JEDAN, DVA, TRI

UNO, DUE, TRE

 

di Mauro Mazzetti

 

 

Uno, due, tre: scalino, maniglia, sedile. Sono finalmente seduto sul Transit, automezzo promiscuo per il trasporto di persone e merci, come recita la carta di circolazione. Il più è fatto, abbiamo caricato il caricabile e possiamo partire per i 500 chilometri che ci separano da Ancona. Il viaggio sembra ogni volta più corto, forse per l'assuefazione ‘on the road’, forse perché si parte sempre più tardi ed il traghetto ha orari rigidi.
Gli svincoli e le uscite scorrono veloci nel primo pomeriggio di sabato, si perfora la riviera ligure in mille gallerie, si oltrepassano le Apuane annusando odore di marmo, si socchiudono gli occhi verso la linea infinita della pianura.
Uno, due, tre: documento, carta d'imbarco, timbro. Al posto di polizia di frontiera sembra una torre di Babele; lingue e dialetti si mescolano in attesa del traghetto per Spalato, tra una bibita ed un panino, tra neon e sportelli della sala d'aspetto.
Le luci di Ancona sono ormai lontane, e riportano a ricordi dai contorni tremolanti e sfuocati. Le montagne non sembrano esistere nella realtà di tutti i giorni; la roccia ed il ghiaccio sono sgretolati nella memoria di salite estive ed invernali, mentre dal traghetto le colline di Spalato ingrandiscono sempre più.

Jedan, dva, tri: carta verde, documento, carta di sbarco. Il poliziotto croato sospira tra i denti un'imprecazione rivolta ai soliti italiani pasticcioni, poi malevolmente concede il passaggio. Fuori dalla città, fuori dal traffico caotico di viali e controviali, lo sguardo corre verso bastionate rocciose a picco sul mare. Di fianco al guidatore, alzo oziosamente gli occhi e immagino vie di salita: là una fessura da proteggere, che sale diritta per almeno duecento metri, che si trasforma in un diedro lavorato, che sfocia su una placca liscia liscia, che muore sotto un tetto dalle linee aguzze, che immette su un aereo ed arcuato sperone. Già mi vedo salire, facendo tintinnare la ferraglia, su queste pareti ai cui piedi passa la guerra jugoslava. Mi piacerebbe tornare in tempo di pace, con nut, friend, chiodi e martello, per toccare questa roccia, muovermi tra creste, canali e placconate, per confrontare questi profumi con quelli della macchia ligure, questo odore di calcare con quello della pietra del Finale, questo cielo nuvoloso con quello azzurro della mia terra.

Jedan, dva, tri: porta, sciacquone, lavandino. Il fetore nel retro del piccolo bar prima della frontiera avvolge le narici ed induce a trangugiare in fretta il caffè lungo e caldo che aspetta in agguato sul bancone stile ‘anni sessanta’. La Bosnia è dietro l'angolo, più concretamente dopo quella garitta e quell'autoblindo, dopo le divise di finanzieri e poliziotti, dopo i fucili veterani della guerra di Corea, con le tacche sul calcio per ogni nemico ucciso.

Jedan, dva, tri: appoggio, appiglio, appoggio. La voglia è più forte dello sconcerto e dello smarrimento; la parete è lì, appena dietro la strada, e non sembra particolarmente difficile. Un po' di ginnastica arrampicatoria servirà a riempire i tempi morti nell'attesa dell'autorizzazione a passare la frontiera. La roccia articolata si lascia salire docilmente, senza opporre resistenza al mio procedere costante; salendo, mi guardo in giro, e vedo campi brulli, distese di melograni maturi, due cani che si rincorrono, la strada fangosa divisa in due dalla sbarra del confine. Mi sporgo appena verso la Bosnia, mentre il vento freddo di metà ottobre mi fa chiudere gli occhi: le cime intorno sono spruzzate della prima neve autunnale. Sembra proprio di stare sull'Appennino ligure, con la faccia al mare e la schiena ai monti bianchi; un brivido di freddo mi scuote e mi riporta alla realtà: sono arrivato in cima alla cresta, e da sotto fanno gesti esasperati per richiamarmi. Solo dopo capirò che sono stato tutto il tempo della salita sotto tiro, controllato e sorvegliato dai soldati in ogni mio movimento.
Non c'è tempo per metabolizzare la paura, ma per darmi dell'imbecille sì: dopo tanta frequentazione della zona di guerra, non ho ancora imparato che le norme del vivere civile sono spesso neutralizzate e disattivate dalla forza delle armi, dalla necessità della sopravvivenza, dalla circospezione del movimento. Tant'è, la voglia di arrampicare in questo strano ambiente surreale e silenzioso è stata più forte della logica e della sicurezza. Salire la cresta è servito a lasciarsi indietro, anche se solo per un attimo, una strana cappa angosciosa, che rinchiude la voglia inespressa di normalità.

Jedan, dva, tri: destra, sinistra, sinistra. I bambini a Mostar non camminano diritti; i genitori – quasi sempre la mamma, perché spesso il papà non c'è più – hanno insegnato a cambiare direzione repentinamente ed improvvisamente, per non offrire un bersaglio facile ai cecchini che stazionano sulla prima linea del fronte, davanti alla “zona blu” della terra di nessuno. Li vedi camminare così, senza meta apparente se non quella di attraversare incolumi la strada, e pensi ad uno strano gioco di movimenti disarticolati; intanto, lungo il disordinato ammasso di rovine che una volta era la via principale, arrivo al check-point.

Jedan, dva, tri: Mostar, Mostar Ovest, Mostar Est. La città, prima unita e dopo strappata in due, offre solo minareti spezzati, case senza tetti, cimiteri cresciuti disordinatamente nei giardini pubblici per mancanza di spazio; dal Monte Velez scende una fuga di balze rocciose per più di mille metri di dislivello, che uniscono la pianura di Mostar alle vette circostanti. Ci sarebbero centinaia di vie nuove da salire, un parco giochi infinito da esplorare in verticale, su e giù da un pinnacolo ad un contrafforte, da una cresta ad uno zoccolo, passando per cenge e fessure, per diedri e strapiombi, per placche e spigoli.
Il Conservatorio musicale, una volta vanto ed orgoglio della città, si è afflosciato su se stesso, mantenendo intatta solo una parte del perimetro del muro esterno, fatto di pietre a vista ed a secco, testimonianza di una raffinata cultura materiale.
Ecco, lungo questo muro dalle pietre sporgenti è possibile arrampicare, fare lunghi traversi da destra a sinistra e viceversa, più di cento metri lineari di movimenti accorti, di spostamenti sapientemente dosati, di spaccate e di incroci. Solo un attimo di esitazione, e le mani stringono le pietre levigate del greto dalla Neretva, il fiume di Mostar che è diventato la cesura violenta ed assurda tra la ragione e la follia, tra il fanatismo e la tolleranza, tra la cultura e l'ignoranza, tra la guerra e la pace, tra la vita e la morte.
Mi muovo sul muro goffamente e cautamente, cercando l'appoggio successivo e dimenticando astratte speculazioni filosofiche; alle mie spalle un leggero brusio si leva sommesso e accompagna le mie evoluzioni.
Che importa se è pericoloso entrare nella zona interna del Conservatorio, perché è ancora pieno di granate inesplose? Basta stare fuori, seguire disciplinatamente e rigidamente i sentieri tracciati e anche le mine non faranno paura.

Jedan, dva, tri: in un attimo si sono raccolti una decina di bambini dagli occhi brillanti, ciuffo spiovente e cranio rasato. Tutti mi guardano curiosi, ammiccando e dandosi di gomito; poi uno, più intraprendente, spicca un salto e si appende al muro. Come se lo starter avesse dato il via, gli altri si aggrappano alle pietre e cominciano ad andare anche loro avanti ed indietro sul muro, saltando e cadendo, sottolineando con sonore risate i capitomboli altrui e con grida di compiacimento i propri progressi. Non sarà bouldering o sassismo, ma il divertimento è garantito con poca fatica e con tanta immaginazione.
Il sole cala rapidamente, e le pietre del muro mutano di colpo le sfumature di colore, dal caldo arancione luminoso ad un freddo grigio metallico. Jedan, dva, tri: ad un triplice silenzioso battito di mani, il muro si svuota e i folletti cenciosi spariscono. Il momento del coprifuoco arriva sempre troppo presto, tranciando lo slancio e la gioia di un breve momento di serenità.
Uno, due, tre: frizione, prima, freno a mano. Il Transit si ferma in garage, fino al prossimo viaggio.

 

Dicembre 2001

Mauro Mazzetti

 

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