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 OLTRE LE VETTE 2004 - VIII^ edizione 

13 ottobre 2004
Redazione Intraisass
Paola Lugo

Alcune giornate bellunesi

OLTRE LE VETTE 2004 - VIII^ edizione

Alcuni anni fa Andrea di Bari, in un bell'articolo sulla Rivista della montagna, lamentava l'assenza di una vera cultura dell'alpinismo e dell'arrampicata. Le cose non sono certo migliorate: i cosiddetti “esperti” del settore, giornalisti, direttori editoriali, enti organizzatori di festival e convegni, sembrano essere colti da una paralisi creativa preoccupante, osando sempre meno, uniformandosi al gusto corrente che antepone la facile spettacolarità alla fantasia e alla vera esplorazione (delle montagne e non solo). Oltre le vette, rassegna bellunese giunta ormai all'ottava edizione, sembra essere una delle poche isole felici. Per due settimane alpinisti e scrittori, ma anche attori, musicisti, pittori… ci ricordano che le montagne, oltre ad essere il nostro amato terreno di gioco, sono parte profonda della nostra cultura. E che sono mille i modi per viverle e raccontarle.

Agli antipodi dei viaggi organizzati “usa e getta” Giuseppe Cederna nello spettacolo teatrale Il Grande viaggio tratto dall'omonimo libro, ci conduce, in un viaggio “portato nelle gambe”, in uno dei pellegrinaggi più sacri dell'India. Ed è importante che le tappe più significative siano state percorse a piedi, ricalcando le orme stampate sul sentiero dai pellegrini precedenti. “Passo dopo passo, la mente si accorda con il respiro e distende i pensieri”. I passi si intrecciano con mille storie, dagli dei indù ai contadini che lottano contro le grandi dighe, accompagnati dai colori e dagli odori dell'India. Giuseppe Cederna è anche un alpinista: «E' giusto contrapporre l'alpinismo, spesso vista come attività no-limit, al cammino come fonte di conoscenza ed autocoscienza?» - domando.  «No, dipende da come lo fai. Se sei un “fissato”, se vedi solo l'appiglio, il gesto muscolare, allora sì, è sterile. Ma può essere anche il contrario. Tempo fa sono andato ad arrampicare dopo una notte insonne. Ero nervoso, non mi sentivo bene. Arrampicare, concentrarsi sul movimento, sulla respirazione mi ha calmato. Respira, sali, concentrati. Sono rientrato in equilibrio». Alcuni riferimenti troppo personali presenti nel libro, come la morte della carissima amica Paola, sono stati tolti. «Eppure la morte è molto presente nello spettacolo. Però si ride. La gente ride, forse perché anch'io mi diverto a recitare». Mauro Manzoni al sax, Roberto Cappelli al sitar e alla chitarra, Nicola Negrini al contrabbasso hanno accompagnato lo spettacolo. A chi non era presente a Belluno, l'invito a leggere il libro è scontato.

Sabato 2 ottobre, presso l'Auditorium Comunale si è tenuto il Seminario di studi Donne e montagna. Quale legame fra le staffette partigiane, che dopo il 1943 hanno scelto di combattere accettando il rischio della morte o del campo di sterminio, e le streghe e le eretiche che nel passato sono state bruciate sulle piazze delle città delle Alpi? Michela Zucca, del centro di ecologia alpina del Monte Bondone, ha tracciato la storia del lungo e sotterraneo legame che lega le donne della montagna di ieri e oggi: una storia di resistenza (resistir è il graffito trovato nella prigione dove le ugonotte, accusate di eresia, hanno trascorso fino a 60 anni di carcere senza mai pentirsi). La storia delle donne nell'arco alpino è una storia di resistenza alla cristianizzazione e alla civiltà urbana e romana. Le donne, custodi della antica religione delle Dee-madri, officiavano i riti di fertilità, che la Chiesa ha cercato di soffocare imponendo il culto della Madonna, madre per eccellenza. La lotta delle donne si è espressa per secoli attraverso la stregoneria e gli atti di “resistenza civile” per mantenere il controllo del potere decisionale sulla procreazione. La resistenza delle partigiane, o di quelle donne che, con rischi altrettanto gravi, hanno dato rifugio ai “ribelli” in fuga dai tedeschi, non è nata quindi per caso, ma è una pratica sotterranea che va avanti da secoli e che continua ancora oggi.
E' una donna forte e determinata quella che le relatrici del convegno Donne e Montagna, organizzato dall'Associazione Tina Merlin, hanno presentato ad una sala gremita di ascoltatori : “eravamo in guerra, e bisognava combattere”, racconta con grande semplicità una vecchia combattente nel video presentato a fine incontro. Ed è difficile non commuoversi ascoltando la testimonianza della partigiana piemontese che ha dichiarato “guerra alla guerra”, scendendo nelle strade per rapire ufficiali tedeschi o fascisti da usare come scambio con compagni condannati a morte “per salvare più vite possibili”.

Sempre sabato alle 18, per i Pomeriggi del libro Andrea Bocchiola ha presentato la rivista on-line www.officinahce.it, ovvero l'alpinismo come oggetto di speculazione filosofica. Il sito vuole essere una sorta di laboratorio, un'officina appunto, in vista di un prossimo libro: nei vari capitoli, aperti ai contributi di diversi collaboratori (alcuni nomi prestigiosi come Alberto Paleari, Nives Meroi, ecc.) si riflette su quella strana pratica nata dopo l'impresa di Paccard e Balmat sul tetto d'Europa. Officina HCE, here comes everybody, le montagne come luoghi di nessuno e potenzialmente accessibili a tutti. Montagne come oggetto del desiderio, dove cercare ossessivamente la nostra salita finale, quella con la S maiuscola, appagamento conclusivo che non troveremo mai, e che ci condanna alla maledizione della ripetizione. Come l'orizzonte, la nostra salita si allontana più ci avviciniamo. Se siamo veri alpinisti il circuito passionale non si interrompe mai e, nostro malgrado, ci conduce inevitabilmente fuori di noi. «Nessun alpinista è in sé, quando scala, ma è sempre “fuori”, lassù sulle montagne». Vero work in progress, il sito presenta alcuni capitoli che devono ancora essere scritti, ma che si preannunciano molto interessanti. Come Tracotanza e abisso, dove riflettere sulla sfida al vuoto e alla morte, che una cattiva letteratura vuole come compagna e motivazione profonda al nostro salire. In realtà, sottolinea Bocchiola, si va in montagna per altro. L'idea della sfida alla montagna rivela una contrapposizione io/mondo estranea all'arrampicare. Quando scalo l'Io, e la conseguente volontà di potenza che ne deriva, non mi servono, devo solo scalare e per farlo bene devo annullare la distanza fra il soggetto e il mondo. L'Io non deve dominare il mondo per riuscire a salire, bensì farsi guidare dalla trama e dal ritmo delle cose. Ci aspettiamo grandi cose anche da Piacere e Godimento, capitolo dedicato all'alpinismo come Teatro della crudeltà. Se vi sembra solo un'assurda e sterile speculazione filosofica pensateci quando uscirete barcollanti dalla prossima seduta di trave, o vi troverete infreddoliti a una sosta mentre i sassi vi fischiano intorno…

E per finire due grandi incontri di alpinismo, che per brevità potremmo intitolare Manolo, o la sobrietà della grandezza, Destivelle, o la libertà delle grandi pareti.

Uno dei rischi più comuni per lo spettatore delle serate di arrampicata è la noia e il senso di dejà vu che inevitabilmente lo assale all'ennesima immagine del bloccaggio su bidito strapiombante o della puntigliosa precisazione del grado di difficoltà. E se gli alpinisti “classici” scelgono altre immagini e altri linguaggi, spesso ci parlano solo di se stessi e del loro desiderio di conquista (come ha più volte sottolineato Mauro Corona). La scoperta e la meraviglia, la ricerca e la fantasia restano sovente ai margini. Trenta anni di scalate “estreme” sono stati raccontati da Manolo sabato 25 settembre in una serata direi “essenziale”: in meno di un'ora il mago ha presentato i suoi vagabondaggi sul verticale dove la spettacolarità di imprese ormai leggendarie (appartengo a una generazione cresciuta col mito di Supermatita e del Mattino dei maghi) era secondaria all'emozione della scoperta, del mettersi in gioco, della avventura e della libertà. Le ultime battute sono state riservate alla prima salita in libera di “Cani morti” sulla parete nord del Campanile basso di Lastei. Un 8b+ /8a obbligatorio , con una media di 3/4 spit per tiro. 300 metri per un lungo viaggio appesi alle dita su una nascosta e selvaggia parete dolomitica. In altre parole: ci sono spit e spit [... nx.d.r.]

Sabato 2 ottobre, Catherine Destivelle: dalle gare di arrampicata degli anni ottanta (l'ultima competizione è stata per lei nel 1990) alle grandi pareti Nord delle Alpi. “Volevo diventare alpinista, e l'alpinismo è sulle grandi pareti di misto”. E, aggiungiamo noi, in solitaria invernale. Walker alle Jorasses, Bonatti alla Nord del Cervino, Nord dell'Eiger: tre grandi salite compiute con un'etica rigorosa, dopo un'attentissima preparazione. Concentrata e determinata, ha dedicato un anno alla preparazione di un'impresa che ha fatto storia: l'apertura di una linea nuova sul Dru, con difficoltà che arrivano all'A5, una splendida avventura che ha richiesto 11 bivacchi. Previsioni meteo sbagliate, tempo pessimo, un volo di 12 metri: un unico rimpianto, avere accettato il rientro in elicottero. La parentesi himalayana si è chiusa definitivamente dopo alcuni tentativi: “Non sono portata per l'alta quota, non fa per me. Si è troppo dipendenti dall'ambiente. Mi fa paura, e non mi piace avere paura in montagna”. A colei che è stata, e non solo in Francia, il simbolo del free climbing, del volteggiare senza peso su pareti e strapiombi, a fine serata una domanda d'obbligo. «Samivel ha scritto “Arrampico, dunque sono” - Per te cosa è l'arrampicata?» - «Una cosa bellissima, ma non certo l'unica. Ci sono tante altre cose nella vita. Mio figlio prima di tutto. Ogni mio progetto adesso tiene conto di lui. Quando sono in parete sono concentrata come prima, non è cambiato nulla. Il difficile è semmai staccarsi da casa».

 

Paola Lugo
8 ottobre 2004

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