Preparatevi
per un lungo viaggio, anzi, per un'ascensione. A voi la scelta di condurla fino
in fondo e di confrontarvi anche con i passaggi più difficili, di resistere ai
momenti di stanchezza e di concedervi una sosta o di cercare delle scorciatoie
più confacenti al vostro allenamento. Visitare questa mostra sarà proprio come
andare in montagna. Sta a voi sublimare la fatica anche in godimento spirituale.
Non sono pochi sei secoli di pittura e arte e con essi circa 400 opere di 143
artisti e 32 scienziati, che potete centellinare attraverso 38 sale. Casomai vi
rimanesse un po' di appetito, state pur sicuri che lo soddisferete scorrendo le
600 pagine del catalogo, denso di saggi qualificati. In mostra troverete
prevalentemente dipinti, ma non solo. Un'opera dopo l'altra, passo dopo passo,
ai vostri occhi si spalancheranno infinite possibilità di mondi alpestri,
intuiti con timore, immaginati con potenza delirante e visionaria o documentati
con fedeltà topografica e realistica, ma pur sempre riflettenti il mondo
interiore e la Weltanschaung di quegli uomini che l'hanno “fermata” sulla
tela.
Per tutto il
Medioevo la montagna è luogo inospitale, aspro e impervio, che cela antri bui e
diabolici, ma anche luogo in cui si manifesta la divinità. Rocce e montagne
stilizzate – sono quasi sempre sassi ingigantiti in proporzione, come suggerisce
Cennini nel suo libro dell'arte – fanno da sfondo al ritiro eremitico di vari
San Girolamo o alle Tentazioni, ma anche a Trasfigurazioni e
visioni infernali. Paiono fauci le rocce che circondano l'oscuro precipizio che
inghiotte il cavaliere sconfitto nell'icona russa con Demetrio di Salonicco.
Tormenti di dannati tra aridi castelli di roccia sono esposti in un folgorante
dipinto di Herri Met de Bles detto il Civetta. Fantastiche architetture
rocciose, speroni, pulpiti innaturali e arditi sono disseminati sugli sfondi dei
paesaggi di Paul Bril o di Joachim Patinir e di altri fiamminghi. E a volte
hanno i contorni indefiniti, sfumati perché insondati, sconosciuti, oppure
improbabili, come i picchi ricurvi di Hercules Seghers. La montagna rimane a
lungo non abitabile, distante, misteriosa. Il Paesaggio d'alta montagna
di Joos de Momper II – il pittore fiammingo più importante dopo Pieter Brueghel
e prima di Rubens – lo dimostra attraverso l'uso simbolico del colore, nella sua
netta tripartizione dallo sfondo al primo piano, dalle montagne ad un gruppo di
viandanti, dal freddo al caldo, di azzurri, verdi e ocra. Più tenui e delicate
le sfumature degli acquerelli di Dürer relativi al suo primo viaggio in Italia
del 1494 e che sono il segnale di un mutato atteggiamento verso la natura, su
cui l'uomo osa rivolgere lo sguardo per conoscerla. L'acquerello sarà, a partire
dal XVIII secolo, la tecnica più usata dal peintre voyager, desideroso di
catturare le mutevolezze dell'alpe, nei suoi scorci e nelle sue variabili
meteorologiche. Se ne servono gli inglesi Towne, Cozens, Ruskin, il grande
Turner e ancora John Martin nelle ambientazioni montane delle scene bibliche ed
eroiche e Dorè, il grande illustratore. Di quest'ultimo è presente in mostra un
grande acquerello con il famoso Circo di Gavarnie nel suo scorcio più
significativo. E che dire del fantasmatico Valico di montagna di Turner
del 1830? Vorremmo forse negarci il piacere estremo di sostare lungamente tra i
piccoli fogli acquorei di Ruskin, cui è dedicata l'intera sala 14? Egli, a soli
undici anni, descrisse il suo primo viaggio alpino e a 79 era ancora capace di
emozionarsi davanti ad un'alba verso il Monte Bianco: quelle sue Nuvole
temporalesche del 1858 sembrano doversi scatenare da un momento all'altro.
Diversamente Goethe, durante i due viaggi in Svizzera, nel 1775 e nel 1770,
disse di non aver lingua per esprimere le sue visioni montane: in mostra c'è
però il suo turrito, quasi merlato, Vesuvio. Ai vulcani è dedicata l'intera sala
11.

Dürer
- Trento. Vista da Nord
Gli aspetti scientifici sono considerati assieme a quelli più squisitamente
artistici: sono esposti infatti strumenti di misurazione, libri e trattati
scientifici, le prime carte geografiche delle aree alpine e poi ancora un
cristallo gigante, un megalodonte e diversi fossili. La natura e la montagna in
età moderna sono diventate oggetto di curiosità e poi di studio sistematico. La
montagna da studiare, esplorare e poi contemplare nella sua immensità: come
nelle scure tele di Wolf in cui si sottolinea la sproporzione tra uomo e le alte
gole rocciose di Dala o nella grande tela di Robert dove un uomo è disteso a
rimirare un ghiacciaio che appare sullo sfondo mentre altri viandanti sostano
serenamente.

Grafometro
A poco a poco
l'uomo scomparirà da questi scenari. A partire dal XIX secolo, la sua presenza
non è più necessaria nei quadri di paesaggio. Ghiacciai, boschi, rocce diventano
soggetti autonomi: come il Cervino, la montagna per antonomasia, regale
accentratore delle opere di Ruskin, Français, Roda, Reiser, Maggi. Audaci le
sperimentazioni coloristiche, nelle gamme fredde e fluorescenti, dello
sfortunato Peder Balke, potente visionario, rivelatore delle algide atmosfere
della Norvegia, che vi si scolpiranno nell'anima. Ugualmente incisivi i solchi
di un carro lungo la mulattiera in primo piano del Sentiero nel paesaggio
ticinese con il Monte Ghiridone di Jodler. Oppure, se ve lo siete
dimenticato, una tela di Bechler vi farà sentire il Silenzio presente su
una cima innevata in pieno inverno e il cielo con una leggera copertura nuvolosa
nei giochi dei bianchi e neri.
Ma c'è anche
la montagna vista attraverso il colore espressivo, che va oltre la normale
percezione, il colore che sente la mente: vedrete le ombre blu di Walde, i
vibratili tocchi di pennello policromi di Longoni, la Montagna blu di
Giacometti e quella, sempre blu, di Blechen o il cielo chiazzato di gialli e
violetti di Koloman Moser. E poi, poco più avanti, vi inchinerete dinanzi alle
prove di astrazione di Cézanne, dedicate alla montagna Sainte Victoire. Sarete
investiti di energia vitale di fronte al Paesaggio con macchie di
Kandinsky – per il quale la linea verticale e quindi, aggiungiamo noi,
l'ascendere, è sinonimo di “infinita possibilità di movimento caldo”, di contro
alla linea orizzontale, segno di piattezza e freddezza.

Cézanne
- Mont Sainte Victoire
Nelle ultime
sale potrete ritrovare apparenze ancora “naturalistiche” nello Stubaital
di Schwitters o nella collina ispirata di Ernst, ma poi forse rifletterete
attentamente dinanzi all'ammasso metaforico di ingombranti e inutili oggetti e
di chiodi giganti sul circo roccioso di Monument di Savinio o alla
estenuata Parete di Buzzati; oppure aggirerete timorosi l'inquietante e
velata Madre come montagna di Kapoor. Infine distenderete i vostri sensi
ascoltando il violino sul ciglio del burrone ne L'eco, una video
proiezione di Su-Mei Tse, auspicando che sia ancora possibile una naturale
fusione tra uomo e natura.
Sta a voi,
ora, cercare la vostra via di salita