Quando l'anima è inquieta

 

di Monica Fortini

 

 

Eravamo solamente in due dentro il bivacco, seduti ai lati opposti del tavolo di legno. Ancora un po' di luce azzurrognola entrava dalla finestra, permettendomi di sfogliare il quaderno delle mie ascensioni senza bisogno di accendere le candele. Tra le pagine avevo ritrovato una fotografia di qualche anno prima e, con sorpresa, cercavo di comprendere le sensazioni strane che essa suscitava nel mio animo. Doveva essere veramente importante quella fotografia se aveva continuato a viaggiare con me per tutto quel tempo!
Volevo parlare per esporre al mio compagno i pensieri che si stavano facendo strada in me.

“Guarda questa foto. Può un uomo arrivare a tanto?”
Con un lancio perfetto, l'immagine arrivò dritta sotto la sua faccia.

Silenzio.

“Guarda dov'è! Guarda cosa ha fatto per arrivare là sopra, una briciola di ghiaccio in mezzo a tanta roccia!”

Ancora silenzio.

“Non saprei dire se lui, ogni tanto, è in paradiso o all'inferno.
Forse vive al limite tra questi. Un solo piccolo errore e cadrebbe in uno dei due. Forse lui non desidera né l'uno né l'altro: vive nel mezzo, dove gli si presentano di fronte delle possibilità e, quindi, può scegliere. Può arrendersi in partenza e restare fermo, in una specie di limbo, ad aspettare che il suo tempo si compia. Nessun problema.
Ma lui preferisce sfidare. Gli è concesso di scegliere un gioco che non ha fine e che, inesorabilmente, lo porta a superare i propri limiti, giorno dopo giorno, studiando le proprie capacità fisiche e psichiche. In questo modo lui cammina ogni istante lungo il filo sottile che divide quei due mondi opposti. Ogni giorno gli è solamente regalato, e lui lo sa bene!”.

Silenzio. 

Fuori era già buio. I miei occhi potevano vedere solo i contorni delle cose. Accesi quattro candele e le disposi lungo i bordi del tavolo. Ripresi il mio posto, davanti a lui.

“...Scommetto che, ogni volta che  appoggia la testa sul cuscino, lui pensa, entra nelle pieghe più profonde e cerca verità.
Cerca, cerca e si stanca perché non trova mai la fine. Poi, esausto per i furiosi pensieri, fa silenzio. Le parole smettono di viaggiare vorticosamente dentro la sua testa e fissa il soffitto buio, con gli occhi spalancati in un vuoto infinito nel quale cerca che aspetto possa avere la verità. Alla fine lui sa di non possederla, sa che questo non gli è concesso. Lui può solamente cercare.
Ogni volta che supera i suoi limiti non si sente mai premiato. Pervaso da questa amara considerazione, interviene a difenderlo il suo corpo dolente, con segnali di sofferenza. Lui si rigira nel letto, distratto per un po' dalla ricerca di una nuova posizione più confortevole. Cerca. Anche allora cerca. Intuisce che gli sembra quella l'unica concessione.
Ma i pensieri presto tornano, diversi. Qualcosa d'altro lo affligge.
Lui sa bene che qualsiasi sia il motivo del suo disagio interiore, la salvezza consiste nel rimanere lungo la sottile linea di confine e cercare. Solo questa gli pare una certezza, e non avrà mai né inferno, né paradiso.
Forse lui preferisce quel limbo di speranze, di ricerca interiore, di processi di crescita culturale, di evoluzioni psico-fisiche. Comprende solo allora quanto sia importante, per lui, cercare, cercare in sicurezza, sperando che abbia fatto i passi giusti, che gli permettono di procedere ancora un pezzetto su quella via impervia, con pochissimi appigli. Ogni tappa a lui sembra una vera conquista e, ad ogni sosta, pensa: - ...e fin qui tutto bene... -
Quel viaggio a tappe che lo affascina tanto è la sua ricerca. Lassù, lungo quelle pareti verticali, la ricerca lo attrae in modo profondo, non evidente a chi lo osserva da fuori. E' quasi un moto biologico delle sue cellule, tutte quante le sente incitare: sono il suo vero motore, una forza interiore che lo tiene ben saldo ai sassi, lungo le vie, al limitare tra i due sconosciuti spazi. Lui sa che esistono, ma non lo vuole sapere. Fa finta che non gli importi. L'importante per lui è continuare senza cadere mai, né verso il paradiso, né verso l'inferno”.

Silenzio.

Con l'indice della mano sinistra spinsi leggermente la fotografia ancor più sotto i suoi occhi, come ad incitarlo a rispondere.

“Cosa pensi di un uomo così?”

Con una lentezza quasi fastidiosa sollevò l'immagine e la osservò attentamente. Scorgevo i suoi occhi che si muovevano velocemente per carpire ogni minuscolo particolare. Ma non una parola.
La foto scivolò untuosamente sulla superficie del tavolo di legno e si fermò nel mezzo.
Improvvisamente un silenzio più profondo, che prima non avevo ascoltato, ci avvolse come un piumino morbido e caldo, mentre un brivido mi scorreva lungo la schiena.
I suoi occhi si spalancarono su di me fissandomi, azzurri, profondi, di ghiaccio. Penetravano fastidiosamente la mia anima, spaventandomi. Non riuscivo a localizzare la paura che mi stava assalendo.

“Ecco! Si alza!”

Si girò, dall'altro lato del tavolo, allontanandosi da me. Si diresse lentamente verso la porta del bivacco, richiudendola dietro di sé.
Non una parola.
Adesso mi sentivo sola, impotente. Mi alzai, raccolsi la fotografia e la guardai di nuovo, alla luce delle candele.

“Cosa pensi di un uomo così?”

Quelle parole viaggiavano ancora nella mia testa, come un'eco prepotentemente inesorabile. Alzai lo sguardo sulla parete di fronte a me. Vi era, appeso, un piccolo specchio rotto. Provai un irrefrenabile desiderio di guardarvi dentro e, con timore, vi arrivai davanti:

...due occhi azzurri, profondi, di ghiaccio mi fissavano. Penetravano fastidiosamente la mia anima, spaventandomi. Provai un inconscio senso di paura, senza conoscerne il motivo reale. Mi spaventai… 

Erano gli occhi di uno sguardo duro, che esige di sapere, conscio – dentro quel gelido bivacco - che non troverà mai una verità.

 

Estate 2002
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Monica Fortini

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