E' giovedì sera. Un
qualsiasi giovedì di dicembre in una qualsiasi birreria di città.
Quattro amici stanno chiacchierando stancamente attorno ad un tavolo,
attorno alle loro quattro birre scure.
Da molto tempo i quattro si conoscono, ma alcuni si sono tenuti meno in
contatto di altri, ed ora si trovano riuniti dalla loro comune e forte
passione per la montagna.
Ludovico beve a garganella la sua birra affermando di stare passando un
periodo di particolare stress. Edoardo ascolta i tre lasciando che la
sua birra si riscaldi. Maurizio animatamente parla di quante cose
vorrebbe ancora fare sulle Alpi. Sandro sorseggia con calma la sua birra
e sembra pensare ad altro, o forse sta solo assaporando attentamente l'amaro
della sua birra.
Il tempo passa. La sera lascia sempre più spazio al popolo della notte,
popolo al quale non si sentono di appartenere e decidono di chiudere la
piccola rimpatriata, non prima però di accordarsi per una gita il sabato
seguente. I pareri su dove e cosa fare sono discordanti. Emergono
chiaramente però due posizioni: quella di Ludovico, che impegnato
socialmente in montagna, non ha voglia per quel sabato di organizzare
nulla e vuole per una volta farsi trascinare dagli altri; e quella di
Sandro che vuole una gita poco più difficile di un'escursione.
Spinti all'uscita della birreria dalla ressa in entrata si accordano per
pensarci un po' su e per risentirsi telefonicamente l'indomani sera.
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A casa di Maurizio
squilla il telefono.
“Pronto”
“Ciao sono Ludovico. Pensato a qualcosa?”
“Io proporrei un Viaz sul Monte Soffia”
“Com'è? Sai che se è troppo impegnativo Sandro non viene”
“Guarda, è un itinerario che non presenta grosse difficoltà. Sono
salti di roccia di 2°/3° con 50 metri circa di camminata tra l'uno e l'altro.
Non ci sono pericoli oggettivi, la neve non dovrebbe che essere di circa
2 centimetri in vetta. L'ho già fatto e credo che in due ore di salita ed
una in discesa si possa fare”
“Cosa portiamo come attrezzatura?”
“Niente”
“Niente? Non serve una corda, i ramponi od altro?”
“No. Se proprio volete, portate qualche moschettone; per chi li ha, i
ramponcini piccoli, ed una corda da 15-20 metri tanto per agevolarci sui
passaggi, se dovesse servire”
“Sei sicuro che sia sufficiente questo? Io non conosco la zona né l'itinerario,
mi fido di te”
“Sì, è una cosa abbastanza semplice, l'ho già fatto in estate in 3
ore totali”
“Per l'ora di partenza?”
“Beh, ripeto in tre ore dovremmo finire tutto, partiamo alle 8:30, ci
troviamo in Piazza Frate Indovino”.
I due si salutano,
avvertono gli altri di quanto concordato, e vanno a letto con le
rispettive mogli, che li accolgono in un letto caldo e soffice.
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“Cosa dici di
pestare un po' sul pedale di questo macinino?”.
I quattro sono riuniti
all'interno dell'abitacolo dell'auto che li sta portando alle pendici
del Monte.
La conversazione è
fluida, chiedono nuovamente a Maurizio lumi sull'itinerario, e vengono
tranquillizzati.
Giunti al parcheggio
notano la presenza di un manto nevoso maggiore di quanto fosse previsto. Ma
Maurizio, conoscitore del luogo e dell'itinerario, ribadisce che
anche con questa neve il percorso è decisamente abbordabile.
I quattro allegramente
si preparano.
Il freddo è pungente
e consiglia loro di portare appresso qualche indumento in più.
Dal bagagliaio dell'automobile
spunta un caschetto.
Sandro, Ludovico ed Edoardo guardano l'oggetto con
sospetto e si chiedono con ansia se sia utile, ma subito viene riposto -
da dove era sbucato - da Maurizio.
Qualche calzettone in
più, qualche morso ad una barretta di cioccolata, uno sguardo rapido al
Monte.
Si chiedono dove passi
l'itinerario prescelto del Viaz, ma anche Maurizio da quella posizione
non sa indicarne il tragitto.
Partono.
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Durante l'avvicinamento
le barzellette sull'Euro fioccano. Come anche le palle di neve. L'atmosfera
del gruppo è rilassata, scherzosa, simpatica. Finché giungono all'attacco
del Viaz.
Subito un passaggio
duro sbarra loro la strada. Subito abbisognano di quanto portato seco.
Esce e si arrampica la corda di 15 metri, escono i moschettoni e si
agganciano ai chiodi, esce la grinta ed accompagna i quattro oltre il
primo muro di pochi metri.
Sandro si dimostra
subito scettico sul fatto di proseguire. La neve è abbondante e copre
gli appigli, e i passaggi sono più duri del previsto. Ma continuano.
Non senza difficoltà
di lì a poco pervengono ad una seconda più lunga interruzione.
Ludovico prende il comando e sale per 5 metri, poi con chiara difficoltà
torna sui suoi passi. Le rocce sono ricoperte da un lieve manto di
ghiaccio. Secondo lui si deve tornare.
Maurizio visti gli
atteggiamenti rinunciatari dei tre, prende il comando. Usa la grinta,
rischia, sale, trema, supera
il punto da dove non può più retrocedere (lo farebbe?), lotta ed alla
fine vince!
I tre si guardano
negli occhi. Bravo! Ma quanto ha rischiato!
Sandro mostra evidenti
segni di impazienza, ma non per salire, per tornare. Edoardo, scrolla il
capo, ma non capisce in pieno la gravità della situazione che Ludovico
espone con chiarezza:
“Maurizio, ascoltami
bene e rispondimi con sincerità e chiarezza.
Sono le 13:15, non
conosco dove siamo. Se passiamo questo punto la ritirata ci è
pregiudicata in quanto la corda di 15 metri resterebbe fissa qui e non né
avremmo più per discendere il passaggio precedente. Già così come
siamo ora l'abbandono è abbastanza problematico, e quindi ti chiedo:
con sincerità com'è oltre?”.
Maurizio nuovamente,
per quel che si ricorda, garantisce che i passaggi più duri sono
passati, al massimo ce né un altro, ma rassicura anche sulla brevità
del percorso ancora da completare.
I tre amici vorrebbero
imporsi, ma perché? Per rompere un'amicizia? Ribadiscono che ci sono
poche ore ancora di luce, e Maurizio mostra una forte determinazione,
tanto da ottenere la fiducia dei tre. Seguono così colui che è il
conoscitore del luogo e salgono il tratto con un passaggio di A1. I
chiodi fortunatamente sono tutti in loco e su essi, spudoratamente, si
attaccano.
Ludovico vede un
chiodo che si muove, ha casualmente con sé un martello, toglie il
chiodo e lo porta via, intuisce che forse ce ne sarà bisogno.
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Salgono, salgono,
superano altri passaggi duri, poi sembra - a detta di Maurizio - che le
difficoltà finiscano.
“Ok, mangiamo
qualcosa. Ora potete mettere via la corda e i moschettoni. Oltre questo
masso siamo arrivati, è finita”.
Ma oltre quel
masso c'è ancora un canalino ripido ed abbondantemente innevato. Lo
risalgono, a volte sprofondando fino all'inguine, e arrivano ad un
ennesimo passaggio esposto, su di una paretina articolata. Il recupero
con la corda di ogni componente, su questo tratto di percorso, fa loro
perdere molto tempo. Ogni qualvolta calano la corda al compagno, questa
si impiglia e non arriva mai. I minuti, i quarti d'ora, le mezz'ore
passano inesorabili. E solo alle 15:30 i tre tornano riuniti.
La temperatura scende
velocemente, al pari delle energie e non meno del loro umore ed
affiatamento.
Tutti infatti ora
litigano con tutti. Con Edoardo perché è lento nelle manovre di corda;
con Maurizio perché non aiuta e sta a guardare; con Ludovico perché
alza la voce e perde velocemente la pazienza; con Sandro perché,
fanalino di coda, rallenta la comitiva.
Ma un imperativo li
accomuna: salire! Quanto
più rapidamente, salire!
Dopo 30 metri di
roccette e vetrato la prima mazzata arriva su di loro. Maurizio si
accorge che questo ultimo tratto è fuori dal Viaz, in un ramo
secondario.
Retrocedere è utopia,
sia per le difficoltà, sia per la rischiosità, sia per la lunghezza (o
meglio cortezza) della corda.
Maurizio prova a
salire ulteriormente per trovare una via d'uscita, ma alle 17:30 torna,
e comunica loro la resa: “Attendiamo che ci vengano a prendere...”.
Ludovico, Sandro ed
Edoardo accettano con proteste la situazione. Ma presto prendono
coscienza dell'inevitabile: un bivacco invernale!
Soprattutto Ludovico
è preoccupato, preoccupato per i suoi cari, e per quello che da lì in
poi dovrà affrontare.
Il chiodo, già
utilizzato per qualche passaggio precedente, viene ora definitivamente
piazzato sulle labbra gelide della grigia roccia: servirà a che nessuno
dormendo possa precipitare in basso.
Guardano negli zaini,
mettono in comune le poche cose, organizzano la nottata.
Lasciano per le ore più
fredde della mattina le bevande calde, per le prime ore della notte i
cibi meno digeribili, per le ore centrali la cioccolata ed altri
alimenti energetici. Fissano a circa ogni ora una minima ‘cena’.
Prima che il freddo li
attanagli mettono addosso tutto quello hanno con loro, e per fortuna è
molto. Berretti, almeno due in testa, poi il cappuccio della giacca a
vento, un paio di guanti, due o tre maglioni e sopra la giacca a vento.
I pantaloni sono il punto debole, ma ancor meno protetti sono i piedi:
a contatto con la neve ed il ghiaccio, senza la minima possibilità di
alzarli o sedere.
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I numeri. I numeri si
accavallano nei loro cervelli: 15 ore all'alba, alle 20 forse le
mogli si allarmeranno, i soccorsi potrebbero attivarsi tra le 21 e le
22, chissà a che ora arriveranno...
15 ore a meno 8 gradi (così
la temperatura che gli verrà comunicata l'indomani). Gli occhi sempre
sull'orologio. Le 18:00, le 18:10, le 18:15...
C'è tempo per
discorsi filosofici, politici. Tempo da passare ne hanno.
Edoardo descrive le
costellazioni stellari ai compagni, come fece Alberto I° Re del Belgio
nel suo improvvisato bivacco sulla Torre Venezia ai compagni Steger,
Wiesinger e Bonacossa.
Elencano i bivacchi più
famosi e più estremi per darsi coraggio: Bonatti sul K2 a 8.000 metri,
Maspes in Pakistan a 5.000 metri, Piussi sulla Civetta in invernale con
l'abbigliamento degli anni '30, ed il pensiero va ai barboni di città.
Sì, devono e possono farcela!
A bocca aperta restano
quando vedono il sorgere della luna piena, ed ancora di più quando le luci
evanescenti delle città
di pianura si mostrano là, all'orizzonte.
Eppoi
rattristiscono
al pensiero dei cari e dei figlioletti a casa che li aspettano. Sorrisi
di bambini di pochi mesi o di pochi anni che sembrano materializzarsi di
fronte a loro.
Ma si rendono subito
conto che per sopravvivere non devono abbattersi, devono tenere alto il
loro livello psico-emotivo. Devono ‘giocare’ sulla psiche e non sul
fisico, devono crederci e sentirsi uniti.
Quest'ultima
condizione è favorita dalla casuale sistemazione a cui è giunto
Maurizio. Egli infatti non riesce, a causa del buio, a raggiungere i tre
e si sistema a tre metri da loro. Questa carenza di contatto fisico con
colui che i tre inconsciamente ritengono il responsabile - anche
involontariamente - dell'accaduto, crea più omogeneità emotiva tra
Edoardo, Sandro e Ludovico, pur non disinteressandosi di Maurizio,
tenuto vigile quasi come fosse vicino a loro.
Questo accomodamento
ha però lo svantaggio di impedire l'attuarsi di un chiarimento tra i
quattro.
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Alle ore 23:00 notano
dei movimenti sulla strada di valle. Gridano a più non posso.
Ludovico si ricorda di
un fischietto visto nello zaino, lo cerca e tenta di fischiare un rigore
alla lontana partita di calcio che si sta giocando a Milano, tanto è il
fiato che getta dentro allo strumento.
E' evidente però che
non li sentono.
Edoardo ha casualmente
con sé un accendino e lo prende. Iniziano a bruciare tutto quello che
capita loro tra le mani, la carta della cioccolata, poi le borsette di
plastica che contenevano i vari cibi, perfino i biscotti!
Sino a quando si
accorgono che verso le 2:30 della mattina sono stati localizzati. Se ne
accorgono dai fari abbaglianti di un'auto che sembra volere comunicare
con loro. Ciò necessita sicuramente una pronta risposta, così
bruciano le ultime cose rimaste: i fazzoletti di cotone.
La risposta luminosa
dal basso dà loro la certezza dell'arrivo dei soccorsi.
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Ma le ore sono lunghe
da passare. Il freddo attanaglia i piedi e non è possibile fermarsi un
attimo nel muoverli, nel saltellare, nell'aprire e chiudere le dita dei
piedi.
Non hanno più forza
ma bisogna continuare a muoversi!
Chi viene visto
chiudere gli occhi viene subito scosso, preso a schiaffi, a pugni, finché
dà segni di aver ripreso la veglia.
Fortunatamente sono
fuori dal vento, ma qualche folata è cercata per rinfrescare
maggiormente il viso e stimolare i sensi.
Per restare con i
sensi desti, in quanto dormire può pregiudicare la loro sopravvivenza,
oltre alle grida, ai canti, alle sberle e ai pugni... scoprono la neve! Scoprono che lavarsi il viso con la gelida
neve dà una vampata di
brividi a tutto il corpo e lo scuote da eventuali dormiveglia.
Le ore più dure,
quelle tra le 5 e le 7, non passano più.
Non c'è nulla che
possono fare. Il cibo è terminato, il freddo oramai penetra in
profondità, le voci sono rauche... ma un sasso che cade, ed un
parlottio lontano, destano improvvisamente tutti i sensi.
Subito iniziano a
gridare, a farsi sentire.
I fasci di luce delle
pile dei soccorritori sono raggi di sole ancor più caldi di quelli che
oramai li stanno raggiungendo da est.
Il contatto visivo è
la fine di un incubo. Vedere ora quel mondo inospitale, glaciale, che si
ripopola di luci, di colori e di voci, è una grande emozione.
I soccorritori hanno
attrezzato 160 metri di corde fisse, tra la fine del Viaz e i
malcapitati che il giorno prima pensavano di essere quasi all'uscita dello stesso.
Imbacchettati, ma via via sempre più sciolti, aiutati dai ragazzi del Soccorso Alpino, i
quattro arrivano al termine delle loro fatiche.
La salita finale non
è certo agevole, anzi! Molta la neve, duri i passaggi che vengono
affrontati di braccia sulle corde. Ma la certezza di aver oramai
concluso le difficoltà aiuta loro a bruciare le ultime energie residue.
In forcella Ludovico,
Sandro ed Edoardo si aspettano che Maurizio, l'organizzatore della gita,
il conoscitore dell'itinerario, in un certo qual modo colui che li ha
portati in questa situazione, prenda la parola per ringraziare i
soccorritori e spiegare loro l'accaduto.
Ma ciò non avviene.
Ludovico, Sandro ed
Edoardo vogliono dire qualcosa, ma cosa? Aspettano che Maurizio sciolga
la tensione creata dall'assenza di una sua dichiarazione.
Ma invece la tensione
cresce, è evidente che non hanno chiarito tra loro le responsabilità
di quanto accaduto.
Solo il fragore dell'elicottero
ed il verricello distoglie tutti da quell'imbarazzo.
I quattro alle 9:00
vengono issati sull'elicottero e portati all'ospedale più vicino, mentre i soccorritori iniziano la delicata discesa che li condurrà in
circa due ore al passo, sul versante opposto, da dove erano partiti all'alba.
I soccorritori infatti
provarono a raggiungere i quattro alpinisti dal versante che essi
avevano utilizzato per la salita, ma le condizioni erano proibitive. Così dopo lungo
girovagare decisero di partire dal versante opposto, più accessibile.
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All'Ospedale viene
riscontrato loro solo un inizio di assideramento ed una perdita totale
di zuccheri, minerali e vitamine. Poteva andare molto peggio.
Lì, dal direttore
dell'operazione di soccorso, vengono a conoscenza delle difficoltà che
avevano avuto nel localizzarli e nel raggiungerli, ma ancor di più
vengono a conoscenza delle difficoltà dell'itinerario che avevano
affrontato senza alcuna attrezzatura: un itinerario alpinistico con
forti pericoli oggettivi, ricoperto di un manto di ghiaccio che ne
aumenta sensibilmente le difficoltà già forti d'estate (che per almeno
due passaggi sono valutate di 5°), e che ha già visto dei decessi
illustri.
Edoardo, Ludovico e
Sandro - irati - si girano di scatto verso Maurizio, che sul lettino sembra
non seguire la conversazione.
I tre sollecitano
fortemente una sua opinione. Egli allora riafferma la facilità dell'itinerario,
e dunque la non capacità dei compagni prescelti, ed una sua leggera
sottovalutazione delle condizioni invernali.
Il fuoco di lite che
sembra oramai divampare, è gelato da un cellulare che suona.
Risponde Edoardo: è
la moglie di Ludovico, l'autrice dell'allarme al Soccorso Alpino, che
chiede informazioni su come stanno e sulla notte passata.
“Beh” - risponde
Edoardo - “pensavo che un bivacco notturno di 15 ore a meno 8 gradi sempre in
piedi si dimostrasse decisamente peggiore”.
A questa risposta fa
eco un coro di risate, dai medici ai soccorritori, sommergendo se c'erano
quelle dei quattro amici.
__________
Qualche tempo dopo,
Edoardo si trova tra le mani il ‘libretto rosso del CAI’, dove a
pagina 137 legge:
“Scelta dei compagni. Apparentemente facile, in
sostanza estremamente difficile e delicata, dalla scelta dei propri
compagni possono dipendere il successo o l'insuccesso materiale dell'impresa,
ma soprattutto possono derivare, o mancare, quelle soddisfazioni
interiori che sole costituiscono l'essenza e la ragione dell'impresa
stessa.
(...) Lo scopo precipuo
da conseguire attraverso la scelta oculata dei propri compagni è quello
di formare una cordata la più omogenea possibile, sia nei fattori
morali e spirituali che in quelli puramente tecnici, in modo che ognuno
possa fare pieno affidamento, in tutti i sensi, sui propri compagni”.
Egli socchiuse il
volumetto tenendo con un dito il segno laddove la mente iniziò una sua riflessione.
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Questo racconto di
fantasia è ispirato
ad un fatto veramente
accaduto,
ma ogni riferimento a
persone, azioni, e luoghi reali,
deve intendersi
puramente casuale e non voluto.