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la recensione cinematografica di intra i sass |
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Titolo:
Lost in America |
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Titolo:
Monte Perdido |
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Lost in America – Monte Perdido recensione di Mauro Mazzetti |
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Ho avuto a che fare, ovviamente molto in piccolo, con quella
che viene definita la ‘sindrome dello scrittore’: fogli e fogli di vani
tentativi, poche righe scritte e corrette, poi abbandonate e riprese, limate
e sostituite. Risultato: fallimento completo e totale, vuoto concettuale
assoluto e pneumatico. Il fatto è
che, con un minimo di accortezza e di furbizia, un mestierante azzardato ed
approssimativo riesce quasi sempre a mettere assieme parole e segni di
interpunzione per riempire lo spazio necessario a contenere una quantità
sufficiente di aria fritta. “Lost in America” tratta della vita di Gary Hemming, fortissimo alpinista californiano di grandi imprese e di vita affascinante ancorché ‘maledetta’. Il regista Salvà scrive che raccolse lo spunto dal libro di Mirella Tenderlini su G.H., come viene confidenzialmente indicato. La lettura del libro in questione, uscito nel 1993 per i tipi della Vivalda, ha mostrato la figura di Hemming come affascinante e turbolenta, pugnace ed indolente, mascalzona ed altruista. Di tutto un po' quindi, per un ‘personaggione’ poliedrico e non facilmente catalogabile; la trasposizione di Salvà – o meglio l'interpretazione che ne dà – rimane svincolata da parametri concreti, per niente agganciati alla solida realtà prima ancora che alla dura roccia. Non è facile districarsi tra le metafore visive del film, che coglie momenti determinati ed intuibili del tormentato vissuto di Hemming. Resta il fatto che il cortometraggio, carico di simbolismi e di riferimenti allusivi, tratta il tema con intima delicatezza poetica. Forse anche per questo ha ricevuto una menzione speciale al Mountain Filmfestival di Kendall, dopo essere stato presentato alle rassegne specializzate di Trento, Les Diablerets, Graz ed altre. Quanto a “Monte
Perdido”, sarebbe facile etichettarne testo e contenuto come caleidoscopio
di allegorie cromatiche e concettuali. Niente di più ingeneroso (e
sbagliato) risulterebbe però bollare e liquidare il film come ‘alternativo’
tout court, quindi ‘altro’ e ‘secondo’ in una opinabile scala di valori e di
importanza. L'impostazione volutamente minimalista richiede inoltre un
doveroso approfondimento. In ultimo una considerazione espressa da chi usa il computer principalmente come una penna, quindi da parte di un emerito ignorante in materia di videografica, di composizione elettronica e di simili diavolerie. Anche ai non addetti ai lavori appare evidente una grande abilità ed un prolungato impegno nella costruzione e nel montaggio dei due filmati, che sono certamente frutto di una marcata perizia tecnica, ma soprattutto di un grande amore per la montagna, fuso con l'impegno e con la coerenza di chi è “egregio” (ossia al di fuori del gregge).
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Mauro Mazzetti
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copertina
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