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 la recensione cinematografica di intra i sass 

Titolo: Tool ‘em all
Autore:
Cristian Furlan
Fotografia: Andrea Gallo
Produzione: BARCODE FILMS c/o Superstudio Trieste –  2001
Durata: circa 24 min.  - colore
€. 20,14

 

Toll ‘em all recensione di Mauro Mazzetti

Credo sia capitato a tutti di ascoltare una conversazione in lingua straniera e non conosciuta: pensate ad esempio quando parlano tra di loro due moldavi o due tailandesi, e si rimane lì con la faccia stupita, nel contempo assorta ed assente.
La sensazione di disagio e di inadeguatezza striscia di soppiatto e sfocia in quella che viene tecnicamente chiamata “comunicazione non verbale”: cenni del capo, movimenti delle mani, spostamenti impercettibili del corpo e così via.
Devo dire che la stessa impressione mi ha colto alla visione di questa cassetta: non che il prodotto non sia ben confezionato, tutt'altro. Immagini nitide con prospettive sapientemente angolate, luce radente dove necessario per esaltare la scena, inquadrature spettacolari, musica ‘giusta’ (ma esisterà mai una musica ‘ingiusta’?).
Tutto il mix denota spiccata professionalità ed abilità tecnica sopraffina; inquadrature bilanciate, coordinamento artistico, pochissime parole per enfatizzare al meglio i gesti atletici. Resta però un ‘però’.
La domanda mi è infatti uscita spontanea, anche se espressa in maniera ruspante: “che c'azzecca con la montagna questa forma estrema di dry tooling?”
Certo, Mauro “Bubu” Bole è un grande alpinista – se solo si pensa alla sua via aperta dal basso ed in libera sullo Shipton Spire, nella valle del Trango in Pakistan; però, e di nuovo “però”, il dry tooling (uso delle piccozze su sezioni di roccia che collegano candele ghiacciate e stalattiti effimere) viene presentato nella video cassetta con accenti esasperati e totalizzanti, ritengo a discapito di una maggiore organicità del racconto visivo.
Viene infatti data la precedenza assoluta alle parti di salite “a secco” su roccia, con incastri di piccozza nelle fessure, agganci funambolici con i ramponi in versione pipistrello nei punti di sosta (sic!) a testa in giù. E quando finalmente, dopo tante tribolazioni e patimenti, il povero Bubu arriva al ghiaccio, rigorosamente verticale o strapiombante, di quei missili con l'ogiva puntata verso il caschetto di chi sale, ecco lì che la spietata e sadica regia ci cambia inquadratura: elegante dissolvenza, didascalia geografica per farci capire che sono variati il luogo e l'ambiente, e riparti con un'altra placca di roccia, con traversi sulla faccia inferiore di tetti, degni del miglior Güllich che scala “Realtà separata”.
Bubu Bole è comunque un grande nel suo genere; ma, proprio perché si parla del ‘suo’ genere, io personalmente mi sento lontano mille miglia dalla pratica di questa disciplina poliedrica ad altissimo livello, che abbina tecniche, strumenti ed attrezzature le più varie e differenziate. Non so quanti in Italia – ed all'estero – siano i praticanti di questa attività, che una volta, tanto tempo fa, veniva chiamata “misto”, quasi a sottolineare la fusione di stili e mentalità diverse (roccia e ghiaccio che si incontravano sul terreno di montagna). Senza scomodare la storia dell'alpinismo, episodi a bizzeffe testimoniano come non sia nato in tempi moderni l'uso di piccozze incastrate nelle fessure o che scavano piccole tacche per mani e piedi. Resta il fatto che l'evoluzione mentale e tecnica ha determinato, come è ovvio, uno sviluppo delle prestazioni e delle specializzazioni sempre più diversificate.
Guardiamoci comunque questo video senza riserve mentali e prendiamolo per quello che è: niente “lotta con l'alpe”, niente “nuovi mattini”, niente “volontà di potenza” (o delirio di onni-potenza), quanto piuttosto una disciplina per pochi intimi, dalla quale attingere un po' di known how per imparare qualche accorgimento da utilizzare sul vecchio caro “misto” che ci piace tanto e che pratichiamo a livello dilettantesco (cioè di chi si diletta, ossia si diverte).

 

Mauro Mazzetti
Genova, aprile 2002


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