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Ho
desiderato fortemente la realizzazione del mio libro sulla montagna.
Ho trascorso notti su notti a leggere i fogli che la stampante del
portatile vomitava sul tavolino. Ogni tanto uscivo fuori, sul terrazzo,
e guardavo la luna. Il cielo, visto da casa mia, è una volta limpida
che nelle notti d'inverno diventa quasi argenteo. Il freddo mi
costringeva sempre a rientrare quasi immediatamente. Ho faticato
moltissimo a trovare la forza di sedermi al tavolo e scrivere quelle
pagine maledette. Le notti trascorse appesi ad un ghiacciaio non si
scordano facilmente. Perfino le pagine che scrivevo mi sembravano sapere
del ghiaccio che mi aveva strizzato le carni e congelato ciò che
rimaneva della mia anima. Uscito dalla nostra nicchia di fortuna dopo la
valanga, ero rimasto come assonnato per alcuni giorni. Il tempo sembrava
scavato nella neve ed aveva il peso cadente delle mani annerite dal
gelo. Subito dopo erano incominciate le cure, la riabilitazione, le
conversazioni più o meno faticose con le persone più vicine. Quello
che mi costava maggiore fatica era il ricordo di come era andata.
Riuscivo a mettere a fuoco alcuni particolari inutili: un chiodo che
riluceva quando il primo sole si affacciava sul bivacco scaldandolo con
il suo tepore, la sensazione di felicità violenta che mi saettava nel
sangue quando mangiavo un pezzo di salame appeso su di una cresta
conquistata senza sforzo cosciente, il rosso accecante della giacca di
Guido che mi saltava agli occhi non appena mi svegliavo
dall'intorpidimento nervoso che si prende in parete rinchiusi in un sacco di materiale sintetico appeso sul vuoto.
Poi il suono del rombo che mi aveva schiantato i timpani. Dopo, il
nulla. Non ricordavo più nulla se non un freddo terribile fatto di
mille scaglie affilate che mi penetravano nella carne mentre sentivo lo
schiocco deciso della corda che si spezzava di netto. Guido doveva aver
fatto un volo da aquila perché mi era letteralmente rovinato
addosso. Avevo subito uno strattone improvviso seguito da una cascata di
neve finissima. Alla fine di questa colata di neve c'era Guido, sotto
choc, con la sua giacca di gore-tex lacerata, ma debolmente vivo. Lo
avevo issato a forza, praticamente con un braccio soltanto, ed ero
riuscito a raggiungere una cengia rocciosa posta a qualche metro da noi.
Qui avevo impastato neve per un po' fino a modellare una minuscola tenda
di ghiaccio e neve capace di riscaldarci fino all'arrivo dei soccorsi.
Guido rantolava, si lamentava debolmente. Cercavo di riscaldarlo con il
mio corpo. Speravo che i soccorsi partissero al più presto. La slavina
era stata massiccia e l'urlo del soffio doveva essere stato udito a
notevole distanza. Non so come ma, all'interno della nostra culla di
ghiaccio, c'era un tepore palpabile. Cercavo di pensare alla vallata
sotto di noi. Immaginavo le case avvolte dal calore che le riscaldava
all'interno e pensavo all'avventura che mi stava consumando l'anima,
appeso lassù, sopra una cengia sottile, con il mio migliore amico
avvolto da un lenzuolo di ghiaccio. Così ci avevano trovati i soccorsi.
Eravamo tutti e due semi-assiderati ma vivi, impietriti dalla montagna
che ci aveva letteralmente urlato “via!” a quattromila metri di
altitudine. Quando Guido mi chiese di raccontare quelle ore in cui
eravamo rimasti sospesi sopra un orizzonte di ghiaccio, feci resistenza.
Avevo un grumo di ghiaccio e dolore conficcato nello stomaco. Si sciolse
alle prime pagine. Gettare sulla carta quella notte di cristallo mi servii
da tonico e come ricordo preciso dei sogni confusi che continuavo a
fare. I pinnacoli di ghiaccio cominciarono a popolare soltanto le mie
giornate e non più le mie notti.
Quando ho posto la parola fine al mio libro ho chiamato Guido: si è
impadronito di quelle pagine cariche di neve, non mi ha telefonato per
due giorni trascorsi nella sua casupola immersa negli abeti. Alla sera
del terzo giorno mi è arrivata un'e-mail sulla mia posta elettronica:
“All'uomo che mi ha strappato allo strazio del ghiaccio. Ogni tua
pagina è un fuoco per il cuore di tutti gli uomini che sono morti sulle
nostre montagne. Grazie amico mio”. Il libro ha venduto mille copie
soltanto in una settimana. In copertina ho voluto venisse ritratto un
ghiacciaio immenso con una fiammella lontana.
E' piaciuta anche quella.
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