Eravamo solamente in due dentro il bivacco, seduti ai
lati opposti del tavolo di legno. Ancora un po' di luce azzurrognola
entrava dalla finestra, permettendomi di sfogliare il quaderno delle mie
ascensioni senza bisogno di accendere le candele. Tra le pagine avevo
ritrovato una fotografia di qualche anno prima e, con sorpresa, cercavo di
comprendere le sensazioni strane che essa suscitava nel mio animo. Doveva
essere veramente importante quella fotografia se aveva continuato a
viaggiare con me per tutto quel tempo!
Volevo parlare per esporre al mio compagno i pensieri che si stavano
facendo strada in me.
“Guarda questa foto. Può un uomo arrivare a
tanto?”
Con un lancio perfetto, l'immagine arrivò dritta sotto la sua faccia.
Silenzio.
“Guarda dov'è! Guarda cosa ha fatto per arrivare
là sopra, una briciola di ghiaccio in mezzo a tanta roccia!”
Ancora silenzio.
“Non saprei dire se lui, ogni tanto, è in paradiso
o all'inferno.
Forse vive al limite tra questi. Un solo piccolo errore e cadrebbe in uno
dei due. Forse lui non desidera né l'uno né l'altro: vive nel mezzo, dove
gli si presentano di fronte delle possibilità e, quindi, può scegliere.
Può arrendersi in partenza e restare fermo, in una specie di limbo, ad
aspettare che il suo tempo si compia. Nessun problema.
Ma lui preferisce sfidare. Gli è concesso di scegliere un gioco che non ha
fine e che, inesorabilmente, lo porta a superare i propri limiti, giorno
dopo giorno, studiando le proprie capacità fisiche e psichiche. In questo
modo lui cammina ogni istante lungo il filo sottile che divide quei due
mondi opposti. Ogni giorno gli è solamente regalato, e lui lo sa bene!”.
Silenzio.
Fuori era già buio. I miei occhi potevano vedere solo
i contorni delle cose. Accesi quattro candele e le disposi lungo i bordi
del tavolo. Ripresi il mio posto, davanti a lui.
“...Scommetto che, ogni volta che appoggia la
testa sul cuscino, lui pensa, entra nelle pieghe più profonde e cerca
verità.
Cerca, cerca e si stanca perché non trova mai la fine. Poi, esausto per i
furiosi pensieri, fa silenzio. Le parole smettono di viaggiare
vorticosamente dentro la sua testa e fissa il soffitto buio, con gli occhi
spalancati in un vuoto infinito nel quale cerca che aspetto possa avere la
verità. Alla fine lui sa di non possederla, sa che questo non gli è
concesso. Lui può solamente cercare.
Ogni volta che supera i suoi limiti non si sente mai premiato. Pervaso da
questa amara considerazione, interviene a difenderlo il suo corpo dolente,
con segnali di sofferenza. Lui si rigira nel letto, distratto per un po'
dalla ricerca di una nuova posizione più confortevole. Cerca. Anche allora
cerca. Intuisce che gli sembra quella l'unica concessione.
Ma i pensieri presto tornano, diversi. Qualcosa d'altro lo affligge.
Lui sa bene che qualsiasi sia il motivo del suo disagio interiore, la
salvezza consiste nel rimanere lungo la sottile linea di confine e
cercare. Solo questa gli pare una certezza, e non avrà mai né inferno, né
paradiso.
Forse lui preferisce quel limbo di speranze, di ricerca interiore, di
processi di crescita culturale, di evoluzioni psico-fisiche. Comprende
solo allora quanto sia importante, per lui, cercare, cercare in sicurezza,
sperando che abbia fatto i passi giusti, che gli permettono di procedere
ancora un pezzetto su quella via impervia, con pochissimi appigli. Ogni
tappa a lui sembra una vera conquista e, ad ogni sosta, pensa: - ...e fin
qui tutto bene... -
Quel viaggio a tappe che lo affascina tanto è la sua ricerca. Lassù, lungo
quelle pareti verticali, la ricerca lo attrae in modo profondo, non
evidente a chi lo osserva da fuori. E' quasi un moto biologico delle sue
cellule, tutte quante le sente incitare: sono il suo vero motore, una
forza interiore che lo tiene ben saldo ai sassi, lungo le vie, al limitare
tra i due sconosciuti spazi. Lui sa che esistono, ma non lo vuole sapere.
Fa finta che non gli importi. L'importante per lui è continuare senza
cadere mai, né verso il paradiso, né verso l'inferno”.
Silenzio.
Con l'indice della mano sinistra spinsi leggermente
la fotografia ancor più sotto i suoi occhi, come ad incitarlo a
rispondere.
“Cosa pensi di un uomo così?”
Con una lentezza quasi fastidiosa sollevò l'immagine
e la osservò attentamente. Scorgevo i suoi occhi che si muovevano
velocemente per carpire ogni minuscolo particolare. Ma non una parola.
La foto scivolò untuosamente sulla superficie del tavolo di legno e si
fermò nel mezzo.
Improvvisamente un silenzio più profondo, che prima non avevo ascoltato,
ci avvolse come un piumino morbido e caldo, mentre un brivido mi scorreva
lungo la schiena.
I suoi occhi si spalancarono su di me fissandomi, azzurri, profondi, di
ghiaccio. Penetravano fastidiosamente la mia anima, spaventandomi. Non
riuscivo a localizzare la paura che mi stava assalendo.
“Ecco! Si alza!”
Si girò, dall'altro lato del tavolo, allontanandosi
da me. Si diresse lentamente verso la porta del bivacco, richiudendola
dietro di sé.
Non una parola.
Adesso mi sentivo sola, impotente. Mi alzai, raccolsi la fotografia e la
guardai di nuovo, alla luce delle candele.
“Cosa pensi di un uomo così?”
Quelle parole viaggiavano ancora nella mia testa,
come un'eco prepotentemente inesorabile. Alzai lo sguardo sulla parete di
fronte a me. Vi era, appeso, un piccolo specchio rotto. Provai un
irrefrenabile desiderio di guardarvi dentro e, con timore, vi arrivai
davanti:
...due occhi azzurri, profondi, di ghiaccio mi
fissavano. Penetravano fastidiosamente la mia anima, spaventandomi. Provai
un inconscio senso di paura, senza conoscerne il motivo reale. Mi
spaventai…
Erano gli occhi di uno sguardo duro, che esige di
sapere, conscio – dentro quel gelido bivacco - che non troverà mai una
verità.