Internet e alpinismo!

Divagazione semi-seria intorno a una conferenza-interferenza

(editoriale n°2)

 

di Alberto Peruffo

 

Scritto in occasione della prima conferenza internazionale "La montagna nella rete" - Trento, 4 maggio 2001

 

Ritornando ieri sera a casa da Trento, da solo, mentre guidavo, mi domandavo se valesse la pena scrivere qualcosa intorno alla conferenza da cui ero appena uscito, un po' confuso, ma pieno di idee e di propositi più o meno dialettici, forse polemici. Comunque riflettevo ed era già un buon segno. Qualcosa di positivo o negativo avevo in me. Bisognava ora decidere se approfondirlo in privato o pubblicamente. Ho deciso di riflettere pubblicamente, la ragione la scoprirete leggendo il seguito e se qualche mia parola potrà non piacere a qualcuno, non mi si perdoni, ma si legga piuttosto l'epigramma che compare (>) nella rubrica arancione di intraisass.it, dove le parole non compaiono mai per caso ma sono sempre collegate a qualche contenuto delle note.

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Premetto che alla conferenza ospitata in una delle sale multimediali dell'Università di Trento – “La montagna nella rete” – non avevo con me la macchina fotografica (la uso poco anche in montagna) ma c'erano talmente tanti personaggi famosi, storici, e molteplici facce parlanti di cui sarebbe un peccato non dipingere le fisionomie e i comportamenti per meglio intendere le loro parole, che per qualcuno mi proverò a spendere qualche parola di contorno. Mi avvarrò perciò della semplice scrittura, spesso biasimata a favore dell'immagine.

Pensate, non lungi da me, quattro sedie ad oriente, sedeva niente di meno che Kurt Diemberger, il grande alpinista austriaco e cineasta, mentre, più a nord, notavo con grande stupore la celebre barba di Cesare Maestri. Ma vedremo quant'altre figure. Quel che più conta è la conferenza e i personaggi che sono intervenuti al dibattito.

Dopo una breve prolusione e presentazione dei relatori, confinati nelle cattedre a loro dovute, da parte di Antonella Cicogna, avvolta in uno misterioso e pesante scialle, nero e adornato di sgargianti fiori, quasi a prevedere i temporali che si sarebbero abbattuti in seguito nella città trentina e purtroppo non nella sala (l'atteso dibattito non ci fu), dopo il canto della Cicogna (ormai alle ultime note dopo una settimana di festival) il moderatore della conferenza cominciava la sua impegnativa introduzione. Già, impegnativa. Bisogna dire che questo Marco Albino Ferrari la storia dell'alpinismo la sa, e anche bene come bene svolge il suo lavoro di direttore di Alp e che pure è un giovine a modo, di bella presenza, affascinante e longilineo anche nello sguardo, con una leggera capigliatura che si lascia accarezzare dolcemente dalle mani e da profondi pensieri, e il suo arrivare a internet attraverso la storia dell'alpinismo come una storia della conoscenza delle montagne attraverso l'immagine, dai primi disegni alle fotografie contemporanee fino all'immediatezza dell'informazione telematica, è stata una buona introduzione, degna di riflessione, niente di più. Ha fatto il suo dovere di portarci al centro del problema anche se ha appesantito il nostro cervello lasciandolo vagante alla ricerca di focalizzare il problema iconografico legato all'alpinismo.
Rifletteremo. Parola di un iconoclasta.

E' la volta di Livio Sposito, caporedattore al Sole 24 Ore, appassionato alpinista, tanto che la Cicogna ci faceva notare impudentemente la sua fresca abbronzatura, forse per ammonire il pubblico di non trovarsi di fronte a una personalità libresca, ma ad uno che la montagna la vive. Può darsi, il suo modo di parlare chiaro e limpido potrebbe anche averlo fatto indurre ai presenti, ma il contenuto delle sue parole non mi è parso tanto rilevante da depositarsi nella mia peccaminosa memoria (santo cielo, anche gli appunti non prendo mai!), quanto invece l'intervento successivo. 
Avete presente la faccia di un vigile urbano che quando ti dà la multa ha una fifa tremenda della tua reazione, al mio paese ne esiste uno, e di là della cattedra ieri pomeriggio ce n'era uno che pareva tale. Inanellato da un caschetto di capelli neri tenuti in sesto da un paio di occhiali retrò davanti a occhi scuri e pavidi, in un loquace spagnolo, il direttore ed editore di Desnivel, lanciatosi in rete per necessità di non perdere utenti alla sua rivista cartacea come stanno facendo un po' tutte le riviste classiche, ha detto la cosa più scontata che poteva uscire da una bocca del suo calibro: internet è un pericolo, c'è il rischio di plagio, c'è troppa informazione, spesso non controllata dai giornalisti “professionisti”, la rete può essere utile come un complemento alle riviste classiche dove non si può dare un'informazione immediata mediata (perdonate il gioco di parole, ma così mi pare d'aver inteso il senso, ossia immediata nel tempo e mediata da un giornalista professionista), ma mediata mediata (ibidem con variazione del primo termine) grazie alla quale si può approfondire gli argomenti con pacata e “mediata” riflessione. Non commento. Il dibattito si svolge su interventi intelligenti e provocanti non su ovvietà di parte, interessi parziali di natura economica e relative quisquiglie.

La parola è quindi passata al solare Gianluca Maspes che – con qualche difficoltà di ordine tecnico dovuta alla precaria multimedialità della sala – doveva dare una dimostrazione pratica di cosa è un sito internet legato all'alpinismo. E Maspes ne aveva ben due da presentare, quello “di lavoro” e il fantasmagorico sito individuale. Lasciatemelo dire senza mezzi termini, dopo la presentazione di Gianluca , specie del sito personale progettato con tecnologia d'avanguardia dove secondo il mio parere la troppa multimedialità cozza con i contenuti che si vogliono comunicare (è abbastanza inconsueto e poco utile voler associare musica alle lettere, al linguaggio parlato e scritto – a meno che non si voglia comporre una canzone – e distoglie il lettore dal contenuto del testo, prova ne è che anche nella tecnica cinematografica le musiche scompaiono o si dissolvono fin quasi al silenzio nel momento in cui gli attori parlano), la cosa che più mi ha impressionato di Gianluca sono stati gli avambracci. Sul serio, Maspes ha due avambracci che vederli roteare sulla tastiera devono sembrare come due mazze da baseball capovolte che picchiano palline da ping pong. Per il resto il suo sito di lavoro a me pare una buona idea, e presto capirete il perché.

Nel contempo delle fratture multimediali che bloccavano Maspes è intervenuta una docente universitaria che doveva istruirci sul decalogo inoppugnabile per costruire siti web. Mamma mia, non saprei da dove cominciare per spiegare ciò, ma vi basti sapere che ella aveva un tono di voce e un fare gestuale come quando si è seduti su una sedia bitorzoluta e che qualcosa spinga dal di dietro facendoci toccare le note sopra il pentagramma e per finire armeggiava con il microfono a destra e a manca che spesso le sue astratte e straniere parole ci sfuggivano, non vi dico i concetti. Conclusione: se il modello che la professoressa ci ha esposto dà come frutto il sito diretto dal simpatico e bravo Roberto Bombarda, borntowalk.com, che appunto non so se nato effettivamente dalla compartecipazione anche dell'università, dio ce ne voglia, pagine così confusionarie (nel senso letterale del termine, ovvero dove tutto è troppo fuso) e poco intelligibili anche graficamente, poche ne ho viste.

Prima o dopo la professoressa, non ricordo bene, è salito alle luci della ribalta – o meglio della cattedra – il “famoso” alpinista Mark Synnot (e chi lo conosce...), americano. Non ci voleva molto a intuirlo, anche senza che aprisse la bocca. S'intende, la sua fisionomia era talmente stereotipata, un bel ragazzo dalla faccia pacioccona e inespressiva, con mandibola quadrata, capelli neri a mezza via e spalle grosse, che quando gli si è data la parola nessuno si è stupito del suo modo di parlare, quasi fosse un mangianastri che una volta avviato sarebbe stato impossibile fermare. In sala si stava ormai per adagiarsi collettivamente al suolo (Alex Huber dormiva, Christoph Hainz dileguava a livello delle sedie) ipnotizzati dal circumnavigare su se stessa della mandibola americana... oh yeah! - quando il moderatore ha ribadito che Synnot ha avuto il merito di aver fatto tre spedizioni relazionandole continuamente con internet. Nell'ultima si è addirittura portato in parete il computer (che fesso! sembrava che aleggiasse nella mente di molti) dove gli arrivavano 300 e-mail al giorno (e chi ci crede) a cui per contratto con la Quokka americana doveva rispondere in modo individuale, ad ognuna di esse. Devo dirlo: lui alla fine ha desistito, ma bisogna essere proprio Scemi (la esse è maiuscola di proposito) solo per pensare ad un contratto del genere (non vi dico il firmarlo… e qualcuno – Ferrari – gli ha anche domandato come faceva a leggere e rispondere a tutte quelle e-mail alla fine di una giornata d'arrampicata). Da qui le perplessità su internet e sulla conseguente spettacolarizzazione dell'alpinismo. E come un puledro ribelle che fuoriesce dalla mandria chiusa in un angusto recinto, l'inesauribile Kurt Diemberger saltava fuori con il suo bell'italiano dall'accento germanico per spiegare di essersi trovato anche lui in una situazione del genere, due anni fa, durante una spedizione esplorativa. Dopo aver scoperto il corridoio per tanto tempo cercato, uno dei membri della spedizione gli ricordò che doveva subito scrivere qualcosa, le sue impressioni, alla Quokka di San Francisco, rovinandogli la bellezza del momento di essere da solo in un luogo ai confini del mondo. E' vero, anch'io, nella mia prima esperienza di alpinista esploratore l'anno scorso a Chiantar, posso capire queste perplessità. Si rischia di rovinare ed inquinare la bellezza del momento esplorativo, o dell'azione stessa che stiamo compiendo in parete, o di eliminare la lontananza. Il discorso è complesso, ma mi sento di affrontarlo, perlomeno di introdurlo, con alcune brevi riflessioni.

Internet è uno strumento straordinario per la comunicazione tra gli individui e in certe sue forme lo si può usare, come altri mass-media, per fare spettacolo, per mostrare a molti spettatori il contenuto di una tua azione privata nel momento stesso del suo svolgersi. E' come fare l'amore in pubblico (diceva il giornalista Cassarà nel suo intervento polemico), vendere un tuo momento intimo che come tale sembra un atto di prostituzione nei confronti del pubblico pagante (gli sponsor) e vociante (tutti gli altri). Ma si sa, internet, come tutti gli strumenti, si può usare bene e male. A sera, nel giorno che più ti aggrada, quando si ha voglia e si è predisposti a comunicare, raccontare agli amici di aver fatto l'amore con una bella ragazza, confidare i modi del tuo corteggiare e le difficoltà che hai superato per raggiungere il suo cuore (la cima), coinvolge, emoziona, amplifica il tuo sentire solo nell'atto del comunicarlo ad altre persone che hanno la tua stessa passione. Naturalmente bisogna saperlo fare. Io, ogni qualvolta apro la posta elettronica e vedo che c'è un messaggio dai 5550 metri del campo base avanzato del Makalu, apro quella posta con trepidazione e mi
com-muovo (mi muovo insieme) provando emozioni di natura simile a quelle che i miei amici stanno vivendo nelle grandi montagne del mondo. E con me aprono le pagine con partecipazione e trepidazione centinaia di persone che stanno seguendo gli stessi, familiari, genitori, figli, madri, conoscenti, compaesani, concittadini, connazionali, oltre a tutti gli alpinisti che condividono la medesima passione. Ma non vi rendete conto che internet sta avvicinando all'alpinismo persone che prima manco sapevano che cosa fosse una corda e un paio di ramponi. Di ritorno dalla mia esplorazione in Pakistan sono stato fermato da conoscenti, il fornaio, il figlio del mio amico lattaio, il cugino di mia suocera, che avevano letto le nostre pagine e ne erano rimasti tutti entusiasti e compartecipi. “Lo sai, ci pareva di essere là con voi. Grazie per averci scritto”. Le pagine dei giornali della mia provincia invece tingevano con le solite tinte oscure ed eroiche la nostra avventura, dove di eroico non c'era nulla se non l'aver chiesto ed ottenuto il permesso dal proprio datore di lavoro, dalla moglie e l'aver considerato seriamente ed accettato la remota possibilità di non poter rivedere mai più i propri figli, i propri cari. Ecco, internet secondo me sta rivitalizzando l'alpinismo più genuino che la stampa generale ha dimenticato del tutto e che la stampa specializzata ha obnubilato parlando solo degli alpinisti ai vertici non solo delle loro imprese, ma pure degli interessi che legano i grossi sponsor alle riviste di nicchia. E voi, direttori e giornalisti delle grandi riviste volete portarcelo via, magari con delle joint-venture che ben conosciamo, voi legislatori che avete voluto fare una legge contro l'informazione indiscriminata in internet a favore del giornalismo. Io rispetto il giornalismo, ma non pensate che alpinisti, arrampicatori e chicchessia, in piena attività e che conoscono ogni cosa del loro mondo e delle ultime imprese non siano persone competenti per lanciare un'informazione in rete con molta più competenza di un giornalista che non vive le cose, non pensate che un Maspes o un Andrea Gennari Daneri che conoscono molto bene la cronaca di ciò che loro stessi praticano con passione non siano persone atte a tenere in mano una testata telematica o una rivista di alpinismo alternativa. E, al pari di questi, le centinaia di persone che frequentano con conoscenza di causa e lungimiranza la rete. Noi alpinisti praticanti non vogliamo scrivere la storia, lo facciano i giornalisti e gli storici a posteriori, a noi interessa farla, e per questo abbiamo bisogno di comunicare. Così qualcuno ha obbiettato la non verificabilità dell'informazione in rete perché troppi parlano e scrivono. Falso: è sempre qualcuno che scrive con un certo nome e cognome, ed una selezione naturale senza il bisogno di un terzo (giornalista o giudice che sia, i quali anche loro raccolgono le notizie in base alla credibilità dell'alpinista che funge da fonte) agirà ad eliminare quelle fonti che si riveleranno poco attendibili e inverosimili. Poi, con il tempo, i giornalisti vaglieranno, selezioneranno, valuteranno i fatti per i loro giornali e gli storici scriveranno i loro libri di storia.

Altro problema sollevato da un redivivo alpinista presente in sala, l 'asso francese Christophe Profit, timido e ridondante nel “spiegare quel che voleva spiegare”, è quello della possibile rottura della lontananza e della relativa magia che si creano nell'isolamento delle grandi montagne (lui intanto si è fatto riprendere ogni mossa di molte sue precedenti imprese, obbiettava prontamente Ferrari). Anche qui un fondo di verità c'è. Il comunicare con casa può rompere quell'atmosfera di distacco che si genera nelle spedizioni e sentire la voce del proprio figlio e della propria moglie, preoccupati e lontani, può distogliere dall'obiettivo alpinistico. Può essere, ma non tutti siamo Christophe, e molti possono trovare giovamento e carica da una voce amica, come - d'altra parte e controprova di quanto detto dal francese - il sentire quelle voci può amplificare forse ancora di più la lontananza (e forse anche non dimenticarti la tua “umanità”), poiché sai da dove arriva quella voce e che essa non può fare assolutamente niente per te nel caso ti succeda qualcosa. E' un tema delicato, sollevato anche da Renzo Debertolis, capospedizione della spedizione Dhaulagiri 1976. Penso che se le comunicazioni satellitari si fermassero al campo base e la comunicazione internet non fosse altro che un'estensione verso casa di quella che si fa dai campi alti verso il base (e non la  similitudine di una denudante diretta televisiva paventata da Cassarà. Anzi, riprendendo la suggestione introduttiva di Ferrari io arrischio - qui tra parentesi - che sarà proprio l'esasperazione dell'immagine, analogica o digitale che sia, in diretta o differita, a distruggere il sogno alpinistico, non la scrittura!), detta estensione - dicevo - non toglierebbe il senso di lontananza e di magia, bensì questo sentimento potrebbe essere amplificato dal percepire ancora di più quanto siano distanti i messaggi che arrivano attraverso internet. E' questione di scegliere se si vuole o no raccontare la propria avventura, sentire una voce vicina, altrimenti si può tranquillamente dimenticare o spegnere la radio e il computer, o addirittura farne a meno.
La lontananza e la magia la vedo invece perduta nelle vie normali agli 8000 dove si affollano decine di spedizioni e dove sai che puoi contare sulla comunicazione e sull'aiuto del tuo più prossimo vicino di accampamento, dove le piste di ascensione sono spesso battute e incrostate di corde fisse. Come anche vedo molto più artificio e spettacolarizzazione in quelle azioni alpinistiche dove si vuole riprodurre attraverso la cinematografia e la fotografia le azioni che dopo si vogliono far passare per imprese solitarie od epiche con l'operatore che gira o fotografa a pochi metri dall'alpinista. Comunicare le tue emozioni e le tue azioni a posteriori dopo averle appena vissute e con la giusta predisposizione d'animo al racconto (e non per necessità dovuta di comunicare) è una forma particolare del raccontare, farsi fotografare o riprendere per comunicare subito o a posteriori (nelle sale di un cinema o nelle pagine di un giornale) la tua azione è invece spettacolo. Dunque, per chi ama il racconto, io vedo in internet la nascita di una nuova e particolare forma del raccontare, la nascita di un libro, di un reportage in diretta (e questo scritto è un esempio – anche se sarà pubblicato lunedì) dove colui che racconta  imprime nel testo le sue impressioni fresche e immediate, senza la mediazione del pensiero censorio che ognuno di noi possiede quando redige a posteriori, a casa, un taccuino di viaggio. Una nuova forma di letteratura, immediata, più rischiosa e per certi aspetti molto affascinante. Le news di Chiantar sono un esempio.

Per concludere queste iniziali riflessioni nate dalla conferenza di ieri pomeriggio, ricordo l'intervento del pacato e gentile Maurizio Oviglia, l'alpinista e arrampicatore che ha rivalutato la Sardegna, che sembra aver bene inteso la differenza tra l'informazione diretta che ci offre internet e l'informazione mediata che è prerogativa della carta stampata dove non è conveniente errare. Maurizio ha parlato di complementarità, di livelli diversi d'informazione che possono coabitare nel vasto mondo dell'informazione e dove io ritengo non sia giusta la volontà di interferire ad ogni costo - da parte di chi ha la citata prerogativa - con la libertà di comunicazione che lascia ad ognuno di noi la rete informatica. Io invito gli alpinisti ad appropriarsi per quella parte che gli è propria (quella della libera comunicazione senza ingerenze, mediazione di terzi) di questa grande opportunità che è internet, opportunità che può permettere a tutti noi di farsi sentire, vedere, e di poter conseguentemente finanziare i nostri sogni senza l'avvallamento dei consueti giri commerciali imposti dalle grandi case editrici. Borntowalk Award è stato assegnato come prevedibile a Planetmountain.com, ma mi ha fatto intimamente irrigidire lo stomaco la convenienza del discorso del suo direttore in linea con i detrattori di internet pro spedizioni. “Anche noi non abbiamo una idea ben chiara in proposito del rapporto internet-spedizioni, tanto che la spedizione al Makalu la seguiamo in punta di piedi”. Sarà, ma dedicare un quasi sito all'interno della rivista premiata non mi sembra tanto il declamato punta di piedi (e neppure il volere un aggiornamento continuo da parte mia e l'inviare newsletters periodiche), ma piuttosto una scappatoia per non aver potuto accaparrarsi l'esclusiva della spedizione che porta con sé un sacco di sponsor non più gestibili dalle riviste di settore, ma dalla spedizione in proprio, e – non ultimo – un'enormità di visite (12000 hits per quasi 700 contatti nella giornata di giovedì 3 maggio mentre gli alpinisti erano appena al campo 2! Per darvi un riferimento mi pare che una rivista di tutto rispetto come Pareti On Line aveva un record che si aggirava tra i 6-7000 hits qualche tempo fa1 e che Planetmountain giri sui 20000 hits, e sono riviste, quest'ultima con centinaia di pagina da battere, to hit). Ed è una vergogna (e forse non spetta a me dirlo perché sono il gestore del sito, ma lo dico lo stesso) che nella conferenza di ieri si è parlato tanto, si sono mostrati e promossi alcuni siti, ma non si è neanche trovato un misero minuto per mostrare uno dei pochi esempi che avrebbero sintetizzato l'argomento della conferenza: internet e alpinismo. Sono le ore cinque e minuti x,  ha detto Ferrari, e la conferenza si è chiusa.

Lo ribadisco: a noi alpinisti la storia non interessa scriverla sui giornali e nei libri, ma farla, e per fare questo noi abbiamo bisogno di comunicare, di raccontarci le nostre storie,  di scrivere per noi stessi, senza interferenze. Lasciateci internet!


Alberto Peruffo
sabato 5 maggio 2001

 

P.S. Cari amici di it.sport.montagna: si è (io, noi, voi) deciso di chiudere il forum di intraisass. Non serve. E' inutile tenere aperti troppi forum e perdere tempo andando a leggere i forum delle varie riviste, compresi gli ultimi nati. Solo uno deve essere il forum della montagna a cui fare riferimento: da oggi intraisass si riferirà solamente al gruppo di discussione di it.sport.montagna – http://www.mailgate.it/it/it.sport.montagna/index.html  - dove noi tutti possiamo e dobbiamo incontrarci liberamente. Naturalmente per parlare di montagna e alpinismo. Per il resto ci rivolgeremo altrove.

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1. Tali dati sono indicativi e si riferiscono a una decina di mesi fa, quando comparve l'ultima statistica della rivista che io ricordi. Lo stesso vale per l'esempio successivo. Comunque sia,  la redazione di Pareti mi ha mandato puntualmente le ultime statistiche dove nei primi di maggio si sono superati i 20000 hits.

 

 

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