Non ci muoveremo da qui

 

di Gianpaolo Castellano

 

 

“Hic manebimus optime”, disse Vecchio, sfilandosi lo zaino.
In effetti il posto dove aveva deciso di fermarsi, un ripiano erboso baciato dal sole ed a picco sulla valle, era davvero bello. Di fronte avevamo la montagna che l'anno prima avevamo salito, sci ai piedi, l'ultima volta che ci eravamo visti. Poi, fino a quella scappata improvvisa, più nulla, presi ognuno dalle proprie vicissitudini. Ne avevamo combinate tante, gli anni prima, tra scalate, sciate, trekking, ed ora che ci ritrovavamo era davvero una grande festa per entrambi. Lui, però, non lo dava a vedere, fedele al suo essere burbero, riservato, spesso brontolone.

Sedemmo al sole e si caricò la pipa. Tirò qualche boccata, poi rimase immobile, respirando profondamente. Dopo anni interi passati con lui bivaccando nei posti più impensati capii che stava raccogliendo le idee per iniziare una delle sue mitiche tirate; ero l'unico essere vivente nei dintorni, e mi chiesi se avessi detto o fatto qualcosa di così grave da meritarmi l'ira funesta dell'amico.

“Tone, sei ancora andato a sciare?” sbottò.
“Domenica, vicino a casa. Farina spettacolare in un bosco. E tu?”
“Anch'io, a nord...” e tacque. Il cannone non era ancora carico a dovere. Ma non mancò molto che ricominciasse.
“Non hanno saputo leggere. Hanno libri, riviste, giornali, internet, telefonini... eppure non sanno leggere”. Era partito. Non capivo ancora l'oggetto del discorso, ma Vecchio ormai non si sarebbe più fermato. Bastava lasciarlo parlare, eventualmente cercando di limitare i danni.

“Eppure lo avevano sotto gli occhi, no? Aveva nevicato presto, poi era venuto il caldo, appena dopo Natale. Ti ricordi che ti avevo telefonato, per dirti che avevo visto le primule? Sì, neve ce n'era, non tanta, ma qualche sciata l'avevo fatta anch'io. E poi ha nevicato di nuovo, non tantissimo. E, subito dopo, il freddo, e poi il vento negli ultimi tre giorni. Ma non se ne sono accorti? Chini sul loro lavoro, cinque giorni alla settimana, senza neanche alzare la testa al cielo. A fare pezzi, a produrre. Anch'io ho lavorato nelle fabbriche in pianura, ma se girava il vento io lo sentivo, anche tra i fumi ed i rumori delle macchine. E quando uscivo dal cancello della fabbrica, a seconda della guancia che per prima riceveva il vento, lo riconoscevo e lo salutavo... tramontana, libeccio, favonio, scirocco...
Sentendo l'odore del vento mi immaginavo cosa succedesse quassù. Contavo i giorni di tempo bello e caldo, quando il sole stacca la neve dalle placche più ripide, la consolida e la scioglie. E poi assaggiavo il gelo, crudissimo, che cristallizza acqua e neve. Ed ancora il vento, che prende la neve e la sposta, la ammucchia, la gonfia e se la mangia. La domenica venivo a sciare... a volte mi sbagliavo, trovavo la crosta al posto della farina o del firn, perché la montagna e la neve non hanno padroni che cuciono sui servi i vestiti che piacciono a loro...
Ma quelli... non hanno letto, prima di partire, il caldo, la neve, il vento? Perché sono andati su di lì? Le hai viste, il giorno dopo, le riprese dall'elicottero? Quel bianco livido delle croste e delle gonfie, quegli ammassi sotto le creste, nei canaloni... Molecole, chili, tonnellate di neve pressata dal vento e schiacciata su uno strato vecchio che la rifiutava. Non sentivano come si parlavano quegli strati? ...Non sei come me, non ti attaccare ancora, lascia che il sole ti lavori, ti ingentilisca, ti consolidi... allora ci uniremo assieme ed aspetteremo il turbinoso favonio per andarcene via di qua...
Non sanno più leggere. Sentono parlare di una gita, chiedono fin dove si sale con l'auto a qualcuno che c'è già stato, chissà quando e come, e partono... E poi c'erano le guide, le hai sentite, no? I clienti chiedono... i clienti vogliono... i clienti hanno sempre ragione... e se i clienti vogliono andare all'inferno, e se si sbagliano a volere in inverno ciò che è sensato domandare in primavera?
In un anno ci sono 365 giorni, da dicembre a maggio sono circa 25 o 26 fine settimana, mettici in mezzo qualche festa comandata ed alla fine tiri fuori 30 o 40 gite. Poi devi vedere se il tempo è bello, se trovi i soci giusti, poi ci sono gli imprevisti, i figli, i mariti, le mogli, i genitori, e magari salti qualche gita e ti convinci che devi assolutamente andare, devi fare qualcosa perché il tempo passa e tu resti fermo e senti che gli altri si sono mossi e la neve era bellissima. Ed allora quando trovi il tempo per leggere, e capire quello che c'è scritto?”.

“Ma che cosa bisogna leggere, Vecchio? Gli annunci sui giornali?”, lo interruppi quasi vigliaccamente, mentre riprendeva fiato dopo il suo monologo. Sapevo a cosa si riferiva il suo discorso, e capivo benissimo che non aveva ancora finito, ma cambiava semplicemente marcia, senza fermarsi. Come quando salivamo assieme, e lui tirava come un dannato al primo strappo ripido e poi, quando la pendenza diminuiva, rallentava per aspettarti e godersi la tua faccia stralunata ed il respiro mozzo.

“Vai al diavolo con i tuoi giornali, scribacchino!”.
L'invettiva era per me, l'avevo cercata, voluta e meritata.
“Sai benissimo a cosa mi riferisco, a quei disgraziati che domenica sono rimasti sotto. Non puoi pretendere di andare dove ti pare e piace con gli sci, se non hai l'umiltà di tenere in conto i messaggi che ogni secondo ti arrivano da ciò che ti circonda. Ogni raggio di sole, ogni fiocco di neve hanno la loro vita ed il loro divenire, e devono essere rispettati. Ed hanno una loro voce, e ti parlano, e se tu vuoi avere a che fare con loro devi ascoltarli. Stai tranquillo, non mi sono messo ad adorare il sole o altre baggianate simili, alla mia età! E non voglio neanche sembrare più bravo di quello che sono, perché magari domenica prossima sarò io a restare sotto alla slavina. Ciò che voglio dire è che ci sono giorni, modi e condizioni per andare in certi posti, in certi periodi. Puoi anche forzare la mano al destino... ricordami pure che noi due lo abbiamo fatto, tanto tempo fa... Puoi anche divertirti a farlo, sentirti un grande, uno che ci riesce, un duro. Ma devi essere sincero con te stesso, in certe condizioni devi ammettere che non sai, oppure non vuoi, tenere in conto i segni del vento, del sole, del freddo. Viaggi alla cieca, fidandoti della fortuna... che, per l'appunto, è bendata. Ma chi sa leggere questi segni non trova poi pace nel riconoscere che la pigrizia, la comodità di una traccia già battuta nel posto più assurdo del mondo, possono poi portare a certe conseguenze. Tu che avresti fatto? Avresti fatto il super-prudente, avresti rinunciato alla gita, o ti saresti accodato alla carovana?”.

Così disse Vecchio, e riprese a trafficare con la pipa. Aveva concluso con una domanda, come al solito, ma non aspettava risposte o reazioni al suo sfogo. Aveva parlato perché ciò che era successo lo aveva dapprima fatto soffrire, poi arrabbiare, riflettere e poi di nuovo arrabbiare. La rabbia si era poi stemperata in una sorta di tristezza, dovuta alla voglia di fare, o almeno dire, qualcosa per evitare che avvenissero di nuovo sciagure come quel giorno.
Improvvisamente parlò ancora, con la pipa tra i denti.
“Il tempo passa, Tone, ma non mi pesa. Sono contento di ciò che ho fatto in passato, mi piace il mio presente ed il futuro lo considero un'avventura. E sono felice di averti incontrato, tanti anni fa. Abbiamo imparato tante cose, anche sbagliando, ma siamo ancora qui, assieme, in questa bella giornata. Siamo stati bravi, oppure solo fortunati?”
“Fortunati ad incontrarci, e bravi a sopravvivere alle nostre sfortune”.
“Tone, sei diventato un maledetto sentimentale. Linda ti ha davvero rovinato. Per fortuna”.

Così disse, alzandosi ed iniziando a scendere.
“Anche tu sei diventato un dannato sentimentale, Vecchio” .
Così pensai, ma mi guardai bene dal parlare.
 Il sole splendeva glorioso sulla valle.
 

E quanto a coloro che hanno operato il bene, li accoglieremo con Noi nel Nostro giardino.
Corano, Sura dei Credenti

 

Rivarolo Canavese, gennaio 2003
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Gianpaolo Castellano

 

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