Ritornando ieri sera a casa da
Trento, da solo, mentre guidavo, mi domandavo se valesse la pena scrivere qualcosa intorno alla conferenza da cui ero appena uscito, un
po' confuso, ma pieno di idee e di propositi più o meno dialettici,
forse polemici. Comunque riflettevo ed era già un buon segno. Qualcosa
di positivo o negativo avevo in me. Bisognava ora decidere se
approfondirlo in privato o pubblicamente. Ho deciso di riflettere
pubblicamente, la ragione la scoprirete leggendo il seguito e se qualche
mia parola potrà non piacere a qualcuno, non mi si perdoni, ma si legga
piuttosto l'epigramma che compare (>)
nella rubrica arancione di
intraisass.it, dove le parole non compaiono mai per caso ma sono sempre
collegate a qualche contenuto
delle note.
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Premetto che alla conferenza ospitata in una delle sale multimediali
dell'Università di Trento – “La montagna nella rete” – non
avevo con me la macchina fotografica (la uso poco anche in montagna) ma
c'erano talmente tanti personaggi famosi, storici, e molteplici facce
parlanti di cui sarebbe un peccato non dipingere le fisionomie e i
comportamenti per meglio intendere le loro parole, che per qualcuno mi
proverò a spendere qualche parola di contorno. Mi avvarrò perciò
della semplice scrittura, spesso biasimata a favore dell'immagine.
Pensate, non lungi da me, quattro sedie ad oriente, sedeva niente di
meno che Kurt Diemberger, il grande alpinista austriaco e cineasta,
mentre, più a nord, notavo con grande stupore la celebre barba di
Cesare Maestri. Ma vedremo quant'altre figure. Quel che più conta è la
conferenza e i personaggi che sono intervenuti al dibattito.
Dopo una breve prolusione e presentazione dei relatori, confinati nelle
cattedre a loro dovute, da parte di Antonella Cicogna, avvolta in uno
misterioso e pesante scialle, nero e adornato di sgargianti fiori, quasi
a prevedere i temporali che si sarebbero abbattuti in seguito nella città
trentina e purtroppo non nella sala (l'atteso dibattito non ci fu), dopo
il canto della Cicogna (ormai alle ultime note dopo una settimana di
festival) il moderatore della conferenza cominciava la sua impegnativa
introduzione. Già, impegnativa. Bisogna dire che questo Marco Albino
Ferrari la storia dell'alpinismo la sa, e anche bene come bene svolge il
suo lavoro di direttore di Alp e che pure è un giovine a modo, di bella
presenza, affascinante e longilineo anche nello sguardo, con una leggera
capigliatura che si lascia accarezzare dolcemente dalle mani e da
profondi pensieri, e il suo arrivare a internet attraverso la storia
dell'alpinismo come una storia della conoscenza delle montagne
attraverso l'immagine, dai primi disegni alle fotografie contemporanee
fino all'immediatezza dell'informazione telematica, è stata una buona
introduzione, degna di riflessione, niente di più. Ha fatto il suo
dovere di portarci al centro del problema anche se ha appesantito il
nostro cervello lasciandolo vagante alla ricerca di focalizzare il
problema iconografico legato all'alpinismo.
Rifletteremo. Parola di un iconoclasta.
E' la volta di Livio Sposito, caporedattore al Sole 24 Ore, appassionato
alpinista, tanto che la Cicogna ci faceva notare impudentemente la sua
fresca abbronzatura, forse per ammonire il pubblico di non trovarsi di
fronte a una personalità libresca, ma ad uno che la montagna la vive.
Può darsi, il suo modo di parlare chiaro e limpido potrebbe anche
averlo fatto indurre ai presenti, ma il contenuto delle sue parole non
mi è parso tanto rilevante da depositarsi nella mia peccaminosa memoria
(santo cielo, anche gli appunti non prendo mai!), quanto invece l'intervento
successivo.
Avete presente la faccia di un vigile urbano che quando ti dà la multa
ha una fifa tremenda della tua reazione, al mio paese ne esiste uno, e
di là della cattedra ieri pomeriggio ce n'era uno che pareva tale.
Inanellato da un caschetto di capelli neri tenuti in sesto da un paio di
occhiali retrò davanti a occhi scuri e pavidi, in un loquace spagnolo,
il direttore ed editore di Desnivel, lanciatosi in rete per necessità
di non perdere utenti alla sua rivista cartacea come stanno facendo un
po' tutte le riviste classiche, ha detto la cosa più scontata che
poteva uscire da una bocca del suo calibro: internet è un pericolo,
c'è il rischio di plagio, c'è troppa informazione, spesso non
controllata dai giornalisti “professionisti”, la rete può essere
utile come un complemento alle riviste classiche dove non si può dare
un'informazione immediata mediata (perdonate il gioco di parole, ma così
mi pare d'aver inteso il senso, ossia immediata nel tempo e mediata da
un giornalista professionista), ma mediata mediata (ibidem con
variazione del primo termine) grazie alla quale si può approfondire gli
argomenti con pacata e “mediata” riflessione. Non commento. Il
dibattito si svolge su interventi intelligenti e provocanti non su
ovvietà di parte, interessi parziali di natura economica e relative
quisquiglie.
La parola è quindi passata al solare Gianluca Maspes che – con
qualche difficoltà di ordine tecnico dovuta alla precaria multimedialità
della sala – doveva dare una dimostrazione pratica di cosa è un sito
internet legato all'alpinismo. E Maspes ne aveva ben due da presentare,
quello “di lavoro” e il fantasmagorico sito individuale.
Lasciatemelo dire senza mezzi termini, dopo la presentazione di Gianluca
, specie del sito personale progettato con tecnologia d'avanguardia dove
secondo il mio parere la troppa multimedialità cozza con i contenuti
che si vogliono comunicare (è abbastanza inconsueto e poco utile voler
associare musica alle lettere, al linguaggio parlato e scritto – a
meno che non si voglia comporre una canzone – e distoglie il lettore
dal contenuto del testo, prova ne è che anche nella tecnica
cinematografica le musiche scompaiono o si dissolvono fin quasi al
silenzio nel momento in cui gli attori parlano), la cosa che più mi ha
impressionato di Gianluca sono stati gli avambracci. Sul serio, Maspes
ha due avambracci che vederli roteare sulla tastiera devono sembrare
come due mazze da baseball capovolte che picchiano palline da ping pong.
Per il resto il suo sito di lavoro a me pare una buona idea, e presto
capirete il perché.
Nel contempo delle fratture multimediali che bloccavano Maspes è
intervenuta una docente universitaria che doveva istruirci sul decalogo
inoppugnabile per costruire siti web. Mamma mia, non saprei da dove
cominciare per spiegare ciò, ma vi basti sapere che ella aveva un tono
di voce e un fare gestuale come quando si è seduti su una sedia
bitorzoluta e che qualcosa spinga dal di dietro facendoci toccare le
note sopra il pentagramma e per finire armeggiava con il microfono a
destra e a manca che spesso le sue astratte e straniere parole ci
sfuggivano, non vi dico i concetti. Conclusione: se il modello che la
professoressa ci ha esposto dà come frutto il sito diretto dal
simpatico e bravo Roberto Bombarda, borntowalk.com, che appunto non so
se nato effettivamente dalla compartecipazione anche dell'università,
dio ce ne voglia, pagine così confusionarie (nel senso letterale del
termine, ovvero dove tutto è troppo fuso) e poco intelligibili anche
graficamente, poche ne ho viste.
Prima o dopo la professoressa, non ricordo bene, è salito alle luci
della ribalta – o meglio della cattedra – il “famoso” alpinista
Mark Synnot (e chi lo conosce...), americano. Non ci voleva molto a
intuirlo, anche senza che aprisse la bocca. S'intende, la sua fisionomia
era talmente stereotipata, un bel ragazzo dalla faccia pacioccona e
inespressiva, con mandibola quadrata, capelli neri a mezza via e spalle
grosse, che quando gli si è data la parola nessuno si è stupito del
suo modo di parlare, quasi fosse un mangianastri che una volta avviato
sarebbe stato impossibile fermare. In sala si stava ormai per adagiarsi
collettivamente al suolo (Alex Huber dormiva, Christoph Hainz dileguava
a livello delle sedie) ipnotizzati dal circumnavigare su se stessa della
mandibola americana... oh yeah! - quando il moderatore ha ribadito che
Synnot ha avuto il merito di aver fatto tre spedizioni relazionandole
continuamente con internet. Nell'ultima si è addirittura portato in
parete il computer (che fesso! sembrava che aleggiasse nella mente di
molti) dove gli arrivavano 300 e-mail al giorno (e chi ci crede) a cui per
contratto con la Quokka americana doveva rispondere in modo individuale,
ad ognuna di esse. Devo dirlo: lui alla fine ha desistito, ma bisogna
essere proprio Scemi (la esse è maiuscola di proposito) solo per
pensare ad un contratto del genere (non vi dico il firmarlo… e
qualcuno – Ferrari – gli ha anche domandato come faceva a leggere e
rispondere a tutte quelle e-mail alla fine di una giornata d'arrampicata).
Da qui le perplessità su internet e sulla conseguente
spettacolarizzazione dell'alpinismo. E come un puledro ribelle che
fuoriesce dalla mandria chiusa in un angusto recinto, l'inesauribile
Kurt Diemberger saltava fuori con il suo bell'italiano dall'accento
germanico per spiegare di essersi trovato anche lui in una situazione
del genere, due anni fa, durante una spedizione esplorativa. Dopo aver
scoperto il corridoio per tanto tempo cercato, uno dei membri della
spedizione gli ricordò che doveva subito scrivere qualcosa, le sue
impressioni, alla Quokka di San Francisco, rovinandogli la bellezza del
momento di essere da solo in un luogo ai confini del mondo. E' vero,
anch'io, nella mia prima esperienza di alpinista esploratore l'anno
scorso a Chiantar, posso capire queste perplessità. Si rischia di
rovinare ed inquinare la bellezza del momento esplorativo, o dell'azione
stessa che stiamo compiendo in parete, o di eliminare la lontananza. Il
discorso è complesso, ma mi sento di affrontarlo, perlomeno di
introdurlo, con alcune brevi riflessioni.
Internet è uno strumento
straordinario per la comunicazione tra gli individui e in certe sue
forme lo si può usare, come altri mass-media, per fare spettacolo, per
mostrare a molti spettatori il contenuto di una tua azione privata nel
momento stesso del suo svolgersi. E' come fare l'amore in pubblico (diceva
il giornalista Cassarà nel suo intervento polemico), vendere un tuo
momento intimo che come tale sembra un atto di prostituzione nei
confronti del pubblico pagante (gli sponsor) e vociante (tutti gli
altri). Ma si sa, internet, come tutti gli strumenti, si può usare bene
e male. A sera, nel giorno che più ti aggrada, quando si ha voglia e si
è predisposti a comunicare, raccontare agli amici di aver fatto l'amore
con una bella ragazza, confidare i modi del tuo corteggiare e le
difficoltà che hai superato per raggiungere il suo cuore (la cima),
coinvolge, emoziona, amplifica il tuo sentire solo nell'atto del
comunicarlo ad altre persone che hanno la tua stessa passione.
Naturalmente bisogna saperlo fare. Io, ogni qualvolta apro la posta
elettronica e vedo che c'è un messaggio dai 5550 metri del campo base
avanzato del Makalu, apro quella posta con trepidazione e mi
com-muovo (mi
muovo insieme) provando emozioni di natura simile a quelle che i miei
amici stanno vivendo nelle grandi montagne del mondo. E con me aprono le
pagine con partecipazione e trepidazione centinaia di persone che stanno
seguendo gli stessi, familiari, genitori, figli, madri, conoscenti,
compaesani, concittadini, connazionali, oltre a tutti gli alpinisti che
condividono la medesima passione. Ma non vi rendete conto che internet sta
avvicinando all'alpinismo persone che prima manco sapevano che cosa
fosse una corda e un paio di ramponi. Di ritorno dalla mia esplorazione
in Pakistan sono stato fermato da conoscenti, il fornaio, il figlio del
mio amico lattaio, il cugino di mia suocera,
che avevano letto le nostre pagine e ne erano rimasti tutti
entusiasti e compartecipi. “Lo sai, ci pareva di essere là con voi.
Grazie per averci scritto”. Le pagine dei giornali della mia provincia
invece tingevano con le solite tinte oscure ed eroiche la nostra
avventura, dove di eroico non c'era nulla se non l'aver chiesto ed
ottenuto il permesso dal proprio datore di lavoro, dalla moglie e l'aver
considerato seriamente ed accettato la remota possibilità di non poter
rivedere mai più i propri figli, i propri cari. Ecco, internet secondo
me sta rivitalizzando l'alpinismo più genuino che la stampa generale ha
dimenticato del tutto e che la stampa specializzata ha obnubilato
parlando solo degli alpinisti ai vertici non solo delle loro imprese, ma
pure degli interessi che legano i grossi sponsor alle riviste di
nicchia. E voi, direttori e giornalisti delle grandi riviste volete
portarcelo via, magari con delle joint-venture che ben conosciamo, voi
legislatori che avete voluto fare una legge contro l'informazione
indiscriminata in internet a favore del giornalismo. Io rispetto il
giornalismo, ma non pensate che alpinisti, arrampicatori e chicchessia,
in piena attività e che conoscono ogni cosa del loro mondo e delle
ultime imprese non siano persone competenti per lanciare un'informazione
in rete con molta più competenza di un giornalista che non vive le
cose, non pensate che un Maspes o un Andrea Gennari Daneri che conoscono
molto bene la cronaca di ciò che loro stessi praticano con passione non
siano persone atte a tenere in mano una testata telematica o una rivista
di alpinismo alternativa. E, al pari di questi, le centinaia di persone
che frequentano con conoscenza di causa e lungimiranza la rete. Noi
alpinisti praticanti non vogliamo scrivere la storia, lo facciano i
giornalisti e gli storici a posteriori, a noi interessa farla, e per
questo abbiamo bisogno di comunicare. Così qualcuno ha obbiettato la
non verificabilità dell'informazione in rete perché troppi parlano e
scrivono. Falso: è sempre qualcuno che scrive con un certo nome e
cognome, ed una selezione naturale senza il bisogno di un terzo
(giornalista o giudice che sia, i quali anche loro raccolgono le notizie
in base alla credibilità dell'alpinista che funge da fonte) agirà ad
eliminare quelle fonti che si riveleranno poco attendibili e
inverosimili. Poi, con il tempo, i giornalisti vaglieranno,
selezioneranno, valuteranno i fatti per i loro giornali e gli storici
scriveranno i loro libri di storia.
Altro problema sollevato da un
redivivo alpinista presente in sala, l 'asso francese Christophe Profit,
timido e ridondante nel “spiegare quel che voleva spiegare”, è
quello della possibile rottura della lontananza
e della relativa magia che si creano nell'isolamento delle grandi
montagne (lui intanto si è fatto riprendere ogni mossa di molte sue
precedenti imprese, obbiettava prontamente Ferrari). Anche qui un fondo
di verità c'è. Il comunicare con casa può rompere quell'atmosfera di
distacco che si genera nelle spedizioni e sentire la voce del proprio
figlio e della propria moglie, preoccupati e lontani, può distogliere
dall'obiettivo alpinistico. Può essere, ma non tutti siamo Christophe,
e molti possono trovare giovamento e carica da una voce amica, come
- d'altra parte e controprova di quanto detto dal francese - il
sentire quelle voci può amplificare forse ancora di più la lontananza
(e forse anche non dimenticarti la tua “umanità”), poiché sai da
dove arriva quella voce e che essa non può fare assolutamente niente
per te nel caso ti succeda qualcosa. E' un tema delicato, sollevato
anche da Renzo Debertolis, capospedizione della spedizione Dhaulagiri
1976. Penso che se le comunicazioni satellitari si fermassero al campo
base e la comunicazione internet non fosse altro che un'estensione verso
casa di quella che si fa dai campi alti verso il base (e non la
similitudine di una denudante diretta televisiva paventata da Cassarà.
Anzi, riprendendo la suggestione introduttiva di Ferrari io arrischio -
qui tra parentesi - che sarà proprio l'esasperazione dell'immagine,
analogica o digitale che sia, in diretta o differita, a distruggere il
sogno alpinistico, non la scrittura!), detta estensione - dicevo - non
toglierebbe il senso di lontananza e di magia, bensì questo sentimento potrebbe essere
amplificato dal percepire ancora di più quanto siano distanti i
messaggi che arrivano attraverso internet. E' questione di scegliere se
si vuole o no raccontare la propria avventura, sentire una voce vicina,
altrimenti si può tranquillamente dimenticare o spegnere la radio e il
computer, o
addirittura farne a meno.
La lontananza e la magia la vedo invece
perduta nelle vie normali agli 8000 dove si affollano decine di
spedizioni e dove sai che puoi contare sulla comunicazione e sull'aiuto
del tuo più prossimo vicino di accampamento, dove le piste di
ascensione sono spesso battute e incrostate di corde fisse. Come anche
vedo molto più artificio e spettacolarizzazione in quelle azioni
alpinistiche dove si vuole riprodurre attraverso la cinematografia e la
fotografia le azioni che dopo si vogliono far passare per imprese
solitarie od epiche con l'operatore che gira o fotografa a pochi metri
dall'alpinista. Comunicare le tue emozioni e le tue azioni a posteriori
dopo averle appena vissute e con la giusta predisposizione d'animo al
racconto (e non per necessità dovuta di comunicare) è una forma
particolare del raccontare, farsi fotografare o riprendere per
comunicare subito o a posteriori
(nelle sale di un cinema o nelle pagine di un giornale) la tua azione è
invece spettacolo. Dunque, per chi ama il racconto, io vedo in internet
la nascita di una nuova e particolare forma del raccontare, la nascita
di un libro, di un reportage in diretta (e questo scritto è un esempio
– anche se sarà pubblicato lunedì) dove colui che racconta imprime nel testo le sue impressioni fresche e immediate,
senza la mediazione del pensiero censorio che ognuno di noi possiede quando redige a posteriori, a casa, un taccuino di viaggio.
Una nuova forma di letteratura, immediata, più rischiosa e per certi
aspetti molto affascinante. Le news di Chiantar sono un esempio.
Per concludere queste iniziali
riflessioni nate dalla conferenza di ieri pomeriggio, ricordo l'intervento
del pacato e gentile Maurizio Oviglia, l'alpinista e arrampicatore che
ha rivalutato la Sardegna, che sembra aver bene inteso la differenza tra
l'informazione diretta che ci offre internet e l'informazione mediata
che è prerogativa della carta stampata dove non è conveniente errare.
Maurizio ha parlato di complementarità, di livelli diversi d'informazione
che possono coabitare nel vasto mondo dell'informazione e dove io
ritengo non sia giusta la volontà di interferire ad ogni costo - da
parte di chi ha la citata prerogativa - con la libertà di comunicazione
che lascia ad ognuno di noi la rete informatica. Io invito gli alpinisti
ad appropriarsi per quella parte che gli è propria (quella della libera
comunicazione senza ingerenze, mediazione di terzi) di questa grande
opportunità che è internet, opportunità che può permettere a tutti
noi di farsi sentire, vedere, e di poter conseguentemente finanziare i
nostri sogni senza l'avvallamento dei consueti giri commerciali imposti
dalle grandi case editrici. Borntowalk Award è stato assegnato come
prevedibile a Planetmountain.com, ma mi ha fatto intimamente irrigidire
lo stomaco la convenienza del discorso del suo direttore in linea con i
detrattori di internet pro spedizioni. “Anche noi non abbiamo una idea
ben chiara in proposito del rapporto internet-spedizioni, tanto che la
spedizione al Makalu la seguiamo in punta di piedi”. Sarà, ma
dedicare un quasi sito all'interno della rivista premiata non mi sembra
tanto il declamato punta di piedi (e neppure il volere un aggiornamento
continuo da parte mia e l'inviare newsletters periodiche), ma piuttosto una scappatoia per non aver potuto
accaparrarsi l'esclusiva della spedizione che porta con sé un sacco di
sponsor non più gestibili dalle riviste di settore, ma dalla spedizione
in proprio, e – non ultimo – un'enormità di visite (12000 hits per
quasi 700 contatti nella giornata di giovedì 3 maggio mentre gli
alpinisti erano appena al campo 2! Per darvi un riferimento mi pare che
una rivista di tutto rispetto come Pareti On Line aveva un record che si
aggirava tra i 6-7000 hits qualche tempo fa1 e che Planetmountain giri
sui 20000 hits, e sono riviste, quest'ultima con centinaia di pagina da
battere, to hit). Ed è una vergogna (e forse non spetta a me
dirlo perché sono il gestore del sito, ma lo dico lo stesso) che nella
conferenza di ieri si è parlato tanto, si sono mostrati e promossi
alcuni siti, ma non si è neanche trovato un misero minuto per mostrare
uno dei pochi esempi che avrebbero sintetizzato l'argomento della
conferenza: internet e alpinismo. Sono le ore cinque e minuti x,
ha detto Ferrari, e la conferenza si è chiusa.
Lo ribadisco: a noi
alpinisti la storia non interessa scriverla sui giornali e nei
libri, ma farla, e per fare questo noi abbiamo bisogno di comunicare, di
raccontarci le nostre storie, di
scrivere per noi stessi, senza interferenze. Lasciateci internet!
Alberto Peruffo
sabato 5 maggio 2001
P.S. Cari amici di
it.sport.montagna: si è (io, noi, voi) deciso di chiudere il forum di
intraisass. Non serve. E' inutile tenere aperti troppi forum e perdere
tempo andando a leggere i forum delle varie riviste, compresi gli ultimi
nati. Solo uno deve essere il forum della montagna a
cui fare riferimento: da oggi intraisass si riferirà solamente al
gruppo di discussione di it.sport.montagna – http://www.mailgate.it/it/it.sport.montagna/index.html
- dove noi tutti possiamo e dobbiamo incontrarci liberamente.
Naturalmente per parlare di montagna e alpinismo. Per il resto ci
rivolgeremo altrove.
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