Jimi Hendrix was here
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di Gigi Zoppello | |
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In montagna non ci dovresti andare con il fantasma di una donna in testa. Dovresti pensare solo alle suole degli scarponi, allo zaino, al respiro, dentro-e-fuori, all'aria che ti sta tutta intorno, allo sguardo, alla perfetta beatitudine zen di camminare camminare camminare. E allora, che ci faccio io qui a sudare su un ghiaione della Margsyandi-Khola, con l'Annapurna sulla testa come un cappello di ghiaccio, e questo mantra che mi esce dalla gola, il suo nome ripetuto e ripetuto, come se chiamarla me la riportasse indietro, e lei invece è già andata dietro un altro amore, un altro uomo, uno migliore di me, uno più bravo e più affidabile, uno che non si mette in testa di partire da solo per il trekking dell'Himalaya, uno che non la lascia sola di sera per andare ad allenarsi facendo le creste del Lagorai con una tendina nello zaino... E' stato così facile, sai, Beatrice. Ho preso un aereo, ho dormito una notte per terra all'aereoporto di Dhakka-Bangladesh, ho volato di nuovo su un vecchio DC3 e sono stato vomitato fuori dall'aeroporto di Kathmandu nella luce e nella polvere, nel frastuono e nel fumo delle Ape-taxi. E adesso ho le vesciche ai piedi, lo zaino che è sceso a 13 chili, poi a 9, poi a 7, ho regalato via via vestiti, materassino, ricambi, e sono quasi un pellegrino hindu, leggero leggero, non fosse per il vibram che segna i miei passi accanto a quelli di portatori scalzi che mi superano come le spider sorpassano un tir sovraccarico in autostrada. Ma che autostrada? Non te lo puoi immaginare, che qui non ci sono le strade, non ci sono motori, non c'è niente se non l'essenza stessa della montagna. Anch'io me lo immaginavo, ma poi immaginarselo non serve a niente. Non ti dà diritto a uno sconto sullo stupore. Tre giorni fa ero su Poon Hill, alba di brume e nebbie, i ragazzini che vendono tè e Nescafé facevano pronostici: viene il sereno, anzi no, arrivano turisti, no non arrivano, e a metà mattina se ne sono andati tutti d'un tratto, come uno stormo di stornelli, tanto non c'era business: c'era solo quel cretino italiano con un sorriso beato in faccia e neanche gli spiccioli per una bevanda. Poon Hill, una leggenda, un nome magico che ho letto così tante volte da farmi credere che non esistesse. Avalon dell'alpinismo, Atlantide dei libri di alpinismo. Sono dieci giorni che cammino. La prima notte, ho dormito in un lodge deserto, mi hanno dato una branda sotto una tettoia di lamiera, e di notte la pioggia suonava come un batterista impazzito. Il terzo giorno ho evitato correndo una comitiva di Avventure nel Mondo, giacche a vento polari e attrezzatura da prima invernale del Lhotse. Vado su, risalgo la valle, ma risalire è un concetto astratto. Per salire, qui devi anche scendere. Su e giù per i fianchi di vallate immense, dislivelli da incubo, ma tutto va con quella lentezza che non ti puoi misurare. C'è solo il sole, che sorge e tramonta, e in mezzo il tuo camminare, che è inevitabile. Beatrice, adesso ti chiamo cantilenando, perché la solitudine mi pesa come una bombola d'ossigeno. Lo sai, mi ero preparato. Lo sai, avevo smesso di fumare. Lo sai, avevo fatto un'estate di corse e di cime e di trekking. Lo sai, quando mi telefonavi la sera ed ero così stanco che saltavo la cena. Non me lo aspettavo, ecco, che fosse così dura stare da solo. Quando all'alba parto cercando di sciogliere i muscoli, e fino al pomeriggio non troverò anima viva. Ieri, però, ho camminato con Nancy e Bob. Lui è una guida alpina della California, abbiamo passato un paio d'ore a chiacchierare di Capitan, di Half Dome, di Denali e delle Ridge. Alto e biondo, e lei che sembra Pippi Calzelunghe, hanno due zaini grandi come un armadio. Ad un bivio, hanno svoltato all'insù verso il Dhaulagiri, una settimana al limite dei ghiacci, si portano dietro fornello e viveri, li ho visti andar via alla velocità della luce e in un minuto erano piccoli come puntini nell'immenso costone bruciato. Quanto manca a Jomsom? Ho da tempo superato il limite della vegetazione, i rododendri alti come betulle, e la valle si è fatta sempre più stretta. Non bisogna portarsi dietro il ricordo di una donna perduta. Mi sono convinto che aumenti l'acido lattico. I tendini del tallone come due cavi di funivia, solo che stridono e fanno male come una grattugia sulla pelle viva. Di colpo, la salita è finita: una grandissima spianata di ghiaia, il letto del fiume ora asciutto, un vento contrario che mi porta via, e là in fondo l'antenna del piccolo aeroporto. Come i rifugi delle Dolomiti, lo vedo e mi sembra vicino, ma ci arrivo dopo altre tre ore. Il paese, la civiltà. Una carovana di portatori mi supera a balzi. Ognuno, coperto da un asciugamano, porta tre casse di bottigliette di Coca Cola. In alto, un elicottero ruggisce via sorprendendoci in un rombo assordante: Adventure Consultant, scintilla la scritta sul fianco, va a depositare sei sette americani in cerca di feeling. Jomsom, ha persino le insegne a colori. Vado avanti, sulla strada per Muktinath. Oh Beatrice, ti piacerebbe, è tutto così pieno di nulla: la via principale di terra battuta, le case dal tetto piatto sul quale le donne battono l'orzo, le bandiere da preghiera buddiste che sventolano furiosamente su bastoni irti. E là sopra, l'infinita parete dell'Annapurna, e il Machapuchhre con la sua vetta a coda di pesce. Entro nella locanda, tutta azzurra, sembra una casa del mare a Linosa. Qualche norvegese biondo con i capelli alle spalle, un gruppo di giapponesi intenti a fumare uno spino. E la grande scritta sulla parete: Jimi Hendrix was here – 1966. Jimi Hendrix? Osservo le foto appese all'ingresso: Jimi Hendrix. Jimi Hendrix che sbarca da un elicottero. Jimi Hendrix che incontra popolazioni locali incuriosite. Jimi Hendrix che suona un sitar seduto su cuscini e tappeti. Jimi Hendrix in groppa a un cavallino mustang. Faccio fatica a ricordarmi che questo è Nepal, che poco più avanti c'è il Tibet. Oddddddddìooooo, lo sapevo: mi ero giurato di non dirmelo mai, eppure mi sto ripetendo: che ci faccio io qui? Bruce Chatwin delle mie palle, zaino in spalla e andare. Il tramonto mi fa entrare a Kagbeni, villaggio fortezza, monastero del Buddha, dove Jimi Hendrix non ha mai messo piede. C'è solo un turista, più avanti: è un londinese, avrà ottant'anni, avanza lentissimo con il bastone e un ragazzino newari che gli porta lo zaino. “Non hai paura, qui in mezzo, da solo?” gli chiedo dopo i saluti. “Paura di che? Di morire? Meglio morire qui, che in un letto di ospedale in Britannia”. Ecco, Beatrice, è stato lì che il ricordo di te mi è scivolato di dosso, e ho iniziato a volare. Le ragazze che gestiscono il lodge mi guardano ridacchiando da dietro una tenda, mentre scrivo questa lettera ad un tavolino, aspettando il dhal-bat da mangiare. Hanno trecce lunghe e nere, e abiti dai colori cangianti. Hanno sorrisi freschissimi, e occhi come l'onice che affiora dal fiume qua sotto. Sono libero, adesso. Posso anche scendere, tornare indietro, o salire il passo duemila metri più su. Nella notte di Muktinath crollano immani torri di ghiaccio dalla montagna. Namastè! Namastè! E: ciao. Davvero, a mai più.
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<1992> | |
Gigi Zoppello
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