Pensieri di un viaggio in Islanda
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di Giovanni Pagnoncelli | |
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Immaginatevi in un paese straniero, un paese in cui si parla una lingua a noi completamente incomprensibile, lontano per cultura, modi e stile di vita; un paese senza alberi e molti deserti, circondato da mari grigi e freddi in cui i prati si tingono di colore solo per il breve periodo estivo; un paese dove il vento è sempre teso, in cui la temperatura non supera mai i 18 gradi e il sole sosta all'orizzonte per svariate settimane l'anno. Ora immaginatevi di trovarvi in questo paese e viaggiare su un autobus che percorre una strada diritta e deserta, voi, il vostro amico e l'autista col quale non potete scambiare nemmeno una parola. Col vostro amico, è vero, potete discorrere, ma siete concentrati sul finestrino, non per scrutare ciò che c'è oltre il vetro, ma ciò che non c'è. Cercate di scorgere un qualcosa nel nulla, un'abitazione, un ruscello, un masso, qualsiasi cosa che spezzi la monotonia di un orizzonte bicromatico. Quando, di tanto in tanto, l'autobus arresta la propria corsa in corrispondenza di una stazione di servizio o di una traversa, osservate la gente, cercate di leggere dai loro occhi se almeno loro si sentono tranquilli, a casa. Da una piccola cittadina salgono dei bambini, è sabato e ritornano a casa dopo sei giorni di scuola. I bambini parlano, scherzano e ridono tra loro, proprio come i nostri. Gradualmente lasciano il torpedone; ci sono le mamme che li aspettano nelle auto, ripartono e spariscono nel nulla, lo stesso nulla da dove sono arrivate. Il mezzo è ritornato vuoto, non resta che rincollare il naso al finestrino. Immaginate ora che il tempo peggiori e che in pochi minuti si scateni una bufera con vento e neve fortissimi e che la visibilità si riduca a pochi metri; il centro abitato più vicino si trova a quaranta chilometri. Passato il peggio, l'autista vi scarica in un villaggio abitato solamente da un paio di famiglie; solo una persona vi viene incontro, un uomo sulla quarantina ma col viso già solcato da rughe che lasciano trasparire una vita non certo facile. Lui tenta di parlarvi e anche se non capite nulla, siete confortati dal fatto che si stia preoccupando di voi... e poi le brave persone si riconoscono a miglia di distanza. Vi fa capire che si chiama Ari, parla di una certa Maria quando capisce che siete italiani, chissà perché. Vi offre da dormire, un'intera guest-house con due bagni, cucina, sala da pranzo e ventidue posti letto tutti per voi. Ma dovete arrangiarvi con ciò che avete portato da casa, non ci sono bazar a portata di piede. Il prossimo autobus passerà fra tre giorni, quello dopo tra sei, meglio razionalizzare le provviste. L'effetto del conforto umano dura poco, e presto svanisce insieme a sogni di gloria che vi hanno spinto fin lassù. Vi trovate in quel villaggio perché voi e il vostro amico volete salire e discendere con gli sci la montagna più alta di quel paese, ma ciò che servono, ora, sono delle buone condizioni meteorologiche, delle dritte alpinistiche e un mezzo che vi porti fino all'inizio della salita. Il punto più agevole di attacco dista diversi chilometri e vi serve un passaggio. Dopo cena spiegate ad Ari con gesti e disegni ciò che vi serve. Il linguaggio delle scimmie funziona e l'appuntamento è per le sei del mattino seguente, ma solo se il cielo è sereno. Dalla carta topografica ci mostra indicativamente la linea di salita. Non deve essere difficile, ma sono oltre duemila metri di dislivello e i ghiacci della montagna che lambiscono l'Oceano sono insidiosi e paragonabili per estensione alla superficie della Corsica. Il tempo per effettuare la salita l'avete, ma non è questo il problema. Qualcosa vi afferra lo stomaco e non riuscite a distogliere i pensieri da tante preoccupazioni. Visto la situazione siete oramai rassegnati a trovarvi soli in diecimila chilometri quadrati di ghiaccio; l'unico che conosce la vostra destinazione è partito per la capitale il giorno stesso. Il suo ritorno? Boh, se avete capito bene, dopo tre o quattro giorni. Ma la sua famiglia che fine ha fatto? Avete visto in casa sua una foto che ritrae due biondissime bambine. Inutile spaccarvi la testa, la realtà di quel paese e della sua gente continua a rimanere per voi un mistero e l'unica e inutile distrazione, rimane il vostro obiettivo. Bisogna pensare solo a quello, anzi, forse è meglio non farlo. E' brutto ammetterlo, vi tormentate e torturate psicologicamente per non dare a vedere che rinuncereste ai sogni costruiti sulle carte e sui dépliant nel salotto di casa vostra. L'orgoglio è ciò che vi dà la forza per continuare a credere in quella salita. Anche quel sangue freddo che vi permette di superare il passaggio in arrampicata quando ve la fate addosso è di aiuto, ma sapete che nessuno verrà mai a cercarvi se succede qualcosa. E la dimostrazione che il tempo può cambiare repentinamente l'avete già avuta. Il mattino seguente il cielo dimostra lo stesso vostro entusiasmo. Ari parte, lasciandovi soli con la vostra montagna. Presi dalla voglia di parlarle per chiederle un solo giorno di bel tempo e di protezione, vi arrampicate sulle sue ripide pendici laviche fino ad un'elevazione che spazi il più possibile sui ghiacciai. E' lunga, ma forse si può partire anche direttamente dal villaggio. A settecento metri di quota la montagna vi respinge con vento, nebbia e neve. Cominciate a pensare che nemmeno lei sia dalla vostra parte e questo vi rende sempre più nervosi e a disagio. Vorreste urlare contro il vento ma siete in compagnia dell'amico al quale continuate a nascondere il vostro stato d'animo. Non volete ammettere la vostra debolezza psicologica e, tanto meno, che questo possa compromettere la vostra salita. Chissà se anche lui fa lo stesso. Ora immaginate di aver vissuto tutto questo e di trovarvi con la sola compagnia del vostro amico in vetta a quella montagna tanto desiderata. Il vento vi taglia la faccia da molte ore ma in quel momento non ci fate più caso, forse si è calmato, giusto il tempo per farvi sfilare il guanto e stringere per la rituale stretta di mano. Il sole splende limpidissimo a sud e si riflette nell'Oceano. A nord un deserto bianco copre l'orizzonte e non se ne vede la fine; sapete dalla carta che si estende in quella direzione per un centinaio di chilometri. Immaginate che, da sotto la maschera, vi cada una lacrima. Non sapete perché, ma lontana è l'idea di provare a trattenerla. Ora, potete scendere e cominciare a capire gli islandesi.
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Pasqua 1999 © giugno 2002 intraisass |
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Giovanni Pagnoncelli
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