Kailas: la Montagna Sacra
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di Alessandro Pellegatta | |
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Il Kailas è il luogo sacro che ha influenzato maggiormente la cultura
indiana: la sua influenza valica gli stessi confini geografici dell'India
ed è presente in tutta l'Asia. La prima volta che mi sono misurato con il mito del
Monte Kailas fu nel Rajasthan, la regione desertica posta a nord-ovest
dell'India, e precisamente ad Ajmer: città non bella ma da vedere per
almeno due ragioni, una delle quali è la visita al famoso tempio
jainista di Nasiyan. “V'era,
un tempo, un picco del Monte Meru famoso nel trimundio. Questo picco
traeva la sua discendenza dal Sole ed era chiamato Luminare; era ricco
di ogni sorta di gemme, incommensurabile, inaccessibile a tutte le
genti. Là, sul pendio montano adorato d'oro e di minerali, il dio
Shiva stava assiso come su un divano, rifulgendo di intenso
splendore...”(dal ‘Mahabharata’). Tornano alla mente le solitarie pietraie intorno al
Kailas, dove visse Milarepa, cibandosi di sole ortiche e radici e
vestendosi di cotone nei
rigori estremi del clima tibetano, grazie alla sua capacità di generare
il ‘tumo’, il calore
interiore che si sviluppa attraverso la meditazione. Milarepa non
possedeva nulla e si sottopose a privazioni tremende. Lo stesso spirito
di Milarepa anima l'ascetismo attuale del jainismo, i cui seguaci sono
strettamente vegetariani e fanno penitenza digiunando. Come è possibile che il Kailas, una montagna di
appena 6000 metri, sia considerata così importante, quando ve ne sono
di ben più alte e imponenti nella catena himalayana? Quali sono
le ragioni che fanno del Kailas la montagna più sacra del mondo?
Cosa contribuisce a fare di questa montagna un archetipo così radicato
nell'inconscio collettivo dell'intero continente asiatico, a
migliaia di chilometri di distanza dalla catena himalayana, fino ad
Angkor e Borobudur ? “L'Illuminato
dice in verità che questa montagna di neve è l'ombelico del
mondo...Qui si può raggiungere la Perfezione trascendente”.
Dall'altopiano intorno al Kailas nascono il Gange, l'Indo, il Suthej
ed il Brahmaputra. Sulle sue pendici cresce la famosa e mitica ‘soma’, la bevanda della non-morte, l'elisir di lunga vita che va
raccolta nelle notti di luna piena e a cui sono stati dedicati ben 120
‘Veda’, le antiche scritture sacre dell'India. La fase più antica
dell'Induismo è rappresentata dalla religione Vedica (c. 1500 a.C.),
durante la quale gli indiani veneravano divinità ritenute
originariamente ‘mortali’, che si credeva avessero raggiunto
l'immortalità bevendo, appunto, il succo divino della ‘soma’. Il Kailas è al centro del mitico ‘Chaturdvipa’,
il continente-mondo visto come un fiore di loto a quattro petali della
cosmogonia vedica, ed è venerato da quattro religioni. Per l'Induismo,
come sopra illustrato, è il regno di Shiva, il dio del ‘Lingam’ (fallo) e delle pratiche ascetiche, il grande Distruttore
e Trasformatore. Per il Buddismo è la dimora di Sanvara, una manifestazione irata di Sakyamuni, ritenuta
l'equivalente di Shiva. Il Jainismo venera il Kailas, in quanto il suo
primo santo (Adinath, appunto) lì raggiunse il nirvana. L'antica
religione ‘bòn’ del Tibet
vede in esso la montagna dalla svastica a nove piani, sulla quale scese
dal cielo il fondatore. Si racconta che Milarepa un giorno venne sfidato
da uno sciamano ‘bònpo’ a
salire sulla cima del Kailas. Lo sciamano raggiunse effettivamente la
vetta, ma quando si accorse che Milarepa - che camminava ‘sul
vento’ - era già lì, si lasciò sfuggire di mano il suo tamburo
magico che, cadendo, tracciò quella lunga linea verticale che
contraddistingue il versante sud-est della montagna. Dalla stilizzazione della figura del Kailas e del
suo ‘jojoba’, l'albero sacro da cui sgorga il Gange, hanno preso
forma, oltre alle torri-pagode (dette ‘Meru’) dell'Indonesia e
le splendide ‘shikhara’ (torri) del Khajuraho (vicino a Benares),
gli stessi ‘stupa buddisti’. Il Kailas non è solo una montagna. E' una montagna con una sua ‘personalità’. Vibra di arcano, di miti e simboli, è lì che ti parla. Devi solo accettare il suo invito, e uscirai mutato dall'esperienza. Come con ogni montagna, bisogna passarle accanto percependone il sussurro, riconoscendo la sacralità dei luoghi e la sottile presenza del ‘genius loci’: bisogna avvicinarla con rispetto, tendendo l'orecchio alla sua voce più profonda, cercando di indirizzare lo sguardo oltre la realtà più scontata. “O Madre Terra, ogni passo che facciamo su di Te dovrebbe essere fatto in modo santo...”, diceva Alce Nero, il grande sciamano sioux.
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<>1999<> | |
Alessandro Pellegatta
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