Gli spazzini del K2

Lungo il Baltoro per una missione ecologica

 

di Gianfranco Bracci

 

 

Quando i miei piedi si riposano, smette di funzionare anche la mia mente.
                                                                        J.C. Hamann

Pakistan 1990. 
Sacchetti di plastica, scatolette, barattoli, medicine pericolose, batterie, bombole di gas, perfino cassette pornografiche: una vera discarica abusiva d'alta quota. Si conoscono anche i colpevoli: alpinisti di tutto il mondo e di tutte le ere, famosi e non, che nella loro frenetica corsa alla seconda vetta del pianeta si sono ‘dimenticati’ di rispettare alcune regole fondamentali di civiltà. Siamo a 5.200 metri d'altezza, al campo base del K2 (8.611 m), la seconda montagna del mondo, in compagnia di altri sei fiorentini del Firenze Trekking, due friulani e due milanesi. Abbiamo risposto al messaggio ecologico lanciato da Mountain Wilderness, partecipando alla spedizione internazionale Free K2, organizzata da Carlo Alberto Pinelli e da Fausto De Stefani che ha scalato tutti i 14 ottomila della terra e si occupa anche di aiutare a studiare i bimbi himalayani.

Con molta fatica ed affanno, sotto l'occhio tecnologico delle telecamere, le mani protette da robusti guanti da lavoro, rovistiamo fra i mucchi di rifiuti lasciati dalle spedizioni che si sono succedute negli ultimi decenni. Aggirandoci sulla superficie apparentemente pietrosa del ghiacciaio (infatti sotto un piccolo strato di pietra non c'è che acqua ghiacciata) cerchiamo di scovare i materiali più inquinanti che dovremo riporre in appositi sacchi da portare più a valle. Il resto lo bruceremo e lo compatteremo per essere ugualmente trasportato fino al primo centro di raccolta rifiuti. Un lavoro ingrato che speriamo serva d'esempio a chi ci seguirà.

Per arrivare fino qua ci sono voluti 15 giorni avventurosi e stancanti. In sintesi occorrono: 30 faticose e pericolosissime ore di bus (oppure se si ha fortuna solo un'ora di aereo); sette polverose ore di jeep; oltre 100 chilometri a piedi lungo un percorso irto di difficoltà, ma non impossibile.

Ma ritorniamo da capo e sbirciamo nel taccuino degli appunti.

I fari del bus frugano nella profonda oscurità della notte, mostrando il tortuoso, difficile tracciato, pieno di buche e di guadi, della Karakorum Highway, la strada che dal Pakistan sale al passo del Khunjerab per poi disperdersi nelle immense distese desertiche della Cina. Questa direttrice non ha proprio nulla dell'autostrada, ma piuttosto sembra una grande ed infinita mulattiera. Si procede per lunghi tratti quasi a passo d'uomo, su un fondo dissestato, pieno di tratti franosi, intersecato spesso da piccoli ma vorticosi torrenti a strapiombo sul fiume Indo, le cui acque riempiono una profonda ed importante frattura terrestre, quella che segna la divisione geologica fra Himalaya e Karakorum. Questo fiume pare un mare in tempesta rotolante a valle e mette paura solo a guardarlo. 

Una sbarra disposta trasversalmente impedisce di proseguire (in Pakistan, India e Nepal è consueto trovare posti di blocco la notte). Tre militari armati di tutto punto, dopo aver controllato i documenti, salgono accanto a noi a mo di scorta. Preoccupati domandiamo spiegazioni, e veniamo ‘tranquillizzati’ con sorridenti risposte che annunciano candidamente la possibilità d'eventuali attacchi di banditi locali!
Queste sono le conseguenze del ritardo dell'infallibile compagnia aerea tedesca, che ci ha fatto perdere l'unico aereo possibile costringendoci a sopportare gli 800 chilometri (due lunghi giorni) di strada che separano Islamabad da Skardu. In realtà poi sarò grato alla Lufthansa di questo ritardo, utile per attraversare uno spaccato di popoli e paesaggi veramente unico al mondo la cui percorrenza è consigliabile.

Riprendiamo il racconto.
La luce dell'alba rende sempre più riconoscibili i profili delle montagne. L'imponente mole del Nanga Parbat (8.125 m), con i suoi ghiacciai scintillanti, che stridono con l'assoluta
asciuttezza del circostante territorio desertico, si eleva imponente verso ovest, costringendo il fiume Indo ad una larga ansa. Quanti ricordi: mi viene in mente il libro, “E' buio sul ghiacciaio” di Herman Buhl, il primo scalatore di un ottomila senza l'uso dell'ossigeno, un vero e proprio precursore di un alpinismo moderno. L'attenzione è spesso attirata dal rombo di questo fiume impetuoso, grigio e spumeggiante che sembra portare verso valle tutta la strapotenza delle montagne che lo sovrastano. A tal proposito un'antica leggenda narra che l'Indo è così profondo al punto che se un uomo vi si tuffa vedrebbe l'azzurro del cielo dell'altro emisfero!
Lo attraversiamo diverse volte, prima di imboccare la strada che scende da Skardu, nel Baltistan, fra gente di razza ariana, di religione islamica e di lingua del ceppo tibetano. Un grosso masso, staccatosi dal precipite pendio sovrastante, per poco non ci travolge ostruendoci il passaggio. Siamo già in pensiero per come fare. Niente di più facile: in assenza di soccorso A.C.I. da ogni camion escono uomini armati di badili, picconi e leve di ferro e... in men che non si dica, aiutati anche da noi, la strada appare di nuovo agevole. Purtroppo però veniamo ancora sopraffatti dalla notte ed arriviamo a Skardu stanchi, affamati e ricoperti letteralmente di polvere.

Negli ultimi trent'anni questa piccola città-mercato dalle strade in terra battuta, vera e propria oasi verde fra bianche lenzuola di deserto sabbioso e rosate rocce spaccate dalle intemperie, ha vissuto un piccolo boom economico, di riflesso alle spedizioni dirette verso il K2 e zone circostanti. Qui tutto ricorda la famosa montagna: sigarette, fiammiferi, magliette, cartoline, hotel, bar, agenzie di viaggi, eccetera.

La pista gipponabile che da Skardu sale a Dassu - e ben presto arriva, a scanso d'improvvise frane, fino ad Askole - permette di percorrere in poche ore un tratto che normalmente richiedeva alcuni giorni di cammino. Sballottati lungo i tornanti e gli strapiombi del Braldo, l'affluente dell'Indo che si origina dal ghiacciao Baltoro, si possono ammirare le avvisaglie dei colossi rocciosi ed attraversare gli albicoccheti che circondano i pochi villaggi baltì. Nel 1990 si attraversava il corso del Braldo ancora con la teleferica d'acciaio: poco più di una cassetta da frutta appesa ad una carrucola che veniva fatta scorrere da una parte e contemporaneamente recuperata dall'altra sponda. Il tutto con quel mare in tempesta, le cui fauci vorticose sembravano come risucchiarti. Adesso un comodo ponte evita almeno una mezza giornata di attesa ma cancella quell'esperienza certamente emozionante. 
Da Askole, minuscolo abitato agricolo, ultimo avamposto di una civiltà cristallizzata al medioevo, inizia il trekking  attraverso il deserto d'alta montagna, lungo l'immenso ghiacciaio Baltoro, chiazzato dalle uniche pennellate verdi delle oasi di Paju e Urdukas, uniche possibilità di sosta sopra il deserto pietroso e gelido della morena. Lungo lo sconvolto ed obbligato percorso, sembriamo delle formicuzze in processione. I portatori che ci guidano ed accompagnano non sono molto diversi da quei montanari, al limite della sopravvivenza, che parteciparono alla spedizione al Gasherbum IV di Fosco Maraini. Alla sera si accendono il fuoco, cuociono il the e l'immancabile ciapati, il pane azzimo locale, unica fonte d'energia. La notte, all'apparire della luna, essi si chiamano e cantilenano preghiere ad Allah. La vastità e l'imponenza del luogo amplificano la sensazione d'essere tanto lontani da casa... in capo al mondo. Come nel passato questi uomini forti e gentili, sono malvestiti, carichi come muli e spesso malati.
Attrezzati per il freddo, veniamo assaliti dal caldo e dalla sete, costretti a ripararci all'ombra di enormi massi. Nel sole più allucinante appare l'oasi di Paju, situata a circa 3.000 metri, un vero miracolo naturale. Intorno ad una piccola sorgente sono cresciuti salici, pini, betulle e pioppi. Di fronte uno spettacolo sconvolgente. L'enorme bocca del ghiacciaio che vomita le acque sorgive del Braldo, che poi si perde subito in una ragnatela di rivoli che s'intrecciano e si ritrovano nella vasta piana alluvionale che ne deriva. Le Torri di Trango, la Cattedrale, montagne dalla fattura e orogenesi diversa dalle circostanti vette di ottomila metri, si presentano ai nostri occhi increduli. Il cammino è ancora lungo e lentamente, guidati dalla mole del Gasherbrum, arriviamo al Circo Concordia (così chiamato perché crocevia di molti ghiacciai e quindi simile a Place de la Concorde a Parigi, dove s'incontrano vari boulevard). La magia e il fascino che emana questo luogo è palpabile. Da qui si gode una fra le più spettacolari visioni del pianeta. Il K2, che fin qui si cela agli occhi dell'escursionista, appare finalmente nella sua piramidale veste incappucciata di ghiacci eterni. La ‘montagna degli italiani’, perché scalata per la prima volta da Compagnoni e Lacedelli durante la spedizione di Ardito Desio, è solo il primo attore fra i maestosi giganti di 8.000 metri che lo circondano. Il Broad Peak, la ‘cima larga’; il Gasherbrum IV con la sua ‘parete lucente’; il Gasherbrum I, la ‘cima nascosta’; e poi il Chogolisa, dalle cui pendici scomparve il grande alpinista Herman Buhl, e molte altre.

Pare d'essere negli ‘uffizi della natura’ ed in ogni sala c'è un capolavoro di inestimabile bellezza. Saliamo al campo base camminando fra le misteriose vele bianche del Baltoro, pinnacoli e formazioni di neve cristallizzata e antica, che emergono con prepotenza dal mare tempestoso della nera morena glaciale. Finalmente ci ricongiungiamo con i membri della spedizione internazionale Free K2, organizzata da Mountain Wilderness, che ci precedevano di qualche giorno e con i quali rimarremo qualche giorno. Gli alpinisti di punta, capitanati dal forte Fausto De Stefani, partono per ripulire la parete fino agli 8.000 metri; noi raccoglieremo quasi una tonnellata di rifiuti vari che saranno bruciati e pressati dalla macchina di compostaggio che rimarrà stabilmente sul ghiacciaio. I rifiuti saranno riportati a valle dove un'altra macchina speciale li riciclerà. La discarica più alta del mondo sparirà e con lei, ci auguriamo, l'inciviltà che fin'ora ha gettato ombra su tante spedizioni.
Peccato... Quest'esperienza mi ha fatto crollare dei miti: alcuni dei miei più cari alpinisti del passato, nei cui libri avevo riposto le speranze per il futuro.

 

Giugno 2000

Gianfranco Bracci

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

MOUNTAIN WILDERNESS/AA.VV. a cura di STEFANO ARDITO, Free K2 - La prima avventura in soccorso delle grandi montagne della terra, Bologna 1991.

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