Miyar Valley ‘98
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di Gianluca Bellin | |
Himalaya, Miyar Valley, Tunder Peak (6010 m): una spedizione leggera scala una montagna inviolata in una valle semi-sconosciuta dell'Himalaya indiano (estate 1998).
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Sono passati più di sette anni da quando, per puro caso, venni invitato da un caro amico ad arrampicare, ora mi ritrovo sulla cima di una montagna di 6000 metri a guardare, con il cuore che batte a mille e il fiato corto, uno dei più spettacolari ed impressionanti orizzonti sulla catena dell'Himalaya. Le avventure più belle sono quelle che non ti aspetti, dove niente viene davvero programmato, dove fortuna e fantasia si scontrano e poi si mescolano per dare vita a momenti che rimangono unici e indelebili dentro di te. La mia avventura nella Miyar Valley è
iniziata parlando, come spesso accade tra arrampicatori-alpinisti, di
posti e montagne. Quell'inverno infatti, cercando tra le pagine di
riviste specializzate, Diego aveva trovato un vecchio articolo di Vitali,
uno dei famosi Ragni di Lecco, che parlava di una valle
semi-sconosciuta, con montagne di 6000 metri senza nome e di grande
difficoltà tecnica; senza neanche pensarci decidemmo: “quest'anno si
va”. __________ Siamo partiti in quattro: io, Diego, Silvia e Marta, e 40 chili di equipaggiamento a testa. Il programma era semplice: si percorre la valle fino al ghiacciaio e si scala una montagna. Atterrati all'aeroporto di Delhi, abbiamo cercato un mezzo che ci portasse 800 chilometri verso nord il più in fretta possibile, onde evitare che il caldo umido della città ci facesse ammalare. Dopo un giorno e mezzo di dure contrattazioni con le agenzie locali abbiamo noleggiato una jeep: 20 ore su strade semi-asfaltate per giungere a Manali, famosa località di villeggiatura montana. Qui per circa due giorni vaghiamo per i negozi di alimentari e mercerie varie per comperare cibo e attrezzatura: dovevamo allestire un Campo Base con almeno 20 giorni di provviste a testa. Vi siete mai chiesti cosa mangerete i
prossimi 20 giorni senza mai andare al supermercato? Io sì. Ai nostri occhi la valle appare come un pezzo di mondo che, per qualche strano motivo, si è fermato, dove ogni cosa o animale sembra essere parte di un vecchio libro di esploratori. Tutto è in perfetta simbiosi, il grano e gli ortaggi crescono senza fretta, i contadini portano i loro pochi animali al pascolo, le donne assieme ai bambini raccolgono il profumato fieno, e i più vecchi rimangono in paese, dentro le loro misere ma decorose case a bere the, a cucinare, o a costruire piccoli oggetti di uso comune: souvenir per noi sciocchi visitatori, che scattiamo sorpresi bellissime foto. Alla fine, dopo non poche difficoltà unite alle gioie del turista, arriviamo in un grande prato prima della morena e posizioniamo il nostro Campo Base: quota 4000 metri. L'ambiente è dei più dolci e rilassanti: “non poteva andarci meglio” - è il commento di tutti. Nel giro di un paio d'ore riusciamo a
montare le tende, sistemare tutto il materiale sotto un enorme masso,
trovare il posto giusto per la cucina, le relative sedie fatte con
blocchi di granito e, soprattutto, abbiamo a disposizione, poco
distanti, dei laghetti dove poterci lavare e fare il bucato. Nel
frattempo i nostri portatori si stanno già organizzando per il ritorno, e
noi in inglese tentiamo di spiegare loro la data del nostro rientro: è
difficile poter stabilire una data futura con chi non conosce neppure il
giorno corrente. I giorni successivi li dedichiamo allo studio del posto
e degli andamenti climatici, i quali si fanno notare per l'imprevedibilità:
al mattino sereno con brezza da est, al pomeriggio ventilato da ovest
con numerosi piovaschi; insomma mai bellissimo, mai bruttissimo. A questo punto dobbiamo decidere se cercare di salire una cima scegliendo un avvicinamento già noto, oppure cercare di esplorare una nuova zona con l'incognita di perdere del tempo prezioso. Quella da prendere è una decisione in parte alpinistica e in parte commerciale: abbiamo, volenti o nolenti, degli sponsor che si aspettano da noi qualcosa. Fortunatamente tutti e quattro ci troviamo concordi sul fatto che, in un ambiente così puro e incontaminato, bisogna seguire i nostri sentimenti e il nostro istinto. Il giorno seguente prepariamo gli zaini, risaliamo la cresta erbosa sino ad arrivare all'imbocco della nostra valle e da qui attraversiamo un lungo pianoro sassoso, con al centro un fiumiciattolo alimentato da una cascata d'acqua che sgorga dal ghiacciaio: alla fine di questo degli insidiosi balzi di roccia ci sbarrano il cammino. Io e Diego decidiamo di salire slegati, portandoci appresso gran parte del materiale alpinistico; le ragazze per sicurezza ci aspettano sul pianoro. Ad un certo punto però, la giornata, all'inizio splendida, comincia a guastarsi: noi due saliamo veloci, superando tratti di roccia sino al quarto grado, io guardo l'altimetro, siamo già a 4800 metri, i nostri zaini di trenta chili si fanno sempre più pesanti e scomodi, ci conforta il fatto che davanti a noi ci sono pochi metri per mettere piede sul ghiacciaio e gli ultimi balzi di roccia non sembrano molto difficili; ma ecco, come capita di leggere nei libri di avventure, ci investe una bufera: in pochi minuti le rocce si ricoprono di neve, il vento smuove dei sassi in bilico e ce li fa precipitare contro. Mi sento come un topo in trappola e in mezzo a tutto quel frastuono, cerco solo di rimanere calmo. Diego, che è più in alto di me, riesce a togliersi lo zaino, tirare fuori martello e chiodi, fare una sosta, assicurarsi e mandarmi giù un capo della corda. Una volta legato cerco di salire, pulendo gli appigli dalla neve e schivando i numerosi sassi che continuano a cadere. Raggiunto Diego lo supero, punto diritto verso il ghiacciaio e faccio sosta con le due piccozze, Diego parte e mi raggiunge, quindi, una volta al sicuro, ci ripariamo vicino ad un grosso masso e, dopo esserci infilati dentro al telo-tenda, ci mangiamo una barretta energetica. Il tempo non dà cenno di miglioramenti, noi immersi in una fitta nebbia ci mettiamo in moto e puntiamo verso a quella che doveva essere la cima del ghiacciaio. Basterebbe una schiarita per renderci conto se in quella zona ci sono delle pareti da scalare, ma il tempo sembra essersi messo stabilmente al brutto. Stanchi di camminare alla cieca, ci fermiamo per prepararci un the: dopo tutto sono più di sei ore che sfacchiniamo. All'improvviso la luce si fa più intensa, ci alziamo di scatto per vedere dove si trova il sole, la nebbia si fa sempre più rada, e... laggiù, si vedono delle pareti; non riusciamo a valutare ancora le loro dimensioni, in quel momento devo aver trattenuto il respiro. Le nuvole si alzano definitivamente ed ecco un sogno che si realizza: ci troviamo di fronte ad un muro verticale, alto sicuramente più di mille metri, di granito rosso Capucin, è fantastico, e promette difficoltà estreme. E' tardi, ci aspetta una lunga discesa, mettiamo il materiale avvolto nella tenda vicino ad un sasso, ed incominciamo a correre in leggere discesa giù per il ghiacciaio, facendo a gara per vedere chi salta il crepaccio più largo, Alla fine del pendio ghiacciato attrezziamo delle doppie e nel giro di due ore ritroviamo le ragazze con le frontali accese che ci aspettano. Alla sera al Campo Base discutiamo tutti e quattro un piano per attaccare la parete, raccolti sotto il masso cucina: la giornata è stata veramente difficile e, sia io, sia Diego, sappiamo che avremo bisogno di un po' di tempo per recuperare le forze; non abbiamo ancora le idee chiare su quale montagna sarebbe meglio salire, la breve schiarita non ci ha dato il tempo necessario per un'attenta valutazione, la sola cosa di cui siamo sicuri è che le ragazze ci aspetteranno al Campo Base. Questa è una decisione molto sofferta, ma i pericoli oggettivi sono troppo alti: io e Diego pratichiamo un tipo di alpinismo che va oltre la semplice passione, noi la consideriamo una scelta, uno stile di vita, quindi siamo pronti e disposti a coglierne le gioie, ma anche i rischi, e non riteniamo debba essere lo stesso per le persone che condividono questa passione per la montagna con noi. L'indomani il tempo è perfetto, il vento soffia costante da sud-est, a noi non rimane altro che dormire, leggere, fantasticare. La notizia peggiore arriva dalla cucina, il cibo per la colazione è praticamente finito, la pasta idem, ci possiamo consolare con un po' di minestrone liofilizzato, tanto riso, quattro scatolette di tonno e mezzo chilo di grana. Il giorno successivo partiamo di buon
ora: i nostri zaini sono un po' meno pesanti, ma le nostre gambe non
hanno ancora recuperato completamente. Il bel tempo veglia su di noi e
in circa sei ore raggiungiamo il posto dove abbiamo lasciato il
materiale; carichiamo tutto e riprendiamo a salire. Fa un caldo
bestiale, sembra impossibile di trovarsi a più di 5000 metri, la fatica
comincia a farsi sentire assieme alla fame e alla sete; non ci fermiamo
perché dobbiamo prima superare un dosso, che sbarra la vista sulle
pareti. Manca poco, sì e no dieci minuti, ma il sicuro
ghiacciaio si fa sempre più crepacciato, costringendoci ad assicurarci
ed a zigzagare per cercare i punti più comodi per attraversarlo. Grazie
al cielo lo superiamo e riusciamo a trovare un sasso piatto abbastanza
grande da montarci sopra la tendina. Diego prepara il materiale
per il giorno seguente, io cerco di far funzionare il fornelletto
a benzina per poter cucinare la pasta liofilizzata. Il sole tramonta e di colpo la
temperatura va di molto sotto lo zero. Io faccio fatica a prendere sonno.
La grande stanchezza, la difficoltà iniziale nel trovare il
giusto ritmo del respiro, la tensione per la salita, fanno da cornice ad
una lunga notte. Cominciamo l'ascesa risalendo inizialmente, per circa 350 metri, un lungo pendio di ottimo ghiaccio, con pendenze massime di 85 gradi. E' Diego lo specialista su ghiaccio, io non ho molta esperienza, ma quando è ora di affrontare un lungo traverso di misto finalmente posso condurre la salita. Metto le mani sulla fredda roccia puntando i miei ramponi, su un leggero strato di ghiaccio, ed incomincio a salire. Adesso non ho più paura, tutte le mie energie sono impegnate a coordinare i movimenti del mio corpo, mi muovo leggero e sicuro, ho come l'impressione di essere in un posto che conosco da sempre. Mi ci vogliono quasi tre tiri di corda per sbucare sullo spigolo che porta diritto alla cima; in questo tratto incontriamo difficoltà di quinto superiore. Ci rimane adesso solo dell'ottimo granito da scalare. Prima però abbandoniamo tutto il materiale da ghiaccio in un canalino comodo per effettuare la discesa. Quest'ultima parete è rivolta a sud e ci regala momenti di arrampicata unici che ci fanno dimenticare la gran sete, la difficoltà di respirare, i momenti di sconforto di fronte ad una sezione difficile, ma soprattutto il brutto tempo che comincia ad incombere su tutta la valle. Finalmente dopo tante fatiche
intravediamo la cima. Mentre scattavo le foto di rito, non potevo fare a meno di pensare a quanto fortunato ero: stavo lì con un panorama da cartolina e tutti i miei sogni dei mesi precedenti si erano materializzati. Sono le cinque, mancano solo due ore prima che il buio torni ad essere l'indiscusso padrone della montagna: bisogna organizzarsi per la discesa. Attrezziamo veloci gli ancoraggi per scendere in corda doppia e in circa tre ore raggiungiamo il punto dove abbiamo abbandonato il materiale da ghiaccio; lo recuperiamo ed iniziamo le ultime calate, ma ormai è buio. Cerco la frontale nello zaino e non la trovo, Diego guarda nel suo, ma non ce l'ha neppure lui: questo errore potrebbe costarci caro. Una fitta nebbia ci avvolge, rendendo tutto più buio e surreale. Che fare? Scendere in mezzo al fitto nebbione senza lampade frontali, non avendo la certezza che quel canale porti sul ghiacciaio, oppure passare la notte poco vestiti, disidratati, raccontandoci storie per stare svegli, ed affrontare con le prime luci dell'alba l'impegnativa discesa? Il vento incomincia a soffiare con violenza e siamo investiti da una intensa nevicata; ogni tanto un bagliore improvviso illumina la nebbia, ho paura, e tanto sonno, cerco di discutere con Diego sul da farsi. Il tempo non cambia, sono tre ore che aspettiamo almeno un cenno di miglioramento, ma niente. In mezzo alla bufera sento tutta la forza di questa selvaggia e sperduta zona, dove niente e nessuno ci può aiutare, penso alle ragazze preoccupate, a quanto può essere bello andare al sabato sera a mangiare una bella pizza calda e bere un enorme birra fresca. Nevica sempre più forte, bisogna fare qualche cosa, discutiamo: la neve si sta accumulando, bisogna provare a scendere o rischiamo di venire investiti da una slavina. Preparo un buon ancoraggio e inizio a calare Diego. Egli scompare quasi subito dalla mia vista, la corda scivola lenta tra le mie mani, la voce di Diego si fa sempre più debole, poi sento che si ferma, aspetto un po' ed incomincio la mia discesa. Arrivato anch'io in sosta recuperiamo la corda, sperando ardentemente che questa non si impigli da qualche parte: è proprio la nostra giornata, tutto fila liscio ed in poche doppie siamo finalmente al sicuro sul ghiacciaio. Ora mi sento di nuovo a casa, ci mettiamo un po' a trovare la nostra tenda a causa del buio e del cattivo tempo, ma verso le due riusciamo ad infilarci dentro i nostri bellissimi sacchi a pelo e goderci il meritato riposo. Al mattino, il tempo è ancora brutto, decidiamo allora di andarcene: smontiamo la tenda, prepariamo gli zaini e ci incamminiamo verso il fondo valle. Camminiamo l'intera giornata per raggiungere il Campo Base; siamo in discesa, ma gli zaini sembrano dei macigni sulle nostre spalle e siamo distrutti dalle fatiche del giorno precedente. Finalmente, però, scorgiamo le tende e le ragazze che ci vengono incontro; ora possiamo riposarci nel nostro comodo Campo Base e festeggiare con della frutta sciroppata il successo della nostra spedizione. ---------- Hanno fatto parte della spedizione Silvia Alessi, Gianluca Bellin, Marta Gusman e Diego Stefani.
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Novembre 1999 | |
Gianluca Bellin
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALEPAOLO VITALI, La torre mai vista, in RIVISTA DELLA MONTAGNA n° 139, Torino 1992, pp. 90-97. ----------------------------------------------------------------------------------------------------
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