MANASLU metri 8163
Montagna a caro prezzo
 

 

di Mario Corradini

 

Himalaya, Manaslu (8163 m): la storia di una montagna pericolosa attraverso gli occhi di un alpinista viaggiatore.

 

Nepal - Manaslu – spedizione autunno 1992
Sono già trascorsi 11 anni da quell'indimenticabile spedizione, la mia prima presenza in Nepal sulle alte montagne. Rileggendo un mio articolo, pubblicato allora nell'annuario della Sezione SAT di Riva del Garda, (e successivamente modificato per essere inserito nel mio libretto dal titolo “Spedizioni – appunti di viaggio dalle montagne nel mondo”) rivivo, in modo nostalgico, quell'esperienza.
Ricordo l'impatto, forte e stupefacente, che ebbi con gli abitanti di Sama Gaon e gli spettacolari tramonti che tingevano di fuoco le candide nevi del dirimpettaio e slanciato Pang Phuchi.
Grazie all'amico Wielicki ho provato sensazioni mai avute prima, che si sono radicate nella mia mente a tal punto di diventare il primario richiamo dei miei successivi viaggi.
Il Nepal, l'Himalaya, è stata la meta preferita del mio tempo libero. Ancora con Krzysztof sono stato al Makalu, nell'inverno 2000. Solo una breve “passeggiata” fino al Campo Base, ad ammirare questo colosso che per la sua quota (8463 m) è la quinta montagna della Terra. Ma il Makalu è anche la seconda montagna più bella, dopo il K2. Sono arrivato ai suoi piedi di sera, al tramonto, quando il sole dapprima ha indorato l'enorme parete, dipingendola poi, sempre più velocemente, di una calda luce rossa.
Ma nei miei ricordi stazionano altre grandi cime himalayane. Non potrò mai dimenticare il fascino delle vette che formano quell'alto “Santuario” dell'Annapurna, o la scura piramide dell'Everest che impera dietro il “piccolo” Nuptse, alla testata della famosa Valle del Khumbu.
Da lontano ho ammirato il mastodontico Kangchenjunga. Dominava l'orizzonte, emergendo da un mare di nubi che coprivano la lunga Valle dell'Arun. E, poco tempo fa, (aprile 2003) ho rivisto il Manaslu spuntare dietro i Ghanes Himal. L'ho osservato a lungo, dall'alto passo Laurebina (sopra il Lago sacro di Goshikund) ritornando con la mente a quel periodo, riprovando di nuovo alcune emozioni, come ad esempio il rumore delle slavine che ogni 5 minuti cadevano dalla ripida parete dietro il campo 1, oppure ricordando il viso di alcuni bambini e anziani di Sama Gaon.
Dei miei viaggi in Nepal non dimenticherò mai la gente! Un popolo unico, straordinario. Persone che sopravvivono con dignità in luoghi davvero ostili. Persone materialmente povere ma ricche di “un modo d'essere” che regala felicità e aiuta anche il turista più ignorante.
Ed è a queste persone che da qualche tempo dedico, con successo, una mia conferenza. Una serie di diapositive che ritraggono uomini, donne e soprattutto bambini. Immagini “rubate” alla loro quotidianità per cercare di trasmettere la fierezza di un popolo, genuino e sincero, diverso da noi solo negli usi, costumi e religione.

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Dal rapporto di Elizabeth Hawley, redatto a Kathmandu il 21 agosto 1992, subito spicca che questo gigante di roccia e ghiaccio è stato salito da 97 alpinisti di 15 nazioni, ma anche che 40 persone sono decedute nel tentare la scalata.
La vetta del Manaslu fu conquistata la prima volta nel maggio del 1956 dai giapponesi Toshio Imanishi, Kiichiro Kato, Minoru Higeta e dal nepalese Gylatsen Norbu Sherpa, lungo il versante Nord-Est.
Reinhold Messner lo salì il 25 aprile 1972 per l'inviolata parete Sud. Lassù, in quell'asperrima parete alta 4000 metri perirono due suoi compagni (*). Nello stesso mese di aprile, in una sola notte, sul Manaslu morirono altri 15 alpinisti (10 nepalesi, 4 koreani ed 1 giapponese).
Il polacco Jerzy Kukuczka salì sul Manaslu assieme al giovane connazionale Artur Hajzer il 10 novembre 1986, aprendo una nuova via lungo la ghiacciata parete Est (straordinario il racconto di questa spedizione nel libro Al quattordicesimo cielo di Jerzy Kukuczka).

Sempre dei polacchi è la prima ascensione invernale. Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski compirono quest'impresa il 12 gennaio 1984 lungo la parete Sud. E sotto la direzione polacca, nei mesi di settembre-ottobre 1992 si è svolto l'ennesimo tentativo di salita.

Krzysztof Wielicki era il capo spedizione. Lui, la vetta del Manaslu, l'ha già calcata il 20 ottobre 1984 assieme ad Aleksander Lwow, aprendo una nuova via sulla parete Sud-Est (la prima dal versante della Pungen Valley). Ma questa sua conquista non è la sola. Infatti Krzysztof Wielicki è noto per essere uno degli autori della prima salita invernale assoluta all'Everest (febbraio 1980), la prima invernale assoluta al Kangchenjunga nel dicembre 1985 assieme a Kukuczka e l'invernale al Lhotse nel dicembre 1988.
E' stato anche il primo uomo capace di salire e scendere un ottomila (il Broad Peak) dal campo base alla vetta e ritorno, in meno di 22 ore (luglio 1984). In himalaya c'è stato tante volte e nel 1996, dopo il K2 ed il Nanga Parbat, ha raggiunto tutti i 14 ottomila. E' così il quinto uomo al mondo ad aver toccato tutte le maggiori vette himalayane, dopo Messner, Kukuczka, Loretan e Carsolio.

Il 13 settembre eravamo tutti riuniti al campo base a 4200 metri, sopra il villaggio tibetano di Sama Gaon. Purtroppo il monsone era ancora attivo e per molti giorni continuava a piovere. Così il Manaslu lo si poteva ammirare solo per poche ore e non tutti i giorni.
In questo periodo il tempo sembrava non trascorrere più. Costretti all'ozio si passavano molte ore del giorno scrivendo, dormicchiando nella propria tenda oppure a discutere assieme nella tenda-mensa, riscaldandoci con tazze di tè.

Eravamo in 12 alpinisti più l'ufficiale di collegamento, il cuoco e Lacciu, il simpatico capo sherpa nepalese. Dalla Polonia, oltre a Krzysztof Wielicki capo spedizione, c'èra il forte Krzysztof Pankiewicz, il simpatico Marius Sprutta (che l'anno prima è salito con Wielicki sull'Annapurna), la sua ragazza Silvia e la dolce Barbara. Poi due bulgari: Iordanka Dimitrova e Borislav Dimitrov.  Dal Belgio, Sven Vermeiren, un forte e calmo ragazzo di 24 anni.
Poi noi italiani: Giorgio Passino di Courmayeur, Marco Bianchi di Milano, Christian Kuntner di Prato allo Stelvio ed io di Trento.

Alla sera, e per poco tempo anche al mattino, si poteva ammirare il Manaslu che emerge con due bianche punte dalle brune gobbe erbose sopra il campo base, oppure rimanere incantati da come si tingevano al tramonto del sole le ghiacciate e verticali pareti del dirimpettaio Pang Phuchi.

Il 15 settembre partì il primo gruppo formato dai polacchi e dai bulgari. Speravano di raggiungere il Campo 1 situato sulla Rock Tower a 5550 metri.  Il percorso era molto lungo, perché dalla nostra posizione si doveva attraversare sotto tutta la parete Nord-Est e superare o aggirare i numerosi crepacci dell'ampio ghiacciaio, per collegarsi poi all'itinerario classico, sotto il Naike Col. Purtroppo, anche quel giorno il tempo si mise presto al brutto. Al campo base pioveva; sopra, dove erano i nostri compagni, nevicava.  Hanno dovuto bivaccare in mezzo al ghiacciaio.

Il giorno seguente salirono Krzysztof, Marco, Giorgio e Marius ed anche loro si trovarono a procedere sotto una fitta nevicata, mentre al campo base già alle ore 10 del mattino pioveva ed il vento scuoteva i teli delle tende.
I giorni passavano con il ritmo di sempre, ma il lavoro continuava ed avevamo già piazzato il Campo 2. Il freddo ed il vento disturbavano molto, specie in quota, tanto che le prime notti al Campo 2 non si poteva dormire. Una notte il forte vento ha strappato il telo della tenda aumentando il disagio e la precarietà del riparo.

Il giorno 20 ammiravo dal primo campo uno spettacolare tramonto che indorava e poi arrossiva una grande schiera di vette himalayane. Sulla cresta del Manaslu, l'ultima luce rimarcava le lunghe fiumane di neve spazzata dal vento. Poi la notte che oscura ogni cosa, mentre nel cielo brillavano una miriade di stelle.

Dopo aver piazzato e rifornito i campi alti (Campo 2 a metri 6600 sul Colle Nord e Campo 3 a metri 7250), il giorno 28 settembre, partendo di notte dal Campo 2, Krzysztof Wielicki, Marco Bianchi e Christian Kuntner raggiunsero la vetta del Manaslu.
Sono stati ripagati per questa loro fatica da una splendida giornata di sole e finalmente dall'assenza di vento.

Con questa vittoria, Krzysztof Wielicki è l'unica persona che è salita in vetta al Manaslu ben due volte. Per Marco è stato il suo primo ottomila mentre per Christian il secondo, avendo salito nel 1991 il Cho Oyu. Anche gli altri tentarono la vetta, spronati dal successo dei compagni e dal tempo favorevole.
Purtroppo il 2 ottobre, nelle vicinanze del campo 3 è caduta Silvia, la ragazza di Marius. E' volata da un muro di ghiaccio e non l'hanno più ritrovata. Il giorno successivo anche il belga Sven è caduto ed a nulla sono valsi i tentativi di rianimazione.

Con la gioia d'aver conquistato la vetta e l'amarezza per la perdita di due compagni, si è conclusa la spedizione che ha modificato la classifica dei successi e delle vittime al Manaslu nel modo seguente : 100 scalatori in vetta (Krzysztof Wielicki per 2 volte) e 42 deceduti.

La malia, il richiamo irresistibile che trasmettono questi monti, supera ed oscura ciò che queste cifre possono suggerire. Cosicché, pur ricordando la tragica fine dei compagni perduti, ritornerei prontamente in quei posti, rispondendo ad un indecifrabile e forte richiamo.

 

Tressilla di Pinè, 1992-2003
© giugno 2003 intraisass  

Mario Corradini

 

N.d.a

(*) Reinhold Messner descrive molto bene questa salita nel suo libro L'avventura alpinismo edito da Athesia BZ, nel 1981.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

MARIO CORRADINI, Spedizioni – appunti di viaggio dalle montagne nel mondo, Brescia 2001.

JERZY KUKUCZKA, Al quattordicesimo cielo, Milano 1990.

REINHOLD MESSNER, Sopravvissuto - I miei 14 ottomila, Novara 1987.

REINHOLD MESSNER, L'avventura alpinismo, Bolzano 1981.

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