Ritornando a casa
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di Massimo Anile | |
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L'aria
era pesante nella vecchia carrozza delle FN
ed i sedili di legno lucido particolarmente scomodi e scivolosi. I
campi inumiditi esalavano freddi vapori. “Almeno
fosse neve in montagna” si consolò col pensiero, ma era una speranza
fasulla perché i programmi del fine settimana non prevedevano alcuna
uscita sciistica. Mentre
stava percorrendo con la fantasia quelle pareti, per l'esattezza proprio
quando la lettura era caduta sulla ‘via Graffer’ al Campanile Basso,
un famoso itinerario di salita di difficoltà medie, si sentì
osservato. -
Lei.. cioè tu... arrampichi? - Disse d'un tratto il ragazzino indicando
con lo sguardo la rivista. Gianni
annuì muovendo la testa e guardando il suo interlocutore negli occhi. -
Io no, o meglio, non ancora, però mi voglio iscrivere a qualche corso.
Tu ne hai frequentato qualcuno? Sai se ce ne sono di validi vicino a
Saronno? Costa molto iscriversi? - lo travolse il ragazzo parlando a
velocità vertiginosa. -
Ehilà, calma amico, una cosa alla volta. Da quanto tempo hai in mente
queste cose? -
Io, beh, da qualche mese. Quest'estate sono stato in vacanza in Trentino
con i miei gen... cioè con degli amici ed ho visto un sacco di gente su
per le pareti con le corde e gli elmetti. “Deve essere emozionante”
mi son detto. Però non conosco nessuno che pratica questo sport. E' uno
sport, vero? Almeno si può definire tale, non è così? - -
Sì, da un certo punto di vista sicuramente, anche se la cosa è un po'
più complessa, a dire il vero... - -
Tu scali da tanti anni? - Gianni
sorrise, erano tanti o pochi gli anni che ‘scalava’? Ci
pensò un poco e poi disse - Tanti, quasi venti! -
Eh, son proprio tanti sì - disse il ragazzino tra sé, ma ad alta voce.
E questo riconoscimento d'esperienza, giacché il giovane questo voleva
intendere con quell'annuire, suonò alle orecchie di Gianni come un ammonimento
anagrafico. -
Com'è che hai incominciato? Hai fatto qualche corso? - Sorrise,
e si comprese nel ruolo del veterano al punto da centellinare le parole
di risposta lasciando intendere che ben altro si nascondeva dietro
quelle sintetiche espressioni. Poi
gli raccontò delle esperienze fondamentali consumate con gli amici più
grandi ed esperti. Gianni
si rituffò nella lettura della rivista, non senza prima gettare un
occhiata fuori dal finestrino, per verificare le condizioni del tempo. -
E' un tempo schifoso - riesordì il ragazzino, ed aggiunse: -
Si prepara un fine settimana tremendo - - Già - mugugnò Gianni, e il suo pensiero corse nuovamente alle montagne. “Una volta ci si muoveva comunque” pensò, “anche quando
diluviava o c'era neve”. Infatti tante volte aveva trovato tempo
instabile o brutto, oppure un vento tremendo, senza per questo
rinunciare alla meta. Se proprio non era possibile arrampicare si
cambiava programma, d'accordo, ma si faceva pur sempre qualcosa. Come
quella volta al Piz Prevat: c'era neve nelle fessure anche se era solo
metà settembre, per cui avevano smesso di arrampicare al secondo tiro.
Le dita non avevano più alcuna sensibilità e l'aria pungente turbinava
tra i vestiti, insinuandosi ovunque, anche
sotto la giacca da roccia. Oppure
quell'altra volta su in Valsassina, quando volevano portare Mirko a fare la Cassin
al Medale. Pioveva, e allora tutti dentro l'osteria di Zaccheo:
bianchini e salame fino alle nove e mezza e poi via a far la ferrata!
Erano saliti fino ai Resinelli sotto l'acqua e senza sentiero, con
Mirko che s'era riempito le tasche della tuta di lumache. E poi il sasso
nel canale, quel sapore di sangue in bocca, l'odore della tragedia
sfiorata, mancata per un soffio, nonostante quella situazione di
ripiego, apparentemente tranquilla, senza neanche arrampicare.
- Devi andare ad arrampicare in questi giorni? - -
Dovevo, ma con questo tempo credo sarà improbabile che ci vada... -
E' un peccato - mormorò il ragazzo con malcelata delusione - speriamo
almeno che domenica... - Gianni
lo guardò. -
Quanti anni hai? - -
Quin... quasi sedici! - “Quasi
sedici” pensò fra sé, “potrebbe essere mio figlio”. -
E' troppo tardi? - -
Troppo tardi per cosa? - -
Troppo tardi per cominciare! - Il
ragazzino non mollava. Aveva gli occhi sgranati, in attesa di una
risposta. Si capiva che in lui si muovevano energie più che cospicue
sotto il profilo della motivazione, che il suo era un bisogno inarginabile,
come tutti i bisogni adolescenziali, del resto. -
No, non è tardi per niente - lo rassicurò Gianni con un accento
paternalistico - anzi, direi che è un'età buona per intraprendere una
passione. A patto di non voler bruciare le tappe, di non voler consumare
tutto in un attimo. - Così
invece era stato per Sara, e non smetteva mai di rimproverarselo. -
Ma quanto ci vuole per imparare? E poi quanto dura un corso?
- -
Dipende, se hai talento e se sei determinato, oggi, dopo qualche uscita,
ti portano già sul quinto grado. Dicono che si deve cominciare subito
ad arrampicare ‘sul difficile’... - -
E invece una volta com'era? - chiese ansioso il ragazzino. -
Una volta si chiamavano ‘alpinisti’ anche quelli che percorrevano i
sentieri. Bisognava vestirsi con i pantaloni alla zuava di velluto a
coste, che al primo acquazzone si inzuppavano e restavano bagnati tutto
il giorno. E poi guai a camminare su un sentiero, per ampio e
pianeggiante che fosse, senza gli scarponi!
Figurati quanto dovevi attendere prima che qualche buon cuore ti
portasse a fare una crestina di ‘secondo’! E guai a te se
banalizzavi l'impresa! -
Però doveva essere bello sentire quelle storie! - -
E infatti lo era, ma fino a un certo punto, perché i racconti erano
sempre gli stessi e venivano presto a noia. Inoltre era difficile uscire
da quegli schemi. La tradizione è una bella cosa ma non deve tarpare le
ali al progresso. - Gianni
mormorò quelle parole con aria solenne e mentre le scandiva pensava a
quanto fossero pericolose, anche perché qualche volta si
scambiano per vecchiume tradizioni meravigliose ed usanze affascinanti e
per progresso la degenerazione dei costumi. -
Dipende cosa porta il progresso. - Sentenziò il ragazzo. “Era
proprio vero quel che diceva il ragazzo” rifletté Gianni. Il
treno si fermò. -
Santo Dio!
E' la mia fermata, debbo scendere! Ciao! - -
Ciao! Ci vediamo la settimana prossima! - rispose Gianni guardando
divertito il ragazzo che guadagnava l'uscita tenendo la vecchia borsa
sulla testa a mani tese. Non
aveva smesso di piovere. Gianni
si alzò dalla panca di legno ed abbassò il finestrino. -
Ciao ancora! - si sentì chiamare dalla pensilina. -
Ehi! - rispose - non m'hai neanche detto come ti chiami! -
Gianni! - rispose il ragazzo sorridendo e scomparve
mescolandosi tra la folla della stazione. |
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Novembre 1993 | |
Massimo Anile
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