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 la recensione cinematografica di intra i sass 

Titolo: Yosemite
Autore: Valerio Folco

Produzione: Valerio Folco, 2003
Distribuzione: valeriofolco.com
(info@valeriofolco.com)
Durata: 38 min. – colore – inglese con sott. in italiano
Prezzo: € 15

 

 

Titolo: El Capitan
Autore: Fred Padula

Produzione: Fred Padula, Mill Valley California (USA), 1977
Distribuzione: Vivalda Editori, Torino 1995

Collana: "I capolavori del Cinema di Montagna"
Durata: 60 min. – colore
Prezzo: € 18,02

 

 

Sotto la luna di El Capitan recensione di Mauro Mazzetti


Ci sono molti modi per cominciare a riflettere su questa icona rocciosa dell'arrampicata: penso che tutti possiedano pregi e difetti, lati positivi e negativi, elementi favorevoli e sfavorevoli. Da parte mia, inizierò dalla luna, che avrà il ruolo simbolico di lasciapassare nei confronti di un movimento arrampicatorio senza eguali al mondo.

La luna compare infatti in entrambi i video. In El Capitan è memorabile (ed ineguagliabile) la sequenza dove il profilo dell'uomo che arrampica si staglia netto e preciso lungo la prua affilata dello spigolo roccioso e contro la luna padrona assoluta dello schermo. In Yosemite la scena è invece meno drammatica, ossia meno marcata dal punto di vista della rappresentazione, ma altrettanto significativa, tesa quasi a riprenderne temi e spunti non più nuovi, bensì innovativi, nel rispetto della tradizione dei “padri fondatori”.

Ma facciamo un passo avanti, e proviamo ad evidenziare diversità ed affinità che dividono ed accomunano i due film: vediamo di indicarne alcune, senza pretese di completezza.

Cominciamo dalle diversità.

Scontati l'abbigliamento ed i materiali – ma citiamo almeno il “sacco da bivacco” di Lito Tejada Flores preso direttamente dalle Poste statunitensi a fronte delle portaledge di Valerio Folco e C. – soffermiamoci un po' meglio sullo spirito che permea le due storie.

El Capitan è avvolto in un'atmosfera improntata ad una manifesta sacralità dell'azione, intendendo con “sacralità” una laica liturgia di gesti mai stereotipati e ripetitivi, quanto piuttosto propiziatori e propedeutici. Durante l'arrampicata, sia essa libera od artificiale, tempi e ritmi si sviluppano, omogenei ma sempre diversi, scandendo la salita e connotandone sempre i momenti salienti. In Yosemite l'aria è forse più scanzonata. Sintomatico è il seguente scambio di battute: “dove siamo?” “mi pare sul Capitan” “ah sì, e che via stiamo facendo?” (lunga pausa ad effetto) “non so, non so” (pausa) “aspetta, forse è Tempest. Sì sì, credo sia Tempest”. Tutti e tre gli arrampicatori si sfottono a vicenda, anche in momenti ed occasioni che richiederebbero tesa e completa concentrazione; ogni pretesto è buono per scherzare ed interrompere la monotonia di chi assicura e che passa in sosta ore ed ore di attesa.

Un altro aspetto che divide nettamente El Capitan da Yosemite è quello dell'intelligibilità dei dialoghi. Nel secondo, la pulita pronuncia con un American english molto scolastico la fa da padrone: i brevi ed azzeccati commenti vanno a sottolineare lo svolgimento dell'azione e sono pienamente integrati dai sottotitoli in italiano. Nel primo, invece, sfido chiunque non sia vissuto nel Bronx per almeno sei mesi a rendersi conto delle battute e del loro significato; versi gutturali e belluini (almeno così sembrano a chi non da del tu allo slang della West Coast) si susseguono gli uni agli altri, a riempire lunghe pause di silenzio.

Ed ecco un ulteriore motivo di diversità. La colonna sonora marca e suggella i due film. In El Capitan la musica solenne ed importante assume timbri e ruolo da protagonista; non si limita cioè ad accompagnare ed a commentare, quanto piuttosto ad impostare ed a indirizzare. In Yosemite il tono ed il genere sono leggeri, i temi musicali “respirano” lievi e schiudono orizzonti meno eroici e più dissacranti.

Analogamente, la chiusura dei film evidenzia un'ultima importante differenziazione. Da una parte i quattro di El Capitan, giunti in vetta, “sacrificano” un'anguria, immolata simbolicamente ma non solo, sull'altare pagano degli dei della roccia, quasi a ringraziarli della riuscita del viaggio verticale. Dall'altra parte i tre più un operatore di Yosemite bivaccano quietamente in cima alla montagna, davanti ad un fuoco scoppiettante che evoca pensieri sereni ben prima che eroici.

Passiamo ora alle affinità.

Com'è ovvio, siamo sotto al Capitan in entrambi i casi. Le due cordate, seppur a distanza di trent'anni l'una dall'altra, si accostano alla parete con immutata umiltà, liquidando la protervia a favore di una tenacia positiva. La permanenza in parete per giorni e giorni, scandita da bivacchi più o meno confortevoli e segnata da cibo che farebbe inorridire dietisti e salutisti, agevola il processo di “immedesimazione organica” fra gli uomini e l'ambiente. Viene così attivato un meccanismo virtuoso e simbiotico, dentro il quale trovano armonico sviluppo le singole parti dell'insieme (gli uomini con i loro piccoli gesti, gli uccelli che nidificano nei buchi e volteggiano attorno a quelli strani esseri appiccicati alla roccia, il sole che scandisce giorno e notte, la luna – ancora lei! – che arricchisce emotivamente le delicate sensazioni di chi guarda le lente e faticose ascese).

Saliamo anche noi assieme a tutti i protagonisti; piantiamo con loro chiodi tradizionali e diavolerie moderne dai nomi aggressivi e rampanti (sky-hook, bong, cliff hanger, micronut), faticando e penando in posizioni acrobatiche; soffiamo e sudiamo mentre pendoliamo con oscillazioni sempre più ampie alla ricerca di una fessura, di uno spigolo o anche solo di un misero buchetto dove incastrare un terzo di falange ed arrestare il tic tac del nostro corpo; proviamo assieme ai malcapitati l'ebbrezza (…) di attrezzare un tiro in piena notte, magari dopo un bel voletto al buio (nel significato stretto del termine).

E chiudiamo con un'annotazione, che integra l'affinità fra i due film. Guardando comparativamente le pellicole, non resta che pensare a come il valore e lo spessore dei lavori coinvolgano emotivamente lo spettatore in una azzeccata alternanza di azione e di pensiero. Un bel risultato.

Mauro Mazzetti
Genova, luglio 2003


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