Il drago e la montagna
Potrebbe essere un racconto di Tolkjen e invece no
 

 

di Daniele Mirolo

 

Forse avete letto la storia di quel drago che cela avido, nel cuore della Montagna Solitaria, il tesoro sottratto al re dei nani e del pugno di eroi che riesce a riprenderselo armati solo di astuzia e coraggio. E' una buona allegoria di cosa si deve aspettare il diabetico quando vuole recuperare il tesoro che gli è stato strappato dallo stesso drago.

Avevo 21 anni quando ho compiuto le mie prime escursioni in montagna. Due anni prima di diventare diabetico. Fino ad allora i monti erano stati per me uno sfondo lontano, quasi irraggiungibile, che scrutavo dalla mansarda della mia casa di pianura. Vedevo i bastioni della pedemontana e nelle limpide giornate invernali anche dei lontani baluardi di roccia nuda. Ma allora non sapevo come si chiamassero. Poi vennero la patente, l'università e gli amici con i quali feci le prime escursioni in un mondo sconosciuto di boschi e di roccia, di profumi e colori che non mi avrebbero più abbandonato. E venne anche il diabete. Durante la stagione del ‘92 andammo spesso in falesia con Michele e con Maria Anna. Lui si era impegnato piuttosto seriamente con l'arrampicata in quei primi tempi ed io lo assecondavo volentieri. Proprio verso l'inizio della primavera del ‘93 ci demmo appuntamento in falesia per provare qualche via nuova. Era una pasquetta, alle prime ore del pomeriggio. Arrivai che ero distrutto prima ancora di cominciare, come se giungessi direttamente da un baccanale dopo una notte insonne. Invece avevo consumato solo un normalissimo pranzo e mi trovavo nelle condizioni di concentrazione e forza di un ubriaco ed il pensiero di arrampicare mi dava la nausea. Sapevo già che non avrei fatto nulla ma andai comunque. Con Michele per fortuna c'erano anche altri amici e così poté lo stesso fare qualcosa, naturalmente dopo avermi fatto notare che ero uno schifo. E uno schifo in effetti mi sentivo, non potei certo dargli torto. Quasi senza rendermene conto negli ultimi tre mesi avevo perso sette chili. Sette chili di che cosa? Ero sempre stato magro e quando gli amici mi dicevano che ero dimagrito lo attribuivo al fatto che in quel periodo mi lasciavo crescere i capelli riccioli alla Cocciante. Insomma quel giorno non arrampicai e fu la mia ultima occasione per due anni. Tutto era diventato molto più difficile. Dovetti attendere la fine della primavera, dopo la diagnosi, per acquisire sufficiente confidenza con me stesso, l'insulina e le misurazioni della glicemia, prima di arrischiarmi a fare una escursione in montagna. Con Maria Anna si raggiunse la sella Giau ed esplorammo i prati della malga Mondeval ancora parzialmente ricoperti di neve. Era una bellissima giornata ed il mio primo test di attività fisica continuativa, seppure a ritmi moderati, fu un successo. Sì, mi fermai spesso per contrastare l'ipoglicemia1 ed ancora più spesso misuravo la glicemia per capire cosa succedeva al mio metabolismo. Finalmente il drago che voleva uccidermi era domato in una gabbia immaginaria fatta di tante minuscole striscette misuratrici  incollate da goccioline di insulina; ma non avevo recuperato ancora tutto il mio tesoro.

Ci vollero ancora parecchie uscite per testare effettivamente il mio autocontrollo e passarle in compagnia di  Maria Anna mi dava quella tranquillità che c'è quando sai che se anche succede qualcosa c'è qualcuno che può aiutarti sapendo cosa fare. Quel qualcosa che può succedere è l'ipoglicemia grave2. Cos'è l'ipoglicemia grave? E' volare in parete. Puoi solo sperare che le assicurazioni che avevi preparato sotto tengano lo strappo. Ho visto un solo caso in vita mia di ipoglicemia grave ed è stata una esperienza dura. Successe in montagna, tra l'altro, con un gruppo di amici diabetici con cui si era organizzata una escursione in alta quota. Quella sera consumammo nel rifugio un pasto piuttosto scadente con una zuppa ed una specie di polenta al curry che fece sbagliare a tutti, sovrastimandola, la dose di insulina. Durante la notte finimmo in ipoglicemia e nel buio si sentiva un gran sgranocchiare di biscotti, barrette energetiche e merendine. Uno di noi però sbagliò di grosso e l'ipoglicemia fu, probabilmente, così repentina da non dargli il tempo di svegliarsi precipitandolo direttamente in una crisi convulsiva. Imparammo  tutti quanto facilmente può diventare precaria la condizione del diabetico lontano dalle rassicuranti condizioni ed abitudini del proprio ambiente domestico. Per fortuna, avevamo a disposizione del glucagone3 che fu prontamente iniettato, recuperando presto alla coscienza l'amico in difficoltà. Il giorno successivo naturalmente lo passò a recuperare le forze e così non ci furono altre conseguenze. La cosa positiva era che il chiodo  aveva tenuto, quella negativa era che il chiodo c'era per caso. Questa fu una esperienza che tutto il gruppo maturò quella sera stessa, ma che fino a quel momento era rimasta dimenticata come una nozione mai messa in pratica, quasi una eccessiva confidenza nei propri mezzi che talvolta può risultare fatale anche all'alpinista più esperto. A differenza di noi il drago non dorme mai!


Il diabetico e la montagna: "Sul monte, un albero ferito, con un ramo spezzato infisso nel suo cuore, quasi fosse un legame indissolubile con l'esterno, produce frutti straordinari" - interpretazione pro ADIQ dell'opera pittorica di Maurizio Camposeo

A distanza di quasi 10 anni che limiti mi pone il diabete? Ho recuperato la mia libertà di “fare”? La risposta è sì ma va articolata. Nel mio caso intanto “fare” significa condurre una normale vita famigliare, fare sport a bassa intensità (in media circa 7 ore alla settimana) e , soprattutto, non dover mai dire “Mi dispiace…non posso fare questo e non posso fare quello. Sono diabetico!”. Fare o non fare è un dilemma che prescinde la mia condizione di diabetico. Nella attività che preferisco, l'escursionismo in montagna, bisogna poi distinguere diverse situazioni ambientali: fino a media alta quota l'attività fisica è addirittura terapeutica. Questo significa che la glicemia sta sotto controllo assai facilmente e necessito di modeste quantità di insulina. Ad alta quota la gestione è più difficile sia per una manifesta insulino resistenza oltre i 4000 (almeno in condizioni di scarso adattamento fisico) sia perché l'ipossia può confondere i segnali di avviso dell'ipoglicemia: infatti ci sono già, quasi normalmente, il classico mal di testa, il senso di inappetenza, se non proprio di nausea, che accompagnano forme anche lievi di mal di montagna. Le rigide condizioni climatiche d'alta o di altissima quota costringono poi a tenere i misuratori di glicemia e l'insulina a contatto con il corpo altrimenti l'uno non funziona e l'altra si degrada rapidamente perdendo efficacia diventando inutilizzabile per congelamento. Questi effetti sono tanto più forti quanto è scarso l'adattamento ovvero quanto è maggiore la velocità di salita.

In altissima quota l'attività è ridotta e non è più terapeutica come a bassa quota vista la modesta disponibilità di ossigeno e l'insulino resistenza è una variabile che aumenta continuamente con la quota in modo però non riconducibile ad una legge semplice come quella di diminuzione della pressione barometria. In quelle condizioni, già estreme per un una persona non diabetica, è come se le maglie della gabbia si allentassero ed il drago, più che mai, graffiasse con i suoi artigli per strapparci ancora il nostro tesoro.

Ma ecco che ritornando alle nostre montagne le cose diventano più semplici, il diabete, più che un drago, è forse un vecchio sentiero che conosciamo come le nostre tasche: cambia lentamente come quando si sposta un masso o le radici di un albero ne mutano lentamente il percorso: questi siamo noi che cambiamo con l'età; ogni tanto però c'è una frana, uno smottamento che ne modifica la fisionomia: queste possono essere le complicanze. A volte la tecnologia ci permette delle scorciatoie evitando dei tratti scoscesi o franosi. Comunque, a differenza di quando scegliamo di percorre un sentiero o di fare una via, il diabete è un cammino difficile, ma non impossibile, su una montagna che non abbiamo scelto ma ci è stato imposto dal destino. Talvolta il sentiero si trasforma in cresta e la cresta muta nella schiena del drago: se lo trascuriamo assisteremo a questa inquietante trasformazione e dovremmo affrontarlo ancora una volta. Tuttavia, forse, la gestione del diabete sarebbe più facile da affrontare se avesse veramente i toni epici in cui mi sono un po' compiaciuto dipingerla. Nondimeno lo sforzo che io e molti come me compiamo ogni giorno nella autogestione è il vero affrancamento dalla malattia. Questo è il nostro messaggio e talvolta, quando è possibile, è importante cercare di aiutare chi ha meno esperienza, come farebbe una buona guida, nei mai facili sentieri di questa montagna. Ogni diabetico ha il diritto di riavere il tesoro che il drago gli ha sottratto.

Credo sia chiaro cos'è questo tesoro. Vero?

 

Estate 2002
© luglio 2002 intraisass

Daniele Mirolo

 

____________________

 

[1] La benzina del corpo è il glucosio che assorbiamo dai carboidrati e che circola nel sangue, se non c'è benzina si finisce in ipoglicemia, avvertita nei soggetti normali come “crisi di fame”. (^)

 

[2] L'ipoglicemia è l'abbassamento del glucosio (zucchero) nel sangue sotto la soglia dei 70 mg/dl. Di questa condizione ne soffre particolarmente il cervello in quanto i neuroni sfruttano unicamente la produzione di energia del glucosio non avendo le fonti alternative che possono sfruttare i muscoli quali la combustione dei grassi. I sintomi sono la perdita di conoscenza, le convulsioni, e può condurre alla morte per asfissia. (^)

[3] Ormone antagonista dell'insulina. (^)

 

----------------------------------------------------------------------------------------------------

 

Contatore visite

Home page  indice  info  special

copyright© 2002 intra i sass

all rights reserved - http://www.intraisass.it