Quella lunga lunga notte sul monte che fuma

 

di Lorenzo Doris

 

 

E' giovedì sera. Un qualsiasi giovedì di dicembre in una qualsiasi birreria di città.
Quattro amici stanno chiacchierando stancamente attorno ad un tavolo, attorno alle loro quattro birre scure.
Da molto tempo i quattro si conoscono, ma alcuni si sono tenuti meno in contatto di altri, ed ora si trovano riuniti dalla loro comune e forte passione per la montagna.
Ludovico beve a garganella la sua birra affermando di stare passando un periodo di particolare stress. Edoardo ascolta i tre lasciando che la sua birra si riscaldi. Maurizio animatamente parla di quante cose vorrebbe ancora fare sulle Alpi. Sandro sorseggia con calma la sua birra e sembra pensare ad altro, o forse sta solo assaporando attentamente l'amaro della sua birra.
Il tempo passa. La sera lascia sempre più spazio al popolo della notte, popolo al quale non si sentono di appartenere e decidono di chiudere la piccola rimpatriata, non prima però di accordarsi per una gita il sabato seguente. I pareri su dove e cosa fare sono discordanti. Emergono chiaramente però due posizioni: quella di Ludovico, che impegnato socialmente in montagna, non ha voglia per quel sabato di organizzare nulla e vuole per una volta farsi trascinare dagli altri; e quella di Sandro che vuole una gita poco più difficile di un'escursione.
Spinti all'uscita della birreria dalla ressa in entrata si accordano per pensarci un po' su e per risentirsi telefonicamente l'indomani sera.

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A casa di Maurizio squilla il telefono.
“Pronto”
“Ciao sono Ludovico. Pensato a qualcosa?”
“Io proporrei un Viaz sul Monte Soffia”
“Com'è? Sai che se è troppo impegnativo Sandro non viene”
“Guarda, è un itinerario che non presenta grosse difficoltà. Sono salti di roccia di 2°/3° con 50 metri circa di camminata tra l'uno e l'altro. Non ci sono pericoli oggettivi, la neve non dovrebbe che essere di circa 2 centimetri in vetta. L'ho già fatto e credo che in due ore di salita ed una in discesa si possa fare”
“Cosa portiamo come attrezzatura?”
“Niente”
“Niente? Non serve una corda, i ramponi od altro?”
“No. Se proprio volete, portate qualche moschettone; per chi li ha, i ramponcini piccoli, ed una corda da 15-20 metri tanto per agevolarci sui passaggi, se dovesse servire”
“Sei sicuro che sia sufficiente questo? Io non conosco la zona né l'itinerario, mi fido di te”
“Sì, è una cosa abbastanza semplice, l'ho già fatto in estate in 3 ore totali”
“Per l'ora di partenza?”
“Beh, ripeto in tre ore dovremmo finire tutto, partiamo alle 8:30, ci troviamo in Piazza Frate Indovino”.

I due si salutano, avvertono gli altri di quanto concordato, e vanno a letto con le rispettive mogli, che li accolgono in un letto caldo e soffice.

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“Cosa dici di pestare un po' sul pedale di questo macinino?”.
I quattro sono riuniti all'interno dell'abitacolo dell'auto che li sta portando alle pendici del Monte.
La conversazione è fluida, chiedono nuovamente a Maurizio lumi sull'itinerario, e vengono tranquillizzati.
Giunti al parcheggio notano la presenza di un manto nevoso maggiore di quanto fosse previsto. Ma Maurizio, conoscitore del luogo e dell'itinerario, ribadisce che anche con questa neve il percorso è decisamente abbordabile.
I quattro allegramente si preparano.
Il freddo è pungente e consiglia loro di portare appresso qualche indumento in più.

Dal bagagliaio dell'automobile spunta un caschetto. 
Sandro, Ludovico ed Edoardo guardano l'oggetto con sospetto e si chiedono con ansia se sia utile, ma subito viene riposto - da dove era sbucato - da Maurizio.
Qualche calzettone in più, qualche morso ad una barretta di cioccolata, uno sguardo rapido al Monte.
Si chiedono dove passi l'itinerario prescelto del Viaz, ma anche Maurizio da quella posizione non sa indicarne il tragitto.
Partono.

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Durante l'avvicinamento le barzellette sull'Euro fioccano. Come anche le palle di neve. L'atmosfera del gruppo è rilassata, scherzosa, simpatica. Finché giungono all'attacco del Viaz.
Subito un passaggio duro sbarra loro la strada. Subito abbisognano di quanto portato seco. Esce e si arrampica la corda di 15 metri, escono i moschettoni e si agganciano ai chiodi, esce la grinta ed accompagna i quattro oltre il primo muro di pochi metri.
Sandro si dimostra subito scettico sul fatto di proseguire. La neve è abbondante e copre gli appigli, e i passaggi sono più duri del previsto. Ma continuano.
Non senza difficoltà di lì a poco pervengono ad una seconda più lunga interruzione. Ludovico prende il comando e sale per 5 metri, poi con chiara difficoltà torna sui suoi passi. Le rocce sono ricoperte da un lieve manto di ghiaccio. Secondo lui si deve tornare.
Maurizio visti gli atteggiamenti rinunciatari dei tre, prende il comando. Usa la grinta, rischia, sale, trema,  supera il punto da dove non può più retrocedere (lo farebbe?), lotta ed alla fine vince!
I tre si guardano negli occhi. Bravo! Ma quanto ha rischiato!

Sandro mostra evidenti segni di impazienza, ma non per salire, per tornare. Edoardo, scrolla il capo, ma non capisce in pieno la gravità della situazione che Ludovico espone con chiarezza:
“Maurizio, ascoltami bene e rispondimi con sincerità e chiarezza.
Sono le 13:15, non conosco dove siamo. Se passiamo questo punto la ritirata ci è pregiudicata in quanto la corda di 15 metri resterebbe fissa qui e non né avremmo più per discendere il passaggio precedente. Già così come siamo ora l'abbandono è abbastanza problematico, e quindi ti chiedo: con sincerità com'è oltre?”.

Maurizio nuovamente, per quel che si ricorda, garantisce che i passaggi più duri sono passati, al massimo ce né un altro, ma rassicura anche sulla brevità del percorso ancora da completare.
I tre amici vorrebbero imporsi, ma perché? Per rompere un'amicizia? Ribadiscono che ci sono poche ore ancora di luce, e Maurizio mostra una forte determinazione, tanto da ottenere la fiducia dei tre. Seguono così colui che è il conoscitore del luogo e salgono il tratto con un passaggio di A1. I chiodi fortunatamente sono tutti in loco e su essi, spudoratamente, si attaccano.
Ludovico vede un chiodo che si muove, ha casualmente con sé un martello, toglie il chiodo e lo porta via, intuisce che forse ce ne sarà bisogno.

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Salgono, salgono, superano altri passaggi duri, poi sembra - a detta di Maurizio - che le difficoltà finiscano.
“Ok, mangiamo qualcosa. Ora potete mettere via la corda e i moschettoni. Oltre questo masso siamo arrivati, è finita”.
Ma oltre quel masso c'è ancora un canalino ripido ed abbondantemente innevato. Lo risalgono, a volte sprofondando fino all'inguine, e arrivano ad un ennesimo passaggio esposto, su di una paretina articolata. Il recupero con la corda di ogni componente, su questo tratto di percorso, fa loro perdere molto tempo. Ogni qualvolta calano la corda al compagno, questa si impiglia e non arriva mai. I minuti, i quarti d'ora, le mezz'ore passano inesorabili. E solo alle 15:30 i tre tornano riuniti.

La temperatura scende velocemente, al pari delle energie e non meno del loro umore ed affiatamento.
Tutti infatti ora litigano con tutti. Con Edoardo perché è lento nelle manovre di corda; con Maurizio perché non aiuta e sta a guardare; con Ludovico perché alza la voce e perde velocemente la pazienza; con Sandro perché, fanalino di coda, rallenta la comitiva.
Ma un imperativo li accomuna: salire! Quanto più rapidamente, salire!

Dopo 30 metri di roccette e vetrato la prima mazzata arriva su di loro. Maurizio si accorge che questo ultimo tratto è fuori dal Viaz, in un ramo secondario.
Retrocedere è utopia, sia per le difficoltà, sia per la rischiosità, sia per la lunghezza (o meglio cortezza) della corda.
Maurizio prova a salire ulteriormente per trovare una via d'uscita, ma alle 17:30 torna, e comunica loro la resa: “Attendiamo che ci vengano a prendere...”.
Ludovico, Sandro ed Edoardo accettano con proteste la situazione. Ma presto prendono coscienza dell'inevitabile: un bivacco invernale!
Soprattutto Ludovico è preoccupato, preoccupato per i suoi cari, e per quello che da lì in poi dovrà affrontare.

Il chiodo, già utilizzato per qualche passaggio precedente, viene ora definitivamente piazzato sulle labbra gelide della grigia roccia: servirà a che nessuno dormendo possa precipitare in basso.
Guardano negli zaini, mettono in comune le poche cose, organizzano la nottata.
Lasciano per le ore più fredde della mattina le bevande calde, per le prime ore della notte i cibi meno digeribili, per le ore centrali la cioccolata ed altri alimenti energetici. Fissano a circa ogni ora una minima ‘cena’.
Prima che il freddo li attanagli mettono addosso tutto quello hanno con loro, e per fortuna è molto. Berretti, almeno due in testa, poi il cappuccio della giacca a vento, un paio di guanti, due o tre maglioni e sopra la giacca a vento. I pantaloni sono il punto debole, ma ancor meno protetti sono i piedi: a contatto con la neve ed il ghiaccio, senza la minima possibilità di alzarli o sedere.

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I numeri. I numeri si accavallano nei loro cervelli: 15 ore all'alba, alle 20 forse le mogli si allarmeranno, i soccorsi potrebbero attivarsi tra le 21 e le 22, chissà a che ora arriveranno... 
15 ore a meno 8 gradi (così la temperatura che gli verrà comunicata l'indomani). Gli occhi sempre sull'orologio. Le 18:00, le 18:10, le 18:15...
C'è tempo per discorsi filosofici, politici. Tempo da passare ne hanno.
Edoardo descrive le costellazioni stellari ai compagni, come fece Alberto I° Re del Belgio nel suo improvvisato bivacco sulla Torre Venezia ai compagni Steger, Wiesinger e Bonacossa.
Elencano i bivacchi più famosi e più estremi per darsi coraggio: Bonatti sul K2 a 8.000 metri, Maspes in Pakistan a 5.000 metri, Piussi sulla Civetta in invernale con l'abbigliamento degli anni '30, ed il pensiero va ai barboni di città. Sì, devono e possono farcela!
A bocca aperta restano quando vedono il sorgere della luna piena, ed ancora di più quando le luci evanescenti delle città di pianura si mostrano là, all'orizzonte.
Eppoi rattristiscono al pensiero dei cari e dei figlioletti a casa che li aspettano. Sorrisi di bambini di pochi mesi o di pochi anni che sembrano materializzarsi di fronte a loro.
Ma si rendono subito conto che per sopravvivere non devono abbattersi, devono tenere alto il loro livello psico-emotivo. Devono ‘giocare’ sulla psiche e non sul fisico, devono crederci e sentirsi uniti.
Quest'ultima condizione è favorita dalla casuale sistemazione a cui è giunto Maurizio. Egli infatti non riesce, a causa del buio, a raggiungere i tre e si sistema a tre metri da loro. Questa carenza di contatto fisico con colui che i tre inconsciamente ritengono il responsabile - anche involontariamente - dell'accaduto, crea più omogeneità emotiva tra Edoardo, Sandro e Ludovico, pur non disinteressandosi di Maurizio, tenuto vigile quasi come fosse vicino a loro.
Questo accomodamento ha però lo svantaggio di impedire l'attuarsi di un chiarimento tra i quattro.

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Alle ore 23:00 notano dei movimenti sulla strada di valle. Gridano a più non posso.
Ludovico si ricorda di un fischietto visto nello zaino, lo cerca e tenta di fischiare un rigore alla lontana partita di calcio che si sta giocando a Milano, tanto è il fiato che getta dentro allo strumento.
E' evidente però che non li sentono.
Edoardo ha casualmente con sé un accendino e lo prende. Iniziano a bruciare tutto quello che capita loro tra le mani, la carta della cioccolata, poi le borsette di plastica che contenevano i vari cibi, perfino i biscotti!
Sino a quando si accorgono che verso le 2:30 della mattina sono stati localizzati. Se ne accorgono dai fari abbaglianti di un'auto che sembra volere comunicare con loro. Ciò necessita sicuramente una pronta risposta, così bruciano le ultime cose rimaste: i fazzoletti di cotone.
La risposta luminosa dal basso dà loro la certezza dell'arrivo dei soccorsi.

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Ma le ore sono lunghe da passare. Il freddo attanaglia i piedi e non è possibile fermarsi un attimo nel muoverli, nel saltellare, nell'aprire e chiudere le dita dei piedi.
Non hanno più forza ma bisogna continuare a muoversi!
Chi viene visto chiudere gli occhi viene subito scosso, preso a schiaffi, a pugni, finché dà segni di aver ripreso la veglia.
Fortunatamente sono fuori dal vento, ma qualche folata è cercata per rinfrescare maggiormente il viso e stimolare i sensi.
Per restare con i sensi desti, in quanto dormire può pregiudicare la loro sopravvivenza, oltre alle grida, ai canti, alle sberle e ai pugni... scoprono la neve! Scoprono che lavarsi il viso con la gelida neve dà una vampata di brividi a tutto il corpo e lo scuote da eventuali dormiveglia.

Le ore più dure, quelle tra le 5 e le 7, non passano più.
Non c'è nulla che possono fare. Il cibo è terminato, il freddo oramai penetra in profondità, le voci sono rauche... ma un sasso che cade, ed un parlottio lontano, destano improvvisamente tutti i sensi.
Subito iniziano a gridare, a farsi sentire.
I fasci di luce delle pile dei soccorritori sono raggi di sole ancor più caldi di quelli che oramai li stanno raggiungendo da est.
Il contatto visivo è la fine di un incubo. Vedere ora quel mondo inospitale, glaciale, che si ripopola di luci, di colori e di voci, è una grande emozione.

I soccorritori hanno attrezzato 160 metri di corde fisse, tra la fine del Viaz e i malcapitati che il giorno prima pensavano di essere quasi all'uscita dello stesso.
Imbacchettati, ma via via sempre più sciolti, aiutati dai ragazzi del Soccorso Alpino, i quattro arrivano al termine delle loro fatiche.
La salita finale non è certo agevole, anzi! Molta la neve, duri i passaggi che vengono affrontati di braccia sulle corde. Ma la certezza di aver oramai concluso le difficoltà aiuta loro a bruciare le ultime energie residue.

In forcella Ludovico, Sandro ed Edoardo si aspettano che Maurizio, l'organizzatore della gita, il conoscitore dell'itinerario, in un certo qual modo colui che li ha portati in questa situazione, prenda la parola per ringraziare i soccorritori e spiegare loro l'accaduto.
Ma ciò non avviene.
Ludovico, Sandro ed Edoardo vogliono dire qualcosa, ma cosa? Aspettano che Maurizio sciolga la tensione creata dall'assenza di una sua dichiarazione.
Ma invece la tensione cresce, è evidente che non hanno chiarito tra loro le responsabilità di quanto accaduto.
Solo il fragore dell'elicottero ed il verricello distoglie tutti da quell'imbarazzo.
I quattro alle 9:00 vengono issati sull'elicottero e portati all'ospedale più vicino, mentre i soccorritori iniziano la delicata discesa che li condurrà in circa due ore al passo, sul versante opposto, da dove erano partiti all'alba.
I soccorritori infatti provarono a raggiungere i quattro alpinisti dal versante che essi avevano utilizzato per la salita, ma le condizioni erano proibitive. Così dopo lungo girovagare decisero di partire dal versante opposto, più accessibile.

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All'Ospedale viene riscontrato loro solo un inizio di assideramento ed una perdita totale di zuccheri, minerali e vitamine. Poteva andare molto peggio.
Lì, dal direttore dell'operazione di soccorso, vengono a conoscenza delle difficoltà che avevano avuto nel localizzarli e nel raggiungerli, ma ancor di più vengono a conoscenza delle difficoltà dell'itinerario che avevano affrontato senza alcuna attrezzatura: un itinerario alpinistico con forti pericoli oggettivi, ricoperto di un manto di ghiaccio che ne aumenta sensibilmente le difficoltà già forti d'estate (che per almeno due passaggi sono valutate di 5°), e che ha già visto dei decessi illustri.

Edoardo, Ludovico e Sandro - irati - si girano di scatto verso Maurizio, che sul lettino sembra non seguire la conversazione.
I tre sollecitano fortemente una sua opinione. Egli allora riafferma la facilità dell'itinerario, e dunque la non capacità dei compagni prescelti, ed una sua leggera sottovalutazione delle condizioni invernali.
Il fuoco di lite che sembra oramai divampare, è gelato da un cellulare che suona.
Risponde Edoardo: è la moglie di Ludovico, l'autrice dell'allarme al Soccorso Alpino, che chiede informazioni su come stanno e sulla notte passata.
“Beh” - risponde Edoardo - “pensavo che un bivacco notturno di 15 ore a meno 8 gradi sempre in piedi si dimostrasse decisamente peggiore”.
A questa risposta fa eco un coro di risate, dai medici ai soccorritori, sommergendo se c'erano quelle dei quattro amici.

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Qualche tempo dopo, Edoardo si trova tra le mani il ‘libretto rosso del CAI’, dove a pagina 137 legge: 
“Scelta dei compagni. Apparentemente facile, in sostanza estremamente difficile e delicata, dalla scelta dei propri compagni possono dipendere il successo o l'insuccesso materiale dell'impresa, ma soprattutto possono derivare, o mancare, quelle soddisfazioni interiori che sole costituiscono l'essenza e la ragione dell'impresa stessa.
(...) Lo scopo precipuo da conseguire attraverso la scelta oculata dei propri compagni è quello di formare una cordata la più omogenea possibile, sia nei fattori morali e spirituali che in quelli puramente tecnici, in modo che ognuno possa fare pieno affidamento, in tutti i sensi, sui propri compagni”.
Egli socchiuse il volumetto tenendo con un dito il segno laddove la mente iniziò una sua riflessione.

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Questo racconto di fantasia è ispirato
ad un fatto veramente accaduto,
ma ogni riferimento a persone, azioni, e luoghi reali,
deve intendersi puramente casuale e non voluto.

 

Dicembre 1999

Lorenzo Doris

 

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