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Credo sia capitato a tutti di
ascoltare una conversazione in lingua straniera e non conosciuta: pensate
ad esempio quando parlano tra di loro due moldavi o due tailandesi, e si
rimane lì con la faccia stupita, nel contempo assorta ed assente.
La sensazione di disagio e di inadeguatezza striscia di soppiatto e sfocia
in quella che viene tecnicamente chiamata “comunicazione non verbale”:
cenni del capo, movimenti delle mani, spostamenti impercettibili del corpo
e così via.
Devo dire che la stessa impressione mi ha colto alla visione di questa
cassetta: non che il prodotto non sia ben confezionato, tutt'altro.
Immagini nitide con prospettive sapientemente angolate, luce radente dove
necessario per esaltare la scena, inquadrature spettacolari, musica
‘giusta’ (ma esisterà mai una musica ‘ingiusta’?).
Tutto il mix denota spiccata professionalità ed abilità tecnica
sopraffina; inquadrature bilanciate, coordinamento artistico, pochissime
parole per enfatizzare al meglio i gesti atletici. Resta però un ‘però’.
La domanda mi è infatti uscita spontanea, anche se espressa in maniera
ruspante: “che c'azzecca con la montagna questa forma estrema di dry
tooling?”
Certo, Mauro “Bubu” Bole è un grande alpinista – se solo si pensa alla sua
via aperta dal basso ed in libera sullo Shipton Spire, nella valle del
Trango in Pakistan; però, e di nuovo “però”, il dry tooling (uso delle
piccozze su sezioni di roccia che collegano candele ghiacciate e
stalattiti effimere) viene presentato nella video cassetta con accenti
esasperati e totalizzanti, ritengo a discapito di una maggiore organicità
del racconto visivo.
Viene infatti data la precedenza assoluta alle parti di salite “a secco”
su roccia, con incastri di piccozza nelle fessure, agganci funambolici con
i ramponi in versione pipistrello nei punti di sosta (sic!) a testa in
giù. E quando finalmente, dopo tante tribolazioni e patimenti, il povero
Bubu arriva al ghiaccio, rigorosamente verticale o strapiombante, di quei
missili con l'ogiva puntata verso il caschetto di chi sale, ecco lì che la
spietata e sadica regia ci cambia inquadratura: elegante dissolvenza,
didascalia geografica per farci capire che sono variati il luogo e
l'ambiente, e riparti con un'altra placca di roccia, con traversi sulla
faccia inferiore di tetti, degni del miglior Güllich che scala “Realtà
separata”.
Bubu Bole è comunque un grande nel suo genere; ma, proprio perché si parla
del ‘suo’ genere, io personalmente mi sento lontano mille miglia dalla
pratica di questa disciplina poliedrica ad altissimo livello, che abbina
tecniche, strumenti ed attrezzature le più varie e differenziate. Non so
quanti in Italia – ed all'estero – siano i praticanti di questa attività,
che una volta, tanto tempo fa, veniva chiamata “misto”, quasi a
sottolineare la fusione di stili e mentalità diverse (roccia e ghiaccio
che si incontravano sul terreno di montagna). Senza scomodare la storia
dell'alpinismo, episodi a bizzeffe testimoniano come non sia nato in tempi
moderni l'uso di piccozze incastrate nelle fessure o che scavano piccole
tacche per mani e piedi. Resta il fatto che l'evoluzione mentale e tecnica
ha determinato, come è ovvio, uno sviluppo delle prestazioni e delle
specializzazioni sempre più diversificate.
Guardiamoci comunque questo video senza riserve mentali e prendiamolo per
quello che è: niente “lotta con l'alpe”, niente “nuovi mattini”, niente
“volontà di potenza” (o delirio di onni-potenza), quanto piuttosto una
disciplina per pochi intimi, dalla quale attingere un po' di known how per
imparare qualche accorgimento da utilizzare sul vecchio caro “misto” che
ci piace tanto e che pratichiamo a livello dilettantesco (cioè di chi si
diletta, ossia si diverte).
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