In alto dove sovrastano le nubi
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testo di
Stefano Fregonese immagini di Alessandro Visentin |
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![]() Alessandro Visentin, Spigolo Giallo, 2000 (collezione privata) |
La via è il racconto. |
Triglav La prima volta arriva al Triglav in bicicletta da Francoforte. A trent'anni dalla cima lo sguardo spazia senza fine, oltre l'orizzonte dove il cielo avvolge il mare. A quarant'anni sale di notte per essere all'alba sulla cima e illudersi ancora di avere il giorno e la vita avanti a sé. A sessantacinque anni porta con sé l'amico di molte fatiche che pago dell'ultimo sogno muore al rifugio la sera dopo. I ricordi di Sladko affiorano come le cime dal mare di nuvole che poche decine di metri più sotto lambisce la punta del Triglav: più che uno scoglio siamo una zattera in movimento: il Mangart a dritta? Lo Jalovec? Il Rasor dovremmo accostarlo di prua. In fondo, la cima innevata del Grossklockner, ma forse è solo uno sbuffo di vapore come le parole di Sladko sono sbuffi di umanità destinati a confondersi nell'oblio e nell'indifferenza. Dalle quattro della mattina il temporale
percorre le creste del Triglav. Abbiamo fatto bene a scendere la sera.
Com'è giusto gli scrosci cancellano le tracce del nostro passaggio, dalla
cresta sud ovest su fino alla cima e poi giù per il piccolo Triglav e la
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Cima Grande di Lavaredo Perché non sono rimasti insieme? Le disgrazie succedono in montagna, ne ho viste tante. Ma qui c'era qualcosa di sbagliato. |
No, non l'errore di valutazione,
l'imperizia, la mancanza di esperienza. Erano in quattro e tutti con le
palle, hanno fatto la Dimai Comici Dimai in poche ore, tutta in libera.
Gente che corre. Troppo. Guarda, sono passati alcuni anni, ma io ho ancora
dentro questa sensazione strana. Ne ho raccolta di gente, in condizioni
che non puoi immaginare, gli individui più strani. Qualcuno aveva perso
l'appiglio, quello con la realtà. Ma, quel giorno, prima di trovare
Francesco riverso, i suoi vent'anni che colavano sulla pietra annacquati
dalla pioggia, prima, nell'aria, c'era qualcosa, non so, un pensiero
malato forse. Era negli occhi dei gemelli. Erano morti. Ma non la morte
sasso che colpisce Francesco alle spalle mentre arrotola la vita in anelli
misurati, né la morte vento che soffia via la vita di Francesco, che la
trasfigura in un mistero. Né la morte pietra che cancella sofferenza e
terrore e il volto stesso di Francesco. No, quella è una morte pietosa. Tu
lo conoscevi bene no?” |
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![]() Alessandro Visentin, Spigolo Giallo 2, 2000 (collezione privata) |
Sass d'la Crusc, Spigolo Giallo,
Torre Trieste, Tofana |
E l'alpinista risponde, imprecando il caffè amaro e il freddo insipido. Poi le corde pochi friend qualche nut quanti rinvii. Sandro aveva fretta, Mario indugiava, Cesco andava di corsa, troppo. La roccia è senza vita quando la tocchi
la mattina prima dell'alba. E' fredda e tagliente, uno spigolo giallo. Si
anima con il sole e con il tuo desiderio. La tocchi e risponde con un
gelido schiaffo. Tu ti sfreghi le mani, stringi il pugno, dolori le dita,
ma non rinunci e tocchi ancora. Allora la roccia si scalda e prende vita,
si lascia toccare, graffia magari, il calcare. |
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![]() Alessandro Visentin, Cima della Busazza, 2000 (collezione privata) |
Appoggi, aggrappi, appigli; la roccia
lascia scorrere i suoi umori, la senti ansimare mentre la prendi con
entrambe le mani, le braccia grandi, come un padre. Man mano che sali si
fa piccola come una bimba che chiede di essere presa in grembo. Solo in
cima ti chini per carezzarla, pietra che chiama, figlio che vuole giocare
ancora e ancora. E se tu devi andare non ti lascia, ti si aggrappa come
durante la discesa dalla Torre Trieste. Ancora e ancora la roccia voleva
giocare a vederci balzare, sulle interminabili doppie. Oppure, Tofana, si
getta ai tuoi piedi e si lascia solcare, gatta che offre il suo ventre di
ghiaia per i tuoi salti di gioia. Francesca sa di montagna quando i polpastrelli ruvidi disegnavano nuove vie sulla sua pelle. Nella penombra ascolta l'eterna storia di un uomo i cui movimenti si susseguono, descri-vendo la vita.
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<2003> © febbraio 2003 intraisass |
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testo di
Stefano Fregonese
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