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Rivista di Letteratura, Alpinismo e Arti Visive  

Flavio Faganello
L'arte di testimoniare

di Augusto Golin

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal quotidiano Alto Adige del 7 ottobre 2005

Sono nove anni che se ne è andato Aldo Gorfer e da pochi giorni anche Flavio Faganello l'ha seguito. I pochi superstiti di quel grande affresco sociale sulla realtà sudtirolese che fu il reportage fotografico “Gli eredi della solitudine” saranno ora più soli.
Erano gli anni del boom economico dell'Italia e per l'Alto Adige gli anni del primo Statuto di autonomia. L'autostrada tagliava in due la Val d'Isarco e l'illusione del “progresso” non era ancora stata fermata, e forse definitivamente sepolta, dalla crisi petrolifera. Tutto marciava veloce e l'uomo aveva raggiunto la Luna.
Ma nelle valli sudtirolesi una minoranza, ignorata dalla “minoranza” istituzionale e dalla politica, viaggiava ancora a piedi. Erano famiglie numerose, vecchi e bambini che per ogni contatto con il mondo giù in basso dovevano muoversi a piedi. Solitudine, isolamento, sofferenze, valanghe, donne che morivano di parto; questa era la vita dei masi d'alta montagna. Gente che viveva al limite dell'autosufficienza, tra i millecinquecento e i duemila metri, l'ultima presenza dell'uomo prima dell'ambiente selvaggio e inabitato dell'alta montagna.
Ignorati dalla politica che pur esaltava come elemento fondante e ideologico della realtà sudtirolese il contadino di montagna. In realtà si faceva riferimento ai ricchi contadini del fondovalle. Il fondovalle della monocultura delle mele e del vino. Cosa poteva interessare a una economia in crescita, che stava per conquistare anche il potere politico, pochi contadini ignoranti e isolati.
A mettere a nudo questo mondo, a raccogliere il loro disperato grido di aiuto, furono loro, due trentini, Aldo Gorfer e Flavio Faganello, un giornalista scrittore e un fotoreporter, una coppia che viaggiava su una vecchia Renault ma che, sul posto, lavoravano separati.

EREDI DELLA SOLITUDINE

Uno, lo scrittore, a far domande dirette, imbarazzanti per uomini e donne disabituati a qualsiasi tipo di dialogo. L'altro, il fotografo, a scattare immagini in un nitido bianco e nero. Volti, particolari, interni di case disadorne, scarni crocefissi e semplici giocattoli di bambini. Un lavoro fatto d'inverno, quando la realtà delle valli non è quella dei balconi fioriti e di gente felice che in costume lavora i campi, così cara all'iconografia ufficiale. Quando l'isolamento è ancora più duro e i ragazzi che andavano a scuola vivevano sotto l'incubo delle valanghe. Quando il medico o la levatrice poteva ritardare e questo ritardo poteva essere mortale.
Accompagnati dal parroco del paese, elemento indispensabile per aprire le porte dell'isolamento e per comunicare, Gorfer e Faganello si muovevano per ripidi sentieri con la neve o le nebbie del mattino.
Il risultato di questo viaggio fu una forte presa di coscienza di un problema nascosto del mondo sudtirolese, forse non l'unico. Il libro fu immediatamente tradotto in tedesco da Hartmann Gallmetzer ed ebbe un successo pari all'edizione italiana. A partire dalla pubblicazione del libro la solitudine e l'isolamento fu definitivamente rotta dalla sistematica costruzione delle strade di collegamento anche per i masi più isolati. Questa non fu la salvezza definitiva ma fu un'altra chance offerta agli abitatori dell'alta quota.
Dopo trent'anni ho avuto la fortuna di ripercorrere con Flavio Faganello lo stesso percorso oggi servito da comode strade. Abbiamo visitato gli stessi masi del loro reportage, conosciuto i superstiti e i bambini diventati adulti. Di quei ventuno masi solo due erano abbandonati; il più sperduto, il Kofler zwischen den Wändern, era stato raggiunto da una strada solo nel 2000. Ma non c'era uno dei masi abitati che non avesse in casa una copia del libro. Anzi in uno era religiosamente incorniciato e sistemato nel posto più intimo della stube vicino alle foto dei genitori scomparsi o del matrimonio dei figli.
Dopo il primo tentennamento Flavio veniva riconosciuto e abbracciato anche se erano passati tanti anni senza una visita. Tutti chiedevano dell'altro, alcuni avevano saputo della morte di Aldo Gorfer. E Flavio annotava con la sua inseparabile macchina fotografica tutti i cambiamenti e tutte le novità con immutata curiosità
Un ultimo aneddoto riguarda il primo maso che abbiamo visitato, in Val d'Ultimo. Eravamo nella stube e stavamo chiacchierando con il giovane Bauer; la moglie ascoltava sulla panca della stufa con in braccio il secondo dei tre figli. Ad un certo punto la conversazione viene interrotta da un pianto di bimbo, non naturale, elettrico, quasi meccanico. La madre si alza e sparisce nel corridoio.
Il babyphon, quel piccolo apparecchio radio piazzato nella camera del bimbo per segnalarne il risveglio, era entrato nel mondo del maso. Una cosa banale per noi e per loro; non per Flavio Faganello che questi trent'anni li aveva visti passare in un colpo.

EREDI DELLA SOLITUDINE

 

Articolo tratto da Alto Adige, 7 ottobre 2005, per gentile concessione dell'autore
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Augusto Golin

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