceviamo anche la gradita visita di un gatto che
pare essere di casa...
Ora si potrebbe scendere continuando per la cresta attraverso un sentiero
che conduce alla pista tagliafuoco, ma noi preferiamo ridiscendere dal
percorso di salita perché è divertente buttarsi giù di corsa per questi
pendii fino a S. Abaco.
Ricordo quella volta quando Massimo mi ha seguito su e giù per questa
montagna con un paio di mocassini... Alla fine erano completamente
distrutti!
Quando arriviamo nuovamente al parcheggio, con le ginocchia molli per la
corsa, sono stanco e felice, come ogni volta. Anche Luca lo è, lo leggo
nei suoi occhi. Al di là del bottino fotografico questa salita dona
qualcosa di più profondo e prezioso.
E' come se l'energia dispersa nella fatica venisse rimpiazzata da un'altra
energia che sta là fuori, in attesa di un viandante disposto a riceverla.
Penso proprio che Giuditta abbia ragione.
|