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 la recensione cinematografica di intra i sass 

Titolo: L'echo du Tien Shan
Autore: K-Soul Cherix

Produzione: Triangle Vert, Suisse, 1997
Distribuzione: Vivalda Editori, Torino 1999
Collana: "I capolavori del Cinema di Montagna"
Durata: 49 min. – colore
Prezzo: € 18,00

 

 

L'echo du Tien Shan recensione di Mauro Mazzetti


“Dignità” è il primo concetto che mi viene in mente.
Basta guardare negli occhi questi ex ingegneri, questi ex biologi e questi ex tecnici dell'ex Unione Sovietica per capire il perché. Non è mai facile reinventarsi un lavoro, ricostruirsi un avvenire, riproporsi degli obiettivi; ancora di più non è facile farlo in un mondo, peraltro discutibile fin che si vuole, dove tutto è sempre stato preordinato e precostituito. La perestrojka e la gladnost hanno portato enormi vantaggi all'universo delle galassie sovietiche, ma hanno lasciato insoluti i veri, piccoli e concreti problemi di tutti i giorni; mettere assieme il pranzo con la cena è diventato molto più difficoltoso, ed i piani quinquennali non hanno certo previsto come sbarcare il lunario con un mestiere ma senza un lavoro.

Ecco allora che questi “ex” si rivolgono alla montagna e si dedicano ad attività alternative: non guide, ma istruttori di alpinismo, come vuole il sempre rigido protocollo russo, ché i capitalisti occidentali devono imparare, non essere condotti sulle vette. Viene infatti chiaramente detto da un grande alpinista sovietico, ora responsabile del campo base nella regione del Tien Shan ed organizzatore di spedizioni, che i clienti venuti dall'ovest non hanno preparazione tecnica, né specifica né fisica. Mai la grande madre Russia avrebbe permesso ai suoi figli di scalare un settemila difficile senza prima aver conseguito un adeguato e progressivo curriculum alpinistico; mai sarebbe stato possibile saltare i gradi intermedi nella maturazione di una necessaria esperienza, bruciando le tappe in maniera scriteriata.

Eppure, nonostante i necessari e doverosi distinguo, questi alpinisti accompagnano obtorto collo i sempre più numerosi visitatori di queste ancora selvagge e meravigliose aree. Le mini spedizioni salgono sulle vette circostanti per rientrare poi al campo base, vero centro nevralgico e logistico della zona. Lì si riprendono le attività collaterali alla pratica alpinistica vera e propria.

Così seguiamo stupiti la costruzione di un imbrago mediante l'utilizzo di cinture di sicurezza (forse per auto, forse per aereo); così restiamo ammirati per come vengono forgiati ramponi da blocchi inerti di metallo; così ancora impariamo i trucchi necessari a cucire assieme lembi di pelli per creare calzature d'alta quota. E tutto questo, in barba alle grandi ditte specializzate, viene fatto in totale autarchia ed in completo risparmio.

Ma non basta. Gli “ex” di cui sopra mostrano anche la loro perizia nel preparare e nel riparare le costruzioni del campo base, condendo il tutto con battute e barzellette tipiche di un a noi ignoto umorismo sovietico.

Sembra proprio un'armata Brancaleone, raccogliticcia ed abborracciata, improvvisata e raffazzonata. Eppure sul terreno di montagna esce la vera natura di questa gente forte e rude, semplice e concreta: un piccolo ma significativo spaccato sociologico di un mondo che sembra ormai esistere solo nei racconti e nei ricordi di reduci e di nostalgici.
 

Mauro Mazzetti
Genova, aprile 2003


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